cate
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lunedì 14 febbraio 2005
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tanto di cappello
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che dire, un vero noir; il cinema francese sforna capolavori. registi all'altezza (leconte ecc.) e attori impareggiabili. Questo film è bello e intenso: musiche, personaggi, attori eccellenti. Bravi e impegnati.
Noi in italia ricicliamo gli scarti del grande fratello e mandiamo in teatro le dive del calendario, forse dovremmo tacere e imparare.
[+] solo i morti non tornano
(di franco1944)
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rox
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domenica 23 gennaio 2005
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marchal ci regala un noir da storia del cinema
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Sorprende, emoziona e conquista questo bellissimo noir francese di Marchal. La storia di un commissariato di polizia è solo lo sfondo in cui calare la lotta di sempre tra il bene e il male, tra l’amore e l’odio, tra l’amicizia e il tradimento. Lirico, a tratti allucinato lo scontro incontro tra i due istrioni del cinema d’otralpe: Depardieu e Autiel. Gareggiano in bravura sia tra loro che con tutti gli altri componenti del cast. Difficilmente un film riesce a essere tanto completo e coinvolgente in tutte le sue sottotrame:qui la sceneggiatura e la regia non lasciano buchi. La fotografia eccezionale e l’ambientazione affascinante, Parigi è sempre Parigi, completano l’opera e coinvolgono emotivamente lo spettatore che viene trascinato nei meandri psicologici dei personaggi: soffre e gioisce con loro.
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Sorprende, emoziona e conquista questo bellissimo noir francese di Marchal. La storia di un commissariato di polizia è solo lo sfondo in cui calare la lotta di sempre tra il bene e il male, tra l’amore e l’odio, tra l’amicizia e il tradimento. Lirico, a tratti allucinato lo scontro incontro tra i due istrioni del cinema d’otralpe: Depardieu e Autiel. Gareggiano in bravura sia tra loro che con tutti gli altri componenti del cast. Difficilmente un film riesce a essere tanto completo e coinvolgente in tutte le sue sottotrame:qui la sceneggiatura e la regia non lasciano buchi. La fotografia eccezionale e l’ambientazione affascinante, Parigi è sempre Parigi, completano l’opera e coinvolgono emotivamente lo spettatore che viene trascinato nei meandri psicologici dei personaggi: soffre e gioisce con loro. Da non perdere!
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fabal
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giovedì 7 novembre 2013
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punto di svolta del cinema francese
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Ostaggio consenziente dell'esagerazione visiva, il thriller francese ha sfornato prodotti al limite dell'inverosimile per oltre un lustro. Le strizzate d'occhi al fantasy hanno reso apprezzabili pellicole come Vidocq, che già fotograficamente azzerava le pretese di realismo, ma hanno ghigliottinato l'anima polar ne L'impero dei lupi, o nel pessimo sequel de I fiumi di porpora (discreto il primo), fumettose pellicole in cui il povero Jean Reno si salvava dal ridicolo solo grazie a massicce dosi di autoironia.
Olivier Marchal, invece, cambia le carte in tavola ed inaugura un vero punto di svolta, in senso qualitativo, del cinema transalpino.
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Ostaggio consenziente dell'esagerazione visiva, il thriller francese ha sfornato prodotti al limite dell'inverosimile per oltre un lustro. Le strizzate d'occhi al fantasy hanno reso apprezzabili pellicole come Vidocq, che già fotograficamente azzerava le pretese di realismo, ma hanno ghigliottinato l'anima polar ne L'impero dei lupi, o nel pessimo sequel de I fiumi di porpora (discreto il primo), fumettose pellicole in cui il povero Jean Reno si salvava dal ridicolo solo grazie a massicce dosi di autoironia.
