antonio 69
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giovedì 23 agosto 2007
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invasi dalla noia
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Pompato oltre ogni decenza dai media, esaltato come commovente, ironico, profondo, toccante, e che più ne ha più ne metta, è in realtà un banalissimo, noioso film, scritto male, recitato peggio e zavorrato da una insostenibile retorica. Tutto, ma proprio tutto è risaputo, a cominciare dall'idea di partenza dell'evento contingente (in questo caso la malattia del protagonista) che diventa spunto per una riunione di vecchi amici con annesso bilancio esistenziale. Che il figlio risentito finirà per riappacificarsi col padre nella mareggiata di melassa finale, il malcapitato spettatore lo capisce dalle prime battute, appena prima di addormentarsi. La lodatissima sceneggiatura si perde in una mare di chiacchiere perlopiù inutili e fintamente profonde.
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Pompato oltre ogni decenza dai media, esaltato come commovente, ironico, profondo, toccante, e che più ne ha più ne metta, è in realtà un banalissimo, noioso film, scritto male, recitato peggio e zavorrato da una insostenibile retorica. Tutto, ma proprio tutto è risaputo, a cominciare dall'idea di partenza dell'evento contingente (in questo caso la malattia del protagonista) che diventa spunto per una riunione di vecchi amici con annesso bilancio esistenziale. Che il figlio risentito finirà per riappacificarsi col padre nella mareggiata di melassa finale, il malcapitato spettatore lo capisce dalle prime battute, appena prima di addormentarsi. La lodatissima sceneggiatura si perde in una mare di chiacchiere perlopiù inutili e fintamente profonde. Il fondo della comicità (involontaria) lo tocca la scena della morte di Remy che vorrebbe essere toccante ed è solo melensa oltre ogni dire (si confrontino analoghe scene di addio al morente assai più efficaci e realmente commoventi, come in ''Million dollar baby'' e in ''Philadelphia''). Davvero brutto, con l'aggravante di prendersi terribilmente sul serio. Chi non l'ha ancora visto si astenga.
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[+] filoamericani: ecco i nuovi barbari.
(di angelo73)
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ilballodellestelle
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giovedì 22 gennaio 2004
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nude dissacrazioni ed intense emozioni...
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"E' gia così difficile interpretare il passato...figuriamoci predire il futuro"...o ancora "abbiamo abbracciato tutte le ideologie tranne il cretinismo". Frasi come queste sono l'indegna sintesi di una pellicola che si pone al confine tra vari generi. E'agrodolce la storia del malato terminale Remy che si trova al capezzale i suoi migliori amici. Sono dissacranti e comici i ricordi del passato, toccanti e paradossali i rapporti con i suoi due figli...forse fino ad allora ignorati. Le invasioni barbariche, l'attacco dell'11 settembre portato al cuore dell'impero americano è il tema di fondo...l'inquietante terrore che tutti attanaglia...simbolo insieme di morte e di vita diversa, terremoto emotivo, proprio come la malattia di Remy rispetto ai suoi parenti e amici, rispetto alle loro vite.
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"E' gia così difficile interpretare il passato...figuriamoci predire il futuro"...o ancora "abbiamo abbracciato tutte le ideologie tranne il cretinismo". Frasi come queste sono l'indegna sintesi di una pellicola che si pone al confine tra vari generi. E'agrodolce la storia del malato terminale Remy che si trova al capezzale i suoi migliori amici. Sono dissacranti e comici i ricordi del passato, toccanti e paradossali i rapporti con i suoi due figli...forse fino ad allora ignorati. Le invasioni barbariche, l'attacco dell'11 settembre portato al cuore dell'impero americano è il tema di fondo...l'inquietante terrore che tutti attanaglia...simbolo insieme di morte e di vita diversa, terremoto emotivo, proprio come la malattia di Remy rispetto ai suoi parenti e amici, rispetto alle loro vite. Consigliato a chi vuole divertirsi e riflettere, forse un pò più che riflettere...uno dei migliori film dell'anno.
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tiziana
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lunedì 23 febbraio 2004
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malattie terminali
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L’unica eco che rimbalza,è la certezza che non c’è più niente da salvare:la sanità pubblica allo sbando,i sindacati divenuti caricature,la burocrazia al degrado,la polizia paralizzata davanti al mercato della droga e le nuove generazioni ancorate al denaro:temi che a ben vedere sono mondiali.Tuttavia le I.B. non convince;la descrizione della“buona morte”può far scaturire l’ansia di accumulare denaro per non morire disperati e soli in uno squallido corridoio d’ospedale.Non convince il volto di Girard,che non sa recitare la parte del morente: un malato terminale ha il naso affilato dalla paura,é pallido,è magro oppure gonfio; dovrebbe avere occhiaie profonde.E’ inverosimile che in un tale momento,un uomo discorra amabilmente di Platone e Dante,di socialismo e di fellatio con amici e amanti.
