leonardo masieri
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lunedì 19 maggio 2008
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un corpo che non c'è piu'ma una mente che viaggia
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Jean Dominique Bauby (Mathieu Amalric) è colpito dalla locked in syndrome che dopo un ictus lo costringerà per il resto dei suoi giorni a vivere immobile,su un letto di un ospedale della provincia francese. Bauby riesce in condizioni disastrose ad oltrepassare la mutezza del suo corpo ( lo scafandro appunto ) con l'unica parte del corpo che reagisce al suo cervello, l'occhio; con un battito di ciglia ( la farfalla dell'immaginazione che nasce e spazia in un mondo a se stante)riuscirà, grazie alle sue splendide donne, a scrivere un libro.
Schnabel ha creato, come se avesse dipinto un quadro, un capolavoro, ricorrendo ad una tecnica mista di flash back, di viaggi della mente e dell'occhio della camera che è veramente l'occhio da cui vede ( male ) il protagonista.
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Jean Dominique Bauby (Mathieu Amalric) è colpito dalla locked in syndrome che dopo un ictus lo costringerà per il resto dei suoi giorni a vivere immobile,su un letto di un ospedale della provincia francese. Bauby riesce in condizioni disastrose ad oltrepassare la mutezza del suo corpo ( lo scafandro appunto ) con l'unica parte del corpo che reagisce al suo cervello, l'occhio; con un battito di ciglia ( la farfalla dell'immaginazione che nasce e spazia in un mondo a se stante)riuscirà, grazie alle sue splendide donne, a scrivere un libro.
Schnabel ha creato, come se avesse dipinto un quadro, un capolavoro, ricorrendo ad una tecnica mista di flash back, di viaggi della mente e dell'occhio della camera che è veramente l'occhio da cui vede ( male ) il protagonista. E' un film sulla forza della mente, sull'amore, soprattuto quello delle donne. E' un film che ricorda sicuramente MARE DENTRO per il suo coraggio, perche' racconta senza mai essere patetico il dramma di una vita che cambia , ma dalla quale si puo' riuscire comunque vincitori. Le donne ,proprio come in un altro film spagnolo, TUTTO SU MIA MADRE,sono il motore intorno al quale Bauby riesce ad ingranare la marcia e partire verso un viaggio di parole non dette, di frasi non espresse, ma di un cervello perfettamente funzionante che riesce ad esprimere quanto di meglio possa fare la mente umana: sorridere con drammaticità alle disgrazie della vita.
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mattbirra
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lunedì 12 maggio 2008
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resistere all'impensabile
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Conservare quello che di umano resta in noi. Attaccarcivisi con ogni nostra residua forza.Quello che di umano resta in noi.
L'eco nella mente di Jean-Do si prolunga in una domanda, "Cos'è che di umano resta ancora in me?", e la domanda resta sospesa nel vuoto, nell'impossibilità di attingere ad altro che alla vista e all'udito, alla memoria e all'immaginazione, ai minimi termini e ai minimi sensi, perchè si ha un corpo paralizzato e non si può fare altro che "prolungare" la vita, così come si prolunga l'eco di una domanda.
Eppure è una storia vera. E proprio per questo, ancora più impensabile.
Ancora più improponibile l'identificazione per lo spettatore.
Sembra il sogno di un letterato bigotto e intorpidito che sogna, si proprio questo è il suo sogno: essere curato, coccolato e nutrito, avere chi legge i libri per te, e tu li fermo ad ascoltare, a fare solo lo sforzo di immaginare, come se immaginare non richiedesse alcun sforzo e non fosse il nostro corpo, la sua forza e la sua vigoria, la sua vita e la sua tensione, il suo dolore e la sua frustrazione a far nascere in noi il fiore irripetibile dell'immaginazione, la forza avvolgente del pensiero, l'apertura imperiosa della vita.
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Conservare quello che di umano resta in noi. Attaccarcivisi con ogni nostra residua forza.Quello che di umano resta in noi.
L'eco nella mente di Jean-Do si prolunga in una domanda, "Cos'è che di umano resta ancora in me?", e la domanda resta sospesa nel vuoto, nell'impossibilità di attingere ad altro che alla vista e all'udito, alla memoria e all'immaginazione, ai minimi termini e ai minimi sensi, perchè si ha un corpo paralizzato e non si può fare altro che "prolungare" la vita, così come si prolunga l'eco di una domanda.
Eppure è una storia vera. E proprio per questo, ancora più impensabile.
Ancora più improponibile l'identificazione per lo spettatore.
Sembra il sogno di un letterato bigotto e intorpidito che sogna, si proprio questo è il suo sogno: essere curato, coccolato e nutrito, avere chi legge i libri per te, e tu li fermo ad ascoltare, a fare solo lo sforzo di immaginare, come se immaginare non richiedesse alcun sforzo e non fosse il nostro corpo, la sua forza e la sua vigoria, la sua vita e la sua tensione, il suo dolore e la sua frustrazione a far nascere in noi il fiore irripetibile dell'immaginazione, la forza avvolgente del pensiero, l'apertura imperiosa della vita.
E il pensiero corre subito al grande film di Amenàbar, al Mare dentro, all'incredulita in cui si incorre anche nei confronti del suo grande protagonista, ci sono addirittura due donne che si innamorano di lui, di uno storpio con una faccia serenissima, di un'ex palestrato e playboy che anche a metà, letteralmente a metà, non ha perso lo smalto, non ha finito di ammaliare.
In questo caso allo sfortunatissimo protagonista/paralitico manca la risorsa finanche dell'espressione facciale, manca l'occhio languido di Ramon, che l'occhio riflesso sui vetri dell'ospedale, l'occhio che ci appare quando una scintilla viene a risvegliare Jean-Do e a dargli la forza, di nonostante tutto, continuare è un'occhio sbarrato e mobilissimo, un faro venato da tutte le emozioni, i sentimenti e i desideri di cui è capace un cervello in trappola.
un'immagine di quelle che restano nella storia del cinema, come e più dell'occhio tagliato di Bunuel.
E pur apprezzandro l'estrema lucidità con cui il protagonista sa compiangersi una domanda resta sospesa fra le pieghe di questo bellissimo, magistrale film.
Cosa c'è di ancora umano in una vita del genere?
La fine, l'esito breve, spietato e implacabile di questo, perfetto anche tecnicamente, film, viene a risponderci trascinandoci nelle immagini delle catastrofi naturali dove l'occhio, unico e ciclopico del piccolo uomo si tuffa per perdersi e non più tornare una volta che è finito il suo compito, una volta che un poderoso slancio di memoria e immaginazione, di visioni e di concertazioni ci ha donato quella che, ancora e nonostante tutto, resta l'esperienza straordinaria di un uomo a cui una donna,la madre dei suoi figli ha potuto dire "sei l'uomo più sorprendente che conosca" (o qualcosa del genere).
Dopo, dopo la fatica e lo svisceramento, dopo un viaggio fantastico nell'abisso della solitudine di un cervello che non può più sopportare un corpo paralizzato, la sapienza di questo corpo, l'onestà di questo cervello lo riportano al nulla da cui proveniamo, al nulla, che come sapeva bene Jean-Do,da cui nessuna Lourdes ci può salvare, nessuna compassione ci può privare, nessun dolore all'infinito si può protrarre.
Ma che l'immaginazione e la grande letteratura, il grande cinema, la grande arte possono immortalare.
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gianfri
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venerdì 9 maggio 2008
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la sofferenza attraverso gli occhi di chi muore
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Lo scafandro e la farfalla
Una storia forte raccontata in questo film; un uomo di successo viene colpito da un ictus e rimane completamente paralizzato anche se il cervello funziona come prima e solo il movimento della palpebra dell’occhio sinistro permette di comunicare con il mondo esterno. Il significato si condensa nella frattura tra ciò che era prima e ciò che non è più. La verità che si svela dopo, del tipo la mancanza dopo la morte di qualcuno a cui non si era riusciti a manifestare tutto l’amore. Tutto si ferma per l’uomo paralizzato e allora intorno a lui cominciano a girare degli affetti, quello “nuovo” del le terapeute che devono insegnargli a comunicare e si dedicano a lui con assoluta dedizione, quello della ex moglie, dei suoi bambini, dell’amante del vecchio papà novantenne.
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Lo scafandro e la farfalla
Una storia forte raccontata in questo film; un uomo di successo viene colpito da un ictus e rimane completamente paralizzato anche se il cervello funziona come prima e solo il movimento della palpebra dell’occhio sinistro permette di comunicare con il mondo esterno. Il significato si condensa nella frattura tra ciò che era prima e ciò che non è più. La verità che si svela dopo, del tipo la mancanza dopo la morte di qualcuno a cui non si era riusciti a manifestare tutto l’amore. Tutto si ferma per l’uomo paralizzato e allora intorno a lui cominciano a girare degli affetti, quello “nuovo” del le terapeute che devono insegnargli a comunicare e si dedicano a lui con assoluta dedizione, quello della ex moglie, dei suoi bambini, dell’amante del vecchio papà novantenne. Il significato ora, con quel solo movimento di palpebra, è quello che lui dà, nel raccontarsi, alle cose che gli accadono e noi diventiamo “un poco” lui, percepiamo il flusso dei sentimenti quasi a dirgli: “ si ti capiamo sei vivo” il tuo sforzo non è vano se riesci a dire quello che provi. Ci avvicina a quello che chiamiamo sentimenti a quello che è il non detto nelle relazioni. Un messaggio difficile da rendere cienematograficamente e che il regista a reso esemplarmente nel suo raccontare in prima persona quello che accade, perfetta a questo proposito la scena iniziale quando con la vista annebbiata del paziente noi spettatori “vediamo” l’immagine sfocata del medico che ci spiega la sua/nostra diagnosi.
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ternix
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giovedì 8 maggio 2008
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bello un minuto, due minuti, ma poi...
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Bell'idea. Bel titolo. Ma poi? Il nulla. Confuso, disordinato, insomma francese. Un film che lascia immobili per due motivi diversi a distanza di pochi minuti: il primo è per l'attesa per lo sviluppo - da un'idea così originale ci si attende chissacchè, un nuovo forrest gump, un antieroe moderno, l'analisi sottile delle debolezze di un uomo malato...-; il secondo è per la noia e la delusione. Qui infatti subentra la cinematografia francese, bohemien nelle intenzioni, scadente nel concreto. Non si può dire malrecitato perchè praticamente non recitato, non si può dire mal diretto perchè c'era poco da dirigere. Pochi costumi, poche scenografie, sceneggiatura scarna. Non vi suggerisco di non guardarlo.
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Bell'idea. Bel titolo. Ma poi? Il nulla. Confuso, disordinato, insomma francese. Un film che lascia immobili per due motivi diversi a distanza di pochi minuti: il primo è per l'attesa per lo sviluppo - da un'idea così originale ci si attende chissacchè, un nuovo forrest gump, un antieroe moderno, l'analisi sottile delle debolezze di un uomo malato...-; il secondo è per la noia e la delusione. Qui infatti subentra la cinematografia francese, bohemien nelle intenzioni, scadente nel concreto. Non si può dire malrecitato perchè praticamente non recitato, non si può dire mal diretto perchè c'era poco da dirigere. Pochi costumi, poche scenografie, sceneggiatura scarna. Non vi suggerisco di non guardarlo...ma guardate solo la prima mezz'oretta. Poi, per rallegrarvi un po' passate ad una puntata dell'A-team, la sua ironia ed azione sono fondamentali per bilanciare!
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luis
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giovedì 1 maggio 2008
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non mi ha convinto
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Mi sono accostato alla visione con curiosità e grande attesa, visti i giudizi lusinghieri coi quali il film é stato licenziato, però devo dire, mio malgrado, che non mi ha convinto, ed in alcuni momenti ho trovato le riflessioni narrative anche piuttosto banali, pur provocandomi un mare di riflessioni, ma anche angoscia pura. Non voglio proprio entrare in giudizi morali e personali riguardanti l'opportunità o meno di vivere in un certo stato, anche perché il film non era incentrato sul tema eutanasia oppure vita, ma sulla capacità narrativa del protagonista. Personalmente non lo rivedrei
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(di miriam)
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diegodaltri
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venerdì 18 aprile 2008
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bellissimo
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pazzia
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mercoledì 9 aprile 2008
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fiato trattenuto dall'inizio alla fine
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Ho seguito con un forte stato d'ansia tutto il film. Quello che veramente passa, non è la vicenda del portatore d'handicap che commuove la platea (quello che più commuove è il rapporto col padre), ma è la drammaticità di un vivere sapendo che la mente è libera ma bloccata proprio da uno scafandro di corpo. La regia, l'uso della telecamera hanno a mio avviso trasmesso un senso di immobilità, di incapacità, di tensione tutto ben incollato con quello che succede nel film. Un corpo che non può espellere emozioni, che non può disegnare sentimenti se non forse con una lacrima... una bomba a orologeria desiderosa di esplodere che per forza di cose viene continuamente disinnescata. Ottimo film a mio pare diverso da "Mare dentro", il tema si può dir lo stesso, la voglia di eutanasia può essere uguale, ma le tragedie sono diverse seppur raccontate in modo parallelo.
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Ho seguito con un forte stato d'ansia tutto il film. Quello che veramente passa, non è la vicenda del portatore d'handicap che commuove la platea (quello che più commuove è il rapporto col padre), ma è la drammaticità di un vivere sapendo che la mente è libera ma bloccata proprio da uno scafandro di corpo. La regia, l'uso della telecamera hanno a mio avviso trasmesso un senso di immobilità, di incapacità, di tensione tutto ben incollato con quello che succede nel film. Un corpo che non può espellere emozioni, che non può disegnare sentimenti se non forse con una lacrima... una bomba a orologeria desiderosa di esplodere che per forza di cose viene continuamente disinnescata. Ottimo film a mio pare diverso da "Mare dentro", il tema si può dir lo stesso, la voglia di eutanasia può essere uguale, ma le tragedie sono diverse seppur raccontate in modo parallelo. La farfalla e il mare sono il simbolo della libertà, della natura che non si può fermare mai... la mente è l'unico mezzo per fuggire a quello che ci opprime, che ci ostacola, è l'unico mezzo di cui siamo veramente padroni!
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(di gne)
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francesca
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giovedì 3 aprile 2008
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non è il solito filmetto privo di significato...
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E' un film che apre gli occhi a certa gente che non fa altro che lamentarsi ma non ha ancora capito quali sono le cose che contano veramente nella vita...
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boffese
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martedì 1 aprile 2008
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l'arte di schnabel
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film con una tematica forte e difficile da raccontare, ma schnabel grazia alla sua vena artistica riesce a comporre una regia talmente geniale da riuscire a farti vivere la durezza del vivere in quello stato.
bravissimi gli attori, con un grande amalric, ma senza schnabel non sarebbe stato il capolavoro che è.
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stan
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martedì 25 marzo 2008
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la poesia del dramma
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da far vedere a tutti gli adolescenti
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