Olivier Marchal, invece, cambia le carte in tavola ed inaugura un vero punto di svolta, in senso qualitativo, del cinema transalpino. 36 Quai des Orfèvres è un noir che, senza semplificazioni, può essere definito "neoclassico", in cui il recupero del realismo è solo la condizione di partenza. Il titolo, infatti, non fa allusioni simboliche, limitandosi a riportare l'indirizzo della centrale di polizia parigina. Con molta classe il regista cede alle suggestioni dell'hard boiled, misurandosi con le lezioni tarantiniane di genere ma attingendone pressoché nulla: l'azione è violenta, talvolta all'eccesso, ma diretta con asciutto interesse per la "realizzazione" (nel senso letterale), con pochi fronzoli e molta sostanza. La credibilità di rapine e sparatorie è un efficace contorno all'ancor più concreta tresca di bureau poliziesco che a Marchal, ex gendarme, sta evidentemente a cuore. Polarizzata nelle figure di Auteil e Depardieu, la vicenda si sviluppa in un climax di contrasti fisici e meritocratici in cui l'infrazione della legalità è prassi anche per i buoni. Il valore positivo di Léo Vrinks, introvabile nella violenta dimensione in cui si muove, risiede nella sua giusta emotività, nel rapporto con la moglie Camille (Valeria Golino) celebrato, in molte scene, da un bellissimo tema musicale. A Klein, che dichiara apertamente "Questo lavoro è tutto quello che ho", non spetta che il ruolo di anti - eroe, soprattutto quando, verso la fine, la combina davvero sporca. Senza manicheismi fiacchi o banali, Marchal conclude il duello in modo poco ortodosso, distanziandosi dall'unica possibile paternità offerta dalla sfida (The Heat) tra De Niro e Pacino. Le somiglianze con il film di Mann si limitano però a pochi snodi narrativi, perché il duello tra Auteil e Depardieu non è un rusticano confronto di prime donne, ma il sintomo di una spirale corrotta in cui non c'è spazio per la cappa e spada finali.
Nonostante il calibro del cast, 36 Quai des Orfèvres ha forse un'anima troppo poco commerciale per non essere sottovalutato. Bilanciato nell'essenza, mai troppo fracassona, mai troppo lenta, è un film senza vizietti di ritmo, in cui tutto funziona anche a livello tecnico. Una bellissima fotografia e un montaggio brillante - ma non frenetico - non snaturano l'anima profondamente drammatica e toccante. Sancita, in ultimo, dagli ottimi dialoghi.
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giorpost
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giovedì 12 marzo 2015
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noir d’altri tempi con uno strepitoso auteuil
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Olivier Marchal è un regista di successo avendo alle spalle diverse importanti produzioni, ma prima di lavorare nella settima arte è stato un poliziotto e proprio per questo molte delle sue storie sono ambientate tra le forze dell’ ordine. Nel 2004 lancia la sua opera più importante, che ricalca fatti realmente accaduti riguardanti una squadra di polizia, appartenente al distretto che dà il titolo al film, che nella prima metà degli anni ’80 ha dato la caccia alla Gang des postiches, sanguinaria banda di rapinatori di banche attiva a Parigi. La poco onorevole caratteristica di quel distretto era la presenza, al suo interno, di agenti corrotti, tant’ è che alla stesura del plot ha partecipato anche tale Dominique Loiseau, ispettore in pensione indagato e condannato, per alcuni ingiustamente, a più di 5 anni di reclusione proprio per quei fatti.
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Olivier Marchal è un regista di successo avendo alle spalle diverse importanti produzioni, ma prima di lavorare nella settima arte è stato un poliziotto e proprio per questo molte delle sue storie sono ambientate tra le forze dell’ ordine. Nel 2004 lancia la sua opera più importante, che ricalca fatti realmente accaduti riguardanti una squadra di polizia, appartenente al distretto che dà il titolo al film, che nella prima metà degli anni ’80 ha dato la caccia alla Gang des postiches, sanguinaria banda di rapinatori di banche attiva a Parigi. La poco onorevole caratteristica di quel distretto era la presenza, al suo interno, di agenti corrotti, tant’ è che alla stesura del plot ha partecipato anche tale Dominique Loiseau, ispettore in pensione indagato e condannato, per alcuni ingiustamente, a più di 5 anni di reclusione proprio per quei fatti.
36 Quai des Orfèvres (Francia, 2004) è un poliziesco granitico dalle atmosfere plumbee, un noir atipico eseguito sotto forma di opera contemporanea ma impregnato di quei classici stilemi del giallo d’ autore d’ un tempo. Il cast è semplicemente straordinario ove, tra protagonisti e gregari, figurano molti degli interpreti transalpini migliori dell’ ultimo cinquantennio , a partire da André Dussollier, nel ruolo minore del capitano Mancini, passando per l’ esperto Daniel Duval, il coriaceo e consumato Gérard Depardieu e finendo a quel grandissimo e strepitoso Daniel Auteuil, tra i migliori attori europei in circolazione, nella sua ennesima grande prova.
