laura
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lunedì 18 febbraio 2008
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la morte e la vita
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FOTOGRAFIA PERFETTA.FILM MISURATO NELLA SUA TRGICITA'. TI COINVOLGE E TI SCONVOLGE TI FA AMARE LA VITA.
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samantha
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lunedì 18 febbraio 2008
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si si
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e' triste lo so, ma la realta' e' anche questa.
Il film si guarda con gli occhi del protagonista per entrare nel vivo nelle sue emozioni.
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adalberto
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lunedì 18 febbraio 2008
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un inno alla vita
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Pur dolorosissimo, un inno alla vita ed uno sprone a non demordere. Bisogna lottare per conquistare ciò che si ama, in questo caso un’ essenza, un senso di vita. Quando la vita ti prende, ti scaraventa e ti ingabbia dentro di te, lontano dal mondo, per sopravvivere ti senti spinto oltre il muro dei tuoi (falsi) miti, dimenticando le ombre fallaci ed illusorie del vivere quotidiano.
Il tutto servito da una prova registica di grande sensibilità e coinvolgimento.
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wanda
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lunedì 18 febbraio 2008
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un inedito punto di vista
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Molto originale la visione del mondo dall'occhio sinistro del protagonista...
avvincente e molto umano
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luciano
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domenica 17 febbraio 2008
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nulla sarà come prima.
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Una sola pecca: non è il sistema nervoso centrale scollegato dal cervello, ma il cervello (che è il sistema nervoso centrale) scollegato dal corpo.
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s.c.
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sabato 16 febbraio 2008
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da brividi
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Lo Scafandro e la farfalla, di Julian Schnabel, è un film forte e meraviglioso. Racconta la storia vera di Jean-Dominique Bauby, redattore capo di Elle a Parigi, un uomo poco più che quarantenne che conduce una vita ricca e movimentata. Un giorno, in macchina con il figlio, si sente male. Si risveglia in un ospedale, dove scopre che ha avuto un ictus e che tutto il suo corpo è paralizzato. Escluso l'occhio sinistro. Jean-Do riesce a vedere e a sentire, ma non può fare nient'altro. Il film è costruito tutto sul suo punto di vista. Già dalle primissime scene, lo spettatore è Jean-Do, vede la stanza d'ospedale e i volti distorti dei medici attraverso il suo occhio, scopre con lui di non potersi muovere e nemmeno parlare, riceve con lui le visite di parenti e amici, si commuove con lui alla telefonata del padre e alla visita dei suoi figli.
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Lo Scafandro e la farfalla, di Julian Schnabel, è un film forte e meraviglioso. Racconta la storia vera di Jean-Dominique Bauby, redattore capo di Elle a Parigi, un uomo poco più che quarantenne che conduce una vita ricca e movimentata. Un giorno, in macchina con il figlio, si sente male. Si risveglia in un ospedale, dove scopre che ha avuto un ictus e che tutto il suo corpo è paralizzato. Escluso l'occhio sinistro. Jean-Do riesce a vedere e a sentire, ma non può fare nient'altro. Il film è costruito tutto sul suo punto di vista. Già dalle primissime scene, lo spettatore è Jean-Do, vede la stanza d'ospedale e i volti distorti dei medici attraverso il suo occhio, scopre con lui di non potersi muovere e nemmeno parlare, riceve con lui le visite di parenti e amici, si commuove con lui alla telefonata del padre e alla visita dei suoi figli. Alla traumatica esperienza in ospedale si affiancano alcuni flashbacks sulla sua vita prima dell'incidente, e a partire da un certo punto anche le sue fantasticherie, perchè Jean-Do, dopo lo sconforto iniziale, si era reso conto che oltre al suo occhio anche la sua immaginazione e la sua memoria non erano paralizzate, e attraverso di loro aveva l'opportunità di abbandonare lo scafandro della sua malattia per volare libero come una farfalla.
