Non sono io

Roberto Nepoti

C'è un ristorante italiano a Lodz chiamato "La dolce vita": tutti quelli che ci lavorano, però, hanno un bel po' di guai. Più di tutti ne ha Matteo, appena arrivato dalla Sicilia e coinvolto in un delitto di mafia; ma anche al proprietario del locale, l'alcolista Mario, e a Ewa, la camerierina insidiata da un malvivente polacco, non mancano le gatte da pelare. Comunque, Matteo e Ewa trovano il modo d'innamorarsi; poi dall'Italia arriva un ghignante mafioso pronto a massacrare tutta la compagnia. Non sono io è diretto da Gabriele Iavarone, un ex-manager d'industria folgorato sulla via di Lodz dall'incontro con i film di Kieslowski: al punto da convertirsi al cinema seguendo i corsi della celebre scuola polacca.
Malgrado questo, e malgrado la successiva collaborazione con Jerzy Stuhr, non si può dire che il suo debutto nel lungometraggio c'entri granchè - fatta salva l'ambientazione - con l'esperienza in Polonia: sembra di ritrovarsi, piuttosto, dalle parti dellaPiovra e di fiction televisiva analoga (vedi il flashback del delitto, con i killer motociclisti mascherati dai caschi).
Si avverte il tentativo di trovare un onorevole compromesso tra dramma d'anime e film d'azione; però il risultato è doppiamente incerto. Da una parte, il dramma impedisce al regista di creare la suspense necessaria a una storia come quella che ha scelto; dall'altra, l'azione si concentra in un epilogo che, più che l'esito narrativo degli eventi, sembra un deus-ex-machina messo lì per trovare una fine con cui salvare la pelle ai buoni e punire il cattivo. Non male le scelte di casting. Antonio Berardinelli (Matteo) ha l'aspetto tormentato che si confà al personaggio; il buon Mario è servito dal fisico solido di Andrea Cambi, la bionda Agnieszka è graziosa e trepidante quanto occorre.
Da La Repubblica, 22 febbraio 2003


di Roberto Nepoti, 22 febbraio 2003