Auteuil interpreta Vrinks (omaggio al vero ispettore John Vrindts ucciso nel 1980 dai succitati rapinatori), papabile successore a capo della polizia, poliziotto di rango alla guida del team che fronteggia la gang che sta mettendo a ferro e fuoco Parigi. Il suo antagonista non è un delinquente ma il collega e parigrado Klein (Depardieu), agente dai molti scheletri nell’ armadio col quale Vrinks è costretto a fare i conti in un duello che lascia lo spettatore senza fiato dall’ inizio alla fine. Tralasciando gli sviluppi della trama, perfettamente congegnata e fluente come poche, le attenzioni maggiori le rivolgo ad una regia dalla tecnica sopraffina, ad un’ eccellente fotografia e ad una colonna sonora di gran livello. Mi domando quindi: cosa si può chiedere di più ad un lungometraggio? Niente, direi. E visto che i 110 minuti scorrono senza tregua tra continui colpi di scena, sequenze d’ azione spettacolari e momenti di rara violenza riprodotta in modalità iperrealistica, nulla può contrastare l’ inserimento di quest’ opera nel novero dei cinque migliori film fin qui prodotti nel nuovo millennio, e non solo in Francia.
Ma questo lavoro si basa soprattutto su due cose: una sceneggiatura sciolta e realistica, in quanto elaborata da uomini che hanno lavorato davvero in quei torbidi ambienti, e poi sugli sguardi e sulla complessità del personaggio di Auteuil, che ancora una volta dimostra di poter ricoprire ogni tipologia di ruolo e di essere un vero gigante. Se Marchal aveva il preciso intento di dimostrare al mondo che la Francia, quando si mette d’ impegno, non ha nulla da farsi insegnare dal punto di vista cinematografico, l’ obiettivo è pienamente raggiunto
Voto: 10
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jackiechan90
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mercoledì 29 luglio 2015
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quando i poliziotti sono criminali
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Fin dalle sue origini il noir si è diviso tra storie di investigatori "umani troppo umani" (con sani principi morali ma tormentati e alieni al mondo che li circondava) e storie di criminali figli della propria epoca (irrimedibilmente corrotta). "36 Quai d'Orfevres" unisce questi due archetipi nelle figure di due protagonisti, interpretati da Daniel Auteil e Gerard Depardieu, mettendo in scena un noir (sarebbe più corretto parlre di polar, sottogenere made in France del noir stesso) stilisticamente perfetto e ben calibrato. Il crimine nasce dalla strada ma anche tutta la città ne è contagiata. E anche il commissariato di Quai d'Orfevres, che da il titolo al film, non ne è immune.
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Fin dalle sue origini il noir si è diviso tra storie di investigatori "umani troppo umani" (con sani principi morali ma tormentati e alieni al mondo che li circondava) e storie di criminali figli della propria epoca (irrimedibilmente corrotta). "36 Quai d'Orfevres" unisce questi due archetipi nelle figure di due protagonisti, interpretati da Daniel Auteil e Gerard Depardieu, mettendo in scena un noir (sarebbe più corretto parlre di polar, sottogenere made in France del noir stesso) stilisticamente perfetto e ben calibrato. Il crimine nasce dalla strada ma anche tutta la città ne è contagiata. E anche il commissariato di Quai d'Orfevres, che da il titolo al film, non ne è immune. Un posto dove i poliziotti pensano di più a far carriera, mettendosi i piedi in testa l'uno contro l'altro piuttosto che dare la caccia ai criminali. Anzi, arrivando anche ad usare i loro stessi metodi per raggiungere i propri scopi. Prendendo spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto (un poliziotto che venne fatto fuori durante una retata) vissuto dallo stesso regista della pellicola, ex-poliziotto, il film riflette sui nostri concetti di bene e male e di come la linea sottile che seepara questi due mondi sia in realtà molto labile.
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elgatoloco
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lunedì 9 dicembre 2019
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hard boyled di grande livello
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"36 Quai des Orfèvres"(2004, Olivier Marchal), più che noir vero hard boyled per l'efferatezza non solo di certe scene ma per la violenza insita in tutto il film, insieme a quel"profumo"di corruzione che percorre letteralmente tutto il fikm, è un esempio assoluto di come il cinema francesce, pur orfano di Truffaut, Chabrol, di Godard(che invero ha realizzato ancora un film, ma cui l'età e la salute imperdiranno, temo, ulteriori prove), ma anche di un Josè Giovanni, di un Jacques Deray etc., sa ancora realizzare film all'altezza del cinema mondiale più"interessante": questo"36 Quai des Orfèvres"ne è un esempio principe, direi, per la capacità di alternare violenza e "senso eroico"di protagonisti che, nel male come ben bene, sanno(quasi dostojevskjanamente)affermari"contro il mondo")in un ambito, quello della police, che, quanto a gratificazioni economiche, non offre grandi chances ma può dare almeno l'illusione del potere pressoché assoluto.
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"36 Quai des Orfèvres"(2004, Olivier Marchal), più che noir vero hard boyled per l'efferatezza non solo di certe scene ma per la violenza insita in tutto il film, insieme a quel"profumo"di corruzione che percorre letteralmente tutto il fikm, è un esempio assoluto di come il cinema francesce, pur orfano di Truffaut, Chabrol, di Godard(che invero ha realizzato ancora un film, ma cui l'età e la salute imperdiranno, temo, ulteriori prove), ma anche di un Josè Giovanni, di un Jacques Deray etc., sa ancora realizzare film all'altezza del cinema mondiale più"interessante": questo"36 Quai des Orfèvres"ne è un esempio principe, direi, per la capacità di alternare violenza e "senso eroico"di protagonisti che, nel male come ben bene, sanno(quasi dostojevskjanamente)affermari"contro il mondo")in un ambito, quello della police, che, quanto a gratificazioni economiche, non offre grandi chances ma può dare almeno l'illusione del potere pressoché assoluto. Ottima sceneggiatura, montaggio senza parti, interpretazione assolutamente di altisismo livello da parte di tutti, con in primo piano Gérard Depardieu, Daniel Auteuil(nettamente il migliore)e, bisogna ammetterlo, anche Valeria Golino, in un ruolo che rischiava di "scompensarla"nella direzione tragico-larmoyant o invece di una "neutralità"che sarebbe stata assolutamente incompatibile con quanto il film richiedeva... Ritratto fosco di un mondo comunque ancora in parte"inconnu", pieno di trappole e di"zone grige"nelle quali si nascondono "botole"di ogni tipo, dove la distinzione tra tutori dell'ordine e criminali rischiano di azzerarsi e comunque di confondersi in maniera inestricabile... Da vedere e rivedere, cosa non proprio frequente, per la CINEMATOGRAFIA DEGLI ANNI DELLA PRIMA PARTE DEL "NUOVO mILLENNIO". el Gato
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giomo891
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lunedì 19 settembre 2022
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il genere polar risuscita. giomo891
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In programmazione qualche tempo addietro, su Sky Cinema Collection, la piattaforma televisiva, nell'ambito di quella collection, ci propose un thriller di grande qualità, che si può comunque vedere in streaming anche tramite Mymovies.it.
Premiato dal pubblico al "Noir in Festival" di Courmayeur, nonché dai vari Cesar (per la migliore interpretazione e per il miglior film, ecc...) "36-Quai des orvefres", mette assieme per la prima volta, tre nomi notissimi del cinema francese: Depardieù, Auteil e Dussolier.
Il genere, molto in voga dagli anni 60/70, definito, dagli addetti,
Polar (poliziesco+noir) non produceva, da tempo, pellicole tanto avvincenti ed intense, come ai tempi del cinema di J.
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In programmazione qualche tempo addietro, su Sky Cinema Collection, la piattaforma televisiva, nell'ambito di quella collection, ci propose un thriller di grande qualità, che si può comunque vedere in streaming anche tramite Mymovies.it.
Premiato dal pubblico al "Noir in Festival" di Courmayeur, nonché dai vari Cesar (per la migliore interpretazione e per il miglior film, ecc...) "36-Quai des orvefres", mette assieme per la prima volta, tre nomi notissimi del cinema francese: Depardieù, Auteil e Dussolier.
Il genere, molto in voga dagli anni 60/70, definito, dagli addetti,
Polar (poliziesco+noir) non produceva, da tempo, pellicole tanto avvincenti ed intense, come ai tempi del cinema di J.Luc Godard, Francois Truffaut, Claude Chabrol, René Clement, Claude Lelouche, Bertand Tavernier e soprattutto di J.P. Melville. La storia stessa, in più, é caratterizzata da tradimenti e vendette, all'ombra della centrale di polizia, con sede nella via da cui il film prende il suo titolo.
Soprattutto l'interpretazione di Auteil qui appare superlativa, al pari del "cattivissimo" Depardieu, qui, quasi insopportabile.
Alla fine verrà presentato a lui il conto delle malefatte, ma...anche qui si sceglie una soluzione inaspettata...
Adattissima la colonna sonora di Erwann Kermorvan, buona la fotografia, molto curata, e da ultimo, un mio giudizio personalissimo, sulle donne del film: Golino non al suo meglio, grande invece la sia pur marginale ma intensa partecipazione di M.Demongeot.
Il genere che ho tanto amato nella mia giovinezza, finalmente ritorna con questo cast superlativo...era l'ora
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giomo891
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martedì 20 settembre 2022
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ritorno al genere "polar". giomo891
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In programmazione qualche tempo addietro, su Sky Cinema Collection, la piattaforma televisiva, nell'ambito di quella collection, ci propose un thriller di grande qualità.
Olivier Marchal alla regia ( dopo essere stato poliziotto) ci ripropone un film dal sapore "antico", dopo due film non andati in programmazione nelle sale italiane.
Premiato dal pubblico al "Noir in Festival" di Courmayeur, nonché dai vari Cesar (per la migliore interpretazione e per il miglior film, ecc...) "36-Quai des orvefres", mette assieme per la prima volta, tre nomi notissimi del cinema francese: Depardieù, Auteil e Dussolier.
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In programmazione qualche tempo addietro, su Sky Cinema Collection, la piattaforma televisiva, nell'ambito di quella collection, ci propose un thriller di grande qualità.
Olivier Marchal alla regia ( dopo essere stato poliziotto) ci ripropone un film dal sapore "antico", dopo due film non andati in programmazione nelle sale italiane.
Premiato dal pubblico al "Noir in Festival" di Courmayeur, nonché dai vari Cesar (per la migliore interpretazione e per il miglior film, ecc...) "36-Quai des orvefres", mette assieme per la prima volta, tre nomi notissimi del cinema francese: Depardieù, Auteil e Dussolier.
Il genere, molto in voga dagli anni 60/70, definito, dagli addetti,
Polar (poliziesco+noir) non produceva, da tempo, pellicole tanto avvincenti ed intense, come ai tempi del cinema di J.Luc Godard, Francois Truffaut, Claude Chabrol, René Clement, Claude Lelouche, Bertand Tavernier e soprattutto di J.P. Melville. La storia stessa, in più, é caratterizzata da tradimenti e vendette, all'ombra della centrale di polizia, con sede nella via da cui il film prende il suo titolo.
Soprattutto l'interpretazione di Auteil qui appare superlativa, al pari del "cattivissimo" Depardieu, qui, quasi insopportabile.
Alla fine verrà presentato a lui il conto delle malefatte, ma...anche qui si sceglie una soluzione inaspettata...
Adattissima la colonna sonora di Erwann Kermorvan, buona la fotografia, molto curata, e da ultimo, un mio giudizio personalissimo, sulle donne del film: Golino non al suo meglio, grande invece la sia pur marginale ma intensa partecipazione di M.Demongeot.
Auteil e Depardieu due colleghi si contendono la cattura di una banda di criminali che rapinano i camion porta-valori.
L'esito positivo gli varrebbe la nomina a Capo di un Distretto della Polizia.
Ma Depardieu, che si sente in svantaggio, si inserisce nell'appostamento e contribuisce, col suo intervento, a scatenare una sparatoria, che causa la morte del miglior amico/collega di Auteuil.
Non solo, per diventare Capo, ed alla fine, ci riesce, provoca la morte della compagna di Auteil.
Una scena particolarmente intensa del film è quella dei funerali solenni del poliziotto (interpretato dallo stesso regista) quando i componenti della squadra di Auteuil volgono le spalle a Depardieu ed alle Autorità presenti.
Un grande film cupo e ben interpretato, che scorre bene, soprattutto nella prima parte.