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L’unica eco che rimbalza,è la certezza che non c’è più niente da salvare:la sanità pubblica allo sbando,i sindacati divenuti caricature,la burocrazia al degrado,la polizia paralizzata davanti al mercato della droga e le nuove generazioni ancorate al denaro:temi che a ben vedere sono mondiali.Tuttavia le I.B. non convince;la descrizione della“buona morte”può far scaturire l’ansia di accumulare denaro per non morire disperati e soli in uno squallido corridoio d’ospedale.Non convince il volto di Girard,che non sa recitare la parte del morente: un malato terminale ha il naso affilato dalla paura,é pallido,è magro oppure gonfio; dovrebbe avere occhiaie profonde.E’ inverosimile che in un tale momento,un uomo discorra amabilmente di Platone e Dante,di socialismo e di fellatio con amici e amanti.E’ poco credibile anche questa drogata,così graziosa che sembra un fiore in boccio(M. J. Croze, migliore attrice)e mi sorge il dubbio che per“migliore”,forse,si volesse intendere“la più bella”;certo, che la droga possa avere una sua ragion d’essere, uno scopo terapeutico e umanitario,è bene,ma non è così che si muore:è così che si vorrebbe morire,se mai si volesse morire;la vita può anche essere menzogna,e nessuno vorrebbe morire nella menzogna(mi riferisco alla cruda scena degli studenti pagati per far visita al prof.).Stona che l’amore per la vita sia confuso col dongiovannesco amore per il sesso,il cibo e il buon vino:queste sono solo melensaggini intellettuali.Alla fine mi sembra che l’unico barbaro sia Sebastien,e in fondo anche lui–nonostante si nutra di ipocrisia e corruzione–mostra di avere un cuore,quindi,di barbari,in questo film,non ce ne sono poi tanti.C’è solo un po’ di decadenza e voluttà orgiastica,nonché la ritrita formula che del domani non v’è certezza.Aspettavo con preveggenza la scenetta strappalacrime,e puntualmente è giunta:la figlia lontana,che appare in una strana connessione internet dal bel mezzo del Pacifico,stimola quel malessere che rischia di suscitare invidia,poiché-stranamente libera dalle pastoie di questa società–fluttua con grazia in oceani di pace e fatalismo.Non siamo entrati in un’epoca di barbarie,come Arcand ci vuol far credere:ci siamo sempre stati,e anche solo citare Locke avrebbe scosso la sceneggiatura.“A proposito di Schmidt”riuscì a descrivere il declino occidentale molto meglio.In fondo,è la vita stessa ad essere una malattia terminale.
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(di lilli66)
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germon
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lunedì 11 febbraio 2013
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parlare è un po' morire
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Gerardo Monizza
Delusione o arroganza, isolamento o fratellanza: sono i dubbi (o le certezze) di una vita. Rémy muore o meglio: sta morendo, ma non tace un attimo. È un professore universitario di storia forse non tanto male (nella didattica); in quanto al fisico è un uomo ultracinquantenne della specie comune: calvo, pancetta, fiacco, ma non flaccido. Adorabile e possente, se si devono considerare i suoi racconti erotici e le sue amanti; un “porco” lo considera tuttora la ex moglie (abbandonata, ma mai definitivamente lasciata) testimone perenne delle sue scappatelle e dei suoi malumori di rivoluzionario deluso.
Rémy (un corposo e sconsolato Rémy Girard) ha fatto il Sessantotto traendone sogni, una buona dote d’ideologia, una discreta cultura e tonnellate di dialettica.
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Gerardo Monizza
Delusione o arroganza, isolamento o fratellanza: sono i dubbi (o le certezze) di una vita. Rémy muore o meglio: sta morendo, ma non tace un attimo. È un professore universitario di storia forse non tanto male (nella didattica); in quanto al fisico è un uomo ultracinquantenne della specie comune: calvo, pancetta, fiacco, ma non flaccido. Adorabile e possente, se si devono considerare i suoi racconti erotici e le sue amanti; un “porco” lo considera tuttora la ex moglie (abbandonata, ma mai definitivamente lasciata) testimone perenne delle sue scappatelle e dei suoi malumori di rivoluzionario deluso.
Rémy (un corposo e sconsolato Rémy Girard) ha fatto il Sessantotto traendone sogni, una buona dote d’ideologia, una discreta cultura e tonnellate di dialettica. Dunque: Rémy sta morendo, ma non vuole. È umano. Si trova in un ospedale canadese (con tutte le caratteristiche di confusione, malasanità, disorganizzazione, pressappochismo di quelli nostrani) e muore scontento e infelice. La (ex) moglie Louise (Dorothée Berryman) ha un rigurgito di tenerezza e chiama al capezzale il figlio Sébastien (Stéphane Rousseau). I due non si parlano da tempo: il padre, professore, intellettuale non apprezza, né tollera il figlio finanziