simonex94
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domenica 12 aprile 2009
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brutto!!!!!
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bravissimi clooney e wilkinson!!! immeritato oscar alla swinton( DOVEVA ANDARE A CATE BLANCHETT )!!!! film brutto dove non succede niente!!!! Ma rendo onore a Sidney Pollack che è stato 1 grande del cinema americano e che ha diretto capolavori come "la mia africa"!!!!! Per il resto ,il film mi ha deluso parecchio, mi aspettavo molto di piu!!!
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giulio brillarelli
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lunedì 16 marzo 2009
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la follia della verità, intimista e chill out
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È almeno dai tempi di Erasmo da Rotterdam e del suo “Elogio” che ci è stato insegnato come follia e verità possano con-fondersi, diventando le due facce della stessa medaglia. Tony Gilroy, sceneggiatore e regista di “Michael Clayton”, ne fa uno dei temi centrali del film, a cominciare da quel mirabolante “J’accuse!” che ne costituisce l’incipit. La voce febbricitante di Arthur Edens (Tom Wilkinson) introduce quasi subito la parolina magica, “follia”, mentre racconta al protagonista Michael Clayton (George Clooney), ancora incorporeo, assente dallo schermo, il “moment of being” che l’ha spinto a denudarsi in pieno giorno, nel bel mezzo di un parcheggio. Cos’era quella “patina” di cui si sentiva ricoperto dalla testa ai piedi? Liquido amniotico? Niente affatto, di merda si trattava: Arthur non è stato dato alla luce, è stato escreto.
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È almeno dai tempi di Erasmo da Rotterdam e del suo “Elogio” che ci è stato insegnato come follia e verità possano con-fondersi, diventando le due facce della stessa medaglia. Tony Gilroy, sceneggiatore e regista di “Michael Clayton”, ne fa uno dei temi centrali del film, a cominciare da quel mirabolante “J’accuse!” che ne costituisce l’incipit. La voce febbricitante di Arthur Edens (Tom Wilkinson) introduce quasi subito la parolina magica, “follia”, mentre racconta al protagonista Michael Clayton (George Clooney), ancora incorporeo, assente dallo schermo, il “moment of being” che l’ha spinto a denudarsi in pieno giorno, nel bel mezzo di un parcheggio. Cos’era quella “patina” di cui si sentiva ricoperto dalla testa ai piedi? Liquido amniotico? Niente affatto, di merda si trattava: Arthur non è stato dato alla luce, è stato escreto. In ogni caso, è finalmente uscito alla luce, ha aperto gli occhi, si è risvegliato; il resto della sua vita lo passerà a ripulirsi, a espiare le proprie colpe. Mentre la voce fuori campo di Arthur affabula e risucchia lo spettatore, lo schermo si riempie del vuoto e della desolazione notturni del mastodontico studio legale Kenner, Bach & Ledeen per cui i due uomini lavorano, condensando in una manciata di inquadrature tutto quel che c’è da dire sul peso soverchiante che il sistema impone sull’individuo. Sarà poi la follia di Arthur a guidare Michael Clayton verso il riscatto; per vendicare il suo amico, prima che per sete di giustizia e amore di verità, Michael Clayton incastrerà la u north. - - - “Chi sei?”: è una delle chiavi di lettura del film, la domanda-ritornello che perseguita Clayton, un tempo brillante pubblico ministero, ora “uomo delle pulizie” che lavora nell’ombra, sul filo della legalità e della moralità, “una specie di poliziotto agli occhi dei suoi colleghi avvocati, un avvocato agli occhi della polizia”. La risposta, limpidamente funesta, giungerà nello showdown finale con Karen Crowder (Tilda Swinton): “Sono Shiva, il dio della morte”, come già Arthur aveva detto di se stesso. - - - La colonna sonora di James Newton Howard, compositore tra i più affermati di Hollywood (basterebbero i due “Batman” più recenti come biglietto da visita), è giocata originalmente sui sottotoni dell’ambient e del chill out: poca melodia, tante pulsazioni ritmiche ovattate, qua e là la dolcezza algida di un piano elettronico che immalinconisce e fa pensare alla neve, al ghiaccio, all’inverno. Il film risulta in questo modo venato di un intimismo che riecheggia quello di “The weather man” (Gore Verbinski, 2005), dove Nicolas Cage si muoveva in una Chicago tutta invernale, con le musiche di Hans Zimmer e James Levine analogamente chill out e malinconiche. - - - Sette nomination all’Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, “Michael Clayton” è valso la statuetta soltanto a Tilda Swinton come miglior attrice non protagonista. Tom Wilkinson ha invece dovuto cedere l’Oscar come miglior attore non protagonista allo straordinario, luciferino Javier Bardem di “Non è un paese per vecchi” (un altro dei mille volti della follia). Con la carica eversiva e profetica del suo personaggio che cammina beato in mezzo alla folla, Wilkinson mette comunque in ombra il povero George Clooney, troppo contenuto, troppo imbrigliato: un pizzico di impetuosità alla Seth Gecko, il rapinatore-ammazzavampiri che interpretava in “Dal tramonto all’alba” nel 1996, non avrebbe nociuto al cinico e disincantato “uomo delle pulizie” Michael Clayton.
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lucido 71
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martedì 2 dicembre 2008
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michael chi???
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Clooney che finaccia, se deve girare ultimamente filMattoni come questi (Evitate pure Syriana!) forse è meglio che inizi a pensare d'avere un futuro fisso in Italia, dalla sua villa a Como all'Isola delle Talpe... Pellicola SCONSIGLIATISSIMA dove non succede mai nulla... la Noia regna sovrana: 5 stelle x conciliare il sonno. Ammirate THE MANCHURIAN CANDIDATE se cercate un vero film serio, non a caso interpretato dal mitico Denzel!
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alberto83
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martedì 7 ottobre 2008
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americanata
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A volte ritornano verrebbe da dire...
intitolo questa mini-recensione "americanata" sapendo benissimo quante contraddizioni e quante domande possa recare in sè questo termine talvolta abusato talvolta mai usato abbastanza..
ecco è proprio un'americanata (esiste solo l'accezione negativa del termine secondo me) questo Michael Clayton..
storie che vorrebbero essere torbide (ma dai), che tentano di coinvolgere (ma chi), che si auto-celebrano senza motivazione.
George Clooney è sempre il solito, che può al massimo piacere alle donne durante una pubblicità lunga una quindicina di secondi..i paragoni con Clark Gable, James Dean e via dicendo non dovrebbero nemmeno esistere...
Ma il capitolo attori è l'ultima cosa da trattare.
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A volte ritornano verrebbe da dire...
intitolo questa mini-recensione "americanata" sapendo benissimo quante contraddizioni e quante domande possa recare in sè questo termine talvolta abusato talvolta mai usato abbastanza..
ecco è proprio un'americanata (esiste solo l'accezione negativa del termine secondo me) questo Michael Clayton..
storie che vorrebbero essere torbide (ma dai), che tentano di coinvolgere (ma chi), che si auto-celebrano senza motivazione.
George Clooney è sempre il solito, che può al massimo piacere alle donne durante una pubblicità lunga una quindicina di secondi..i paragoni con Clark Gable, James Dean e via dicendo non dovrebbero nemmeno esistere...
Ma il capitolo attori è l'ultima cosa da trattare..il grave problema sta nell'esilità di una sciocca sceneggiatura tirata per le lunghe (lunghissime) senza dire nulla, perdendosi dietro a multinazionali farmaceutiche, problemi familiari e soliti temi già visti milioni di volte.
"Americanata" perchè appare come il classico film americano che tanto critica (giustamente) i Blockbuster ma poi non fa latro che seguirne le orme presentando un cast ricco di nomi e spendendo una miriade di denaro per finanziare un progetto per nulla riuscito..il cinema americano che piace è quello dei Wes Anderson, dei Paul Thomas Anderson, dei Gus Van Sant, dei Lynch...ma i nomi sono troppi...comunque tutti questi registi sono i "meno americani" tra i registi americani ed hanno una base fortemente europea che li contraddistingue (come il più grande, Woody Allen).
Beninteso questa non è un'accusa contro il cinema americano (quello indipendente è stato negli anni straordinario) ma una presa di posizione netta verso quell'universo hollywoodiano che vive di finzione, di tappeti rossi luccicanti, di stelle che tendono a spegnersi al termine di ogni festa.
Michael Clayton è il classico esempio di quello che si vuole dire, di quello che si dovrebbe evitare, di quello che poi fa parte più del jet-set che del cinema vero e proprio..
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(di nicola1)
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pbellofi
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martedì 9 settembre 2008
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anche tom wilkinson....
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Da apprezzare notevolmente , a mio parere , anche la recitazione di Tom Wilkinson e ovviamente del suo doppiatore italiano. I dialoghi con George Clooney sono davvero unici.
La trama è scontata, ma il regista ha saputo esporla con soluzioni davvero originali è in questo sta la validità del film, che avrebbe potuto essere altrimeni noioso.
[+] mito wilkinson
(di riccardo)
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nostromo
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sabato 6 settembre 2008
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pollack
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Fa effetto rivedere Sidney Pollack nella sua ultima ( credo) opera prima della morte. In fondo si va ben oltre una comparsata. Il vero regista è lui, non l'opera prima di qualcuno.Come già era successo per " I favolosi Baker vent'anni fa. E le atmosfere dei "Tre giorni del condor" si ritrovano dietro ogni angolo. Con George Cloney al posto di un possibile Robert Redford..... Addio Sidney
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mauri
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martedì 26 agosto 2008
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film interessante
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a parte la prima mezz'ora del film in cui non si capisce nulla...( credo e spero un po volutamente) è un film interessante...mi aspettavo un finale diverso, meno americanata,,,comunque è un film di ottimo livello, g. Clooney non sempre ci azzecca ma stavolta si...
non è banale...
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flegias
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venerdì 1 agosto 2008
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buon film
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Tutto sommato è un buon film anche se la trama è piuttosto prevedibile.
Ottima l'interpretazione di Wilkinson nel ruolo di Arthur e buona l'interpretazione di Clooney che nel finale -girando in taxi senza meta- rimane un personaggio complesso e combatutto (ci è stato fortunatamente risparmiato l'happy ending finale con famiglia ricca e felice).
Da considerare anche Karen Crawder-donna manager in rapida ascesa- che se per buona parte del film poteva rappresentare l'ambizione, alla fine del film è da considerarsi come una vittima della vicenda, schiacciata da un sistema più grande di lei.
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io
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lunedì 14 luglio 2008
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stupendo
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Ipocrita? Come il 99% di noi. Falso? Solo il finale (che è da film), perchè queste storie esistono e i buoni non vincono mai. Americano? Sicuramente, ma almeno in America hanno il coraggio di fare film "di denuncia", l'importante è che il messaggio arrivi. Film Stupendo
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cinofilo_bau
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venerdì 11 luglio 2008
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soderbergh di nuovo contro l' inquinamento
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Qualcuno ha tirato in ballo affinita’ con I tre giorni del condor. Un poco per l’ impianto della storia (viviamo in mezzo a tanti pericoli che siamo fortunati di veder ogni giorno sorgere il sole), perche’ parla dei grandi poteri, occulti e non, (la era la CIA qui una multinazionale) e della lotta contro di essi di un uomo anch’ egli appartenente a quel mondo (la un agente della CIA, qui un avvocato di uno studio che ha come cliente la multinazionale). Un poco anche perche’ uno dei produttori di quest’ ultimo e’ stato il regista di quell’ altro. Insomma le affinita’ a volerle trovare si trovano anche perche’ e’ un poco come per la numerologia: qualsiasi misura (la larghezza di una porta, la lunghezza della nostra auto, il lato di un campo di grano) e’ interpretabile come multiplo o sottomultiplo di qualcos’altro ( il diametro della terra, la distanza dalla luna ecc ecc).
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Qualcuno ha tirato in ballo affinita’ con I tre giorni del condor. Un poco per l’ impianto della storia (viviamo in mezzo a tanti pericoli che siamo fortunati di veder ogni giorno sorgere il sole), perche’ parla dei grandi poteri, occulti e non, (la era la CIA qui una multinazionale) e della lotta contro di essi di un uomo anch’ egli appartenente a quel mondo (la un agente della CIA, qui un avvocato di uno studio che ha come cliente la multinazionale). Un poco anche perche’ uno dei produttori di quest’ ultimo e’ stato il regista di quell’ altro. Insomma le affinita’ a volerle trovare si trovano anche perche’ e’ un poco come per la numerologia: qualsiasi misura (la larghezza di una porta, la lunghezza della nostra auto, il lato di un campo di grano) e’ interpretabile come multiplo o sottomultiplo di qualcos’altro ( il diametro della terra, la distanza dalla luna ecc ecc). A me piace pensare questi due bellissimi film affini in quanto entrambi ottimi rappresentanti della settima arte. Ci sono differenze tra I due film: nel primo, Robert Redford vestiva I panni dell’ uomo comune, coinvolto “malgre’ lui” in una storiaccia le cui fila sono tirate da alcuni loschi individui della sua stessa organizzazione (ma che alla fine si capira’ che quella stessa organizzazione non e’ poi cosi’ aliena dal condividere I fini del complotto), e’ un uomo onesto, che lavora con coscienza svolgendo un compito peraltro non operativo, quindi al alieno alle “azionacce’ imputate alla “compagnia”. George Clooney invece e’ un individuo che ha gia’ fatto I conti con la sua coscienza, mettendola a dormire: ex procuratore distrettuale lavora da 17 anni come collaboratore “speciale” di uno dei maggiori studi legali di NY ( e quindi del mondo). I suoi compiti sono essenzialmente quelli di coprire le malefatte dei clienti onde evitar loro ogni possibile disturbo. Non e’ un lavoro da educande ma si sa, I soldi servono e in piu’ Michael Clayton (questo e’ il nome del personaggio di Clooney) sta annaspando per tenerrsi finanziariamente a galla dopo uno sfortunato tentativo di aprire un ristorante. Queste le premesse, cosi’ si apre la storia, presentandoci il personaggio e cosa fa e perche’. Poi la storia si ripiega quasi completamente in un flash back di quattro giorni durante I quali succede tutto. Uno dei soci dello studio legale, che sta trattando una causa miliardaria per conto di una azienda chimica rea di avere commercializzato scientemente un fertilizzante altamente nocivo, viene colto da una crisi di coscienza per quello che e’ e per quello che fa e da un po I numeri, spaventando a morte I clienti che si sentono mal rappresentati. Il Nostro viene inviato a fare quel che meglio gli riesce e cioe’ tappare I buchi e spianare le cose. Non sara’ facile stavolta: l’avvocato con la crisi di coscienza e’ deciso a svoltare pagina e fare la cosa giusta, rivoltandosi contro il cliente che, seriamente minacciato, (la azienda viene praticamente impersonata da una avvocata del proprio ufficio legale, l'ottima Tilda Swinton ) e volendosi parare le terga decide di passare per le spicce e fa fuori il ravveduto avvocato. Non solo, temendo che il coinvolgimento di Michael nel caso rappresenti anch’esso un problema, decide di togliere di mezzo pure lui.
Ma c’e’ di piu’, ovviamente. Visto che il protagonista e’ Michael clayton, il film e’ anche la storia di come egli ritrovi, nelle pieghe della sua vita un po stropicciata dai compromessi, la scintilla per decidere quando dire basta.
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