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blackinkline
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sabato 30 giugno 2007
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poteva andar meglio
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Le aspettative che i vari critici hanno incrementato non vengono certo deluse, questo almeno per i primi sessanta minuti. Il film parte come un proiettile, genera una tensione che dalle prime scene, in crescendo, ci accompagna per una buona metà della pellicola.E non parlo solo delle scene d'azione, che non hanno niente da invidiare alla serie televisiva "the Shield" (a cui il film si rifà senza lasciar ombra di dubbio). La tensione è presente anche nei silenzi (seppur pochi) e s'insinua tra parole dette e non dette tra i due protagonisti, tra i loro sguardi, tra i loro gesti. Un "proiettile inarrestabile" anche perchè il regista non guarda indietro, non concede flashback per rafforzare i personaggi, ma procede inesorabilmente avanti trascinando lo spettatore e concedendogli tuttalpiù la possibilità di far da sè una digressione-riflessione sui personaggi appena accennati, di cui non conosciamo il passato, ma il cui passato, presente e futuro si inscrive nei loro gesti.
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Le aspettative che i vari critici hanno incrementato non vengono certo deluse, questo almeno per i primi sessanta minuti. Il film parte come un proiettile, genera una tensione che dalle prime scene, in crescendo, ci accompagna per una buona metà della pellicola.E non parlo solo delle scene d'azione, che non hanno niente da invidiare alla serie televisiva "the Shield" (a cui il film si rifà senza lasciar ombra di dubbio). La tensione è presente anche nei silenzi (seppur pochi) e s'insinua tra parole dette e non dette tra i due protagonisti, tra i loro sguardi, tra i loro gesti. Un "proiettile inarrestabile" anche perchè il regista non guarda indietro, non concede flashback per rafforzare i personaggi, ma procede inesorabilmente avanti trascinando lo spettatore e concedendogli tuttalpiù la possibilità di far da sè una digressione-riflessione sui personaggi appena accennati, di cui non conosciamo il passato, ma il cui passato, presente e futuro si inscrive nei loro gesti. E' un fim fisico e la trama è un mero pretesto (per questo non ha importanza soffermarsi oltre sui personaggi, sul loro spessore).E' vero, è un film d'attori, e la coppia Depardeardieu-Dussollier è perfetta nel tracciare due personaggi paradossali che nell'antitesi stessa trovano la loro fusione, formando un cerchio indissolubile, un serpente che si morde la coda. Il punto di andata è il punto di ritorno, l'inizio e la fine. All'inizio i due polizziotti rinunciano per sempre alla loro salvezza e si condanno con i loro gesti. Ecco la gestualità che torna (solo essa conta) fa la storia, crea i ruoli. Non c'è redenzione (o meglio non ci dovrebbe essere stata): quando:::::::::::decide di essere complice di un omicidio pur di sgominare la banda dei portavalori non lo fa per un proprio senso di giustizia ma per un senso ancor più umano di competizione, di rancore e, perchè no, di autodistruzione. E' solo il caso a decidere chi dei due avrà la meglio.
E allora perchè se redenzione non dovrebbe essereci in realtà c'è? Perchè se i due protagonisti sono un unico personaggio hanno sorte diversa? Nella prima metà della pellicola non c'è distinzione tra bene e male, tra giuto e ingiusto. E' questo che regge il film. La corruzzione è ovunque, non solo nel dipartimento ma nell'anima dei due polizziotti dui cui uno (...)del dipartimento ne è l'immagine e l'altro ...)l'essenza.
D'un tratto inaspettatamente il cerchio comincia a sgretolarsi, l'elastico teso all'estremo, invece di spezzarsi si allenta sempre di più, il proiettile s'imbatte in una parete troppo resistente, quella della morale, dei buoni valori e infine dell'happy-and(!!!).
::::diviene direttore(?)del dipartimento, perdendo ogni possibilità di redenzione vendendo la propria anima per diventare sia immagine che essenza. Così l'equilibrio si spezza (anche se probabilmente il regista crede di averlo trovato) e il Bene e il Male si scindono. ::::::espia le proprie colpe (nella maniera più banale: 7 anni di prigione) e potrà così incarnare la Giustizia.