Quella di Jean-Do è una storia vera, dettata dallo stesso Bauby attraverso un complesso sistema di comunicazione non verbale e diventata poi un libro di successo. Oltre a questo, va aggiunto che sul piano cinematografico il film è di una bellezza sconvolgente. Schnabel è un artista a tutto tondo, e si vede. La fotografia è a tratti suggestiva, a tratti commovente, a tratti evocativa in modo quasi surrealista. Da brividi la sequenza di Lourdes, ma anche, in modo diverso, quella in cui il giorno prima dell'incidente Jean-Do fa la barba all'anziano padre, o quella, struggente, in cui il figlio gli asciuga la bava che gli scende dalla bocca. O ancora quella, terribile, in cui a Jean-Do viene cucito l'occhio destro, irrimediabilmente danneggiato. E che noi, ovviamente, vediamo come se fossimo lui. C'è poco da dire, un film meraviglioso, sia per la trama che per la sua realizzazione. Un film che parla di una malattia terribile, senza cadere nel pietismo. Un film sensibile e poetico. Da vedere, assolutamente.
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[+] l'unico brivido
(di papanero)
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(di s.c.)
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(di papanero)
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eleonora
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sabato 16 febbraio 2008
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il battito d'ali di una palebra
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Un Almaric maturo, lontano da quel ruolo da "trentenne bamboccione" che l'ha reso famoso in Francia, si misura con una tematica difficile, anche se il doppiaggio del film mostra poco del suo ruolo. Dalla voglia di morire, alla gioia di vivere, alla conseguente disperazione, affrontate con pudore e delicatezza senza mai scivolare nel sentimentalismo patetico. Per farci ricordare che si apprezza qualcosa quando non la si possiede più, e che ci si rende conto di poter fare ancora qualcosa di buono finché si può. Forse potremmo ritrovare il gusto per le parole, per le immagini che ci offre la nostra fantasia, come dire: leggere un libro, viaggiare con la fantasia invece di guardare passivamente la televisione, anche se l'unica cosa che si può fare è sbattere una palpebra.
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Un Almaric maturo, lontano da quel ruolo da "trentenne bamboccione" che l'ha reso famoso in Francia, si misura con una tematica difficile, anche se il doppiaggio del film mostra poco del suo ruolo. Dalla voglia di morire, alla gioia di vivere, alla conseguente disperazione, affrontate con pudore e delicatezza senza mai scivolare nel sentimentalismo patetico. Per farci ricordare che si apprezza qualcosa quando non la si possiede più, e che ci si rende conto di poter fare ancora qualcosa di buono finché si può. Forse potremmo ritrovare il gusto per le parole, per le immagini che ci offre la nostra fantasia, come dire: leggere un libro, viaggiare con la fantasia invece di guardare passivamente la televisione, anche se l'unica cosa che si può fare è sbattere una palpebra.
Difficile raccontare un film in soggettiva; niente di nuovo, ci prova Montgomery con "The Lady in the Lake" nel 1947. Qui, un racconto in prima persona, con un "io narrante" fuori campo ed un'inquadratura fissa per la prima mezz'ora. Shnabel costruisce la suspence con le sue riprese dal basso, con scene simboliche che seguono l'immaginazione pindarica del protagonista, quasi come il volo di una farfalla in un campo di papaveri; per quasi mezz'ora il protagonista, immobile come fosse bloccato in uno scafandro, non viene inquadrato se non in un riflesso sul vetro. Il flashback è usato con parsimonia, ed in una scena finale fa il verso a "i 400 colpi": il volo di una farfalla verso la libertà dallo scafandro di cui è ostaggio.
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alex(sicilia) 422224
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venerdì 15 febbraio 2008
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miriam deve solo aspettare
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i film che lei commenta sono brutti.Brava cerchi di sparire
[+] grande !
(di enrico)
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miriam
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lunedì 28 gennaio 2008
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eccomi
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posso fare io la parte dello scafandro ? sono adattissima, vi prego. Visto che non trovo un uomo manco a morire, vorrei sfruttare il mio fisico per interpretare lo scafandro.
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(di miriam)
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(di miriam)
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(di miriam)
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(di miriam)
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[+] per miriam
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(di maximiliam)
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(di miriam)
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(di ex miriam)
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(di maximiliam)
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(di roberta72)
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(di ex miriam)
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