Inoltre se all'inizio del film il fatto che la trama fosse solo un prestesto non ci dispiaceva, ora la trama diviene un prestesto forzato e assume valore d'importanza fondamentale perlo svolgimento del film fino all'happy-end. (..........)
per la recensione intera :
"JustSomeWords" - recensioni sul cinema e sul fumetto:
www.blog.myspace.com/193275241
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(di franco1944)
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blackinkline
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sabato 30 giugno 2007
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poteva andar meglio (versione corretta)
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Le aspettative che i vari critici hanno incrementato non vengono certo deluse, questo almeno per i primi sessanta minuti. Il film parte come un proiettile, genera una tensione che dalle prime scene, in crescendo, ci accompagna per una buona metà della pellicola.E non parlo solo delle scene d'azione, che non hanno niente da invidiare alla serie televisiva "the Shield" (a cui il film si rifà senza lasciar ombra di dubbio). La tensione è presente anche nei silenzi (seppur pochi) e s'insinua tra parole dette e non dette tra i due protagonisti, tra i loro sguardi, tra i loro gesti. Un "proiettile inarrestabile" anche perchè il regista non guarda indietro, non concede flashback per rafforzare i personaggi, ma procede inesorabilmente avanti trascinando lo spettatore e concedendogli tuttalpiù la possibilità di far da sè una digressione-riflessione sui personaggi appena accennati, di cui non conosciamo il passato, ma il cui passato, presente e futuro si inscrive nei loro gesti.
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Le aspettative che i vari critici hanno incrementato non vengono certo deluse, questo almeno per i primi sessanta minuti. Il film parte come un proiettile, genera una tensione che dalle prime scene, in crescendo, ci accompagna per una buona metà della pellicola.E non parlo solo delle scene d'azione, che non hanno niente da invidiare alla serie televisiva "the Shield" (a cui il film si rifà senza lasciar ombra di dubbio). La tensione è presente anche nei silenzi (seppur pochi) e s'insinua tra parole dette e non dette tra i due protagonisti, tra i loro sguardi, tra i loro gesti. Un "proiettile inarrestabile" anche perchè il regista non guarda indietro, non concede flashback per rafforzare i personaggi, ma procede inesorabilmente avanti trascinando lo spettatore e concedendogli tuttalpiù la possibilità di far da sè una digressione-riflessione sui personaggi appena accennati, di cui non conosciamo il passato, ma il cui passato, presente e futuro si inscrive nei loro gesti. E' un fim fisico e la trama è un mero pretesto (per questo non ha importanza soffermarsi oltre sui personaggi, sul loro spessore).E' vero, è un film d'attori, e la coppia Depardeardieu-Dussollier è perfetta nel tracciare due personaggi paradossali che nell'antitesi stessa trovano la loro fusione, formando un cerchio indissolubile, un serpente che si morde la coda. Il punto di andata è il punto di ritorno, l'inizio e la fine. All'inizio i due polizziotti rinunciano per sempre alla loro salvezza e si condanno con i loro gesti. Ecco la gestualità che torna (solo essa conta) fa la storia, crea i ruoli. Non c'è redenzione (o meglio non ci dovrebbe essere stata): quando Léo Vrinks decide di essere complice di un omicidio pur di sgominare la banda dei portavalori non lo fa per un proprio senso di giustizia ma per un senso ancor più umano di competizione, di rancore e, perchè no, di autodistruzione. E' solo il caso a decidere chi dei due avrà la meglio.
E allora perchè se redenzione non dovrebbe essereci in realtà c'è? Perchè se i due protagonisti sono un unico personaggio hanno sorte diversa? Nella prima metà della pellicola non c'è distinzione tra bene e male, tra giuto e ingiusto. E' questo che regge il film. La corruzzione è ovunque, non solo nel dipartimento ma nell'anima dei due polizziotti dui cui uno (Denis Klein)del dipartimento ne è l'immagine e l'altro (Léo Vrinks)l'essenza.
D'un tratto inaspettatamente il cerchio comincia a sgretolarsi, l'elastico teso all'estremo, invece di spezzarsi si allenta sempre di più, il proiettile s'imbatte in una parete troppo resistente, quella della morale, dei buoni valori e infine dell'happy-and(!!!).
Klein diviene direttore della Polizia Giudiziaria, perdendo ogni possibilità di redenzione e vendendo la propria anima per diventare sia immagine che essenza del Dipartimeno. Così l'equilibrio si spezza (anche se probabilmente il regista crede di averlo trovato) e il Bene e il Male si scindono. Vrinks espia le proprie colpe (nella maniera più banale: 7 anni di prigione) e potrà così incarnare la Giustizia.
Inoltre se all'inizio del film il fatto che la trama fosse solo un prestesto non ci dispiaceva, ora la trama diviene un prestesto forzato e assume valore d'importanza fondamentale perlo svolgimento del film fino all'happy-end. (..........)
per la recensione intera :
"JustSomeWords" - recensioni sul cinema e sul fumetto:
www.blog.myspace.com/193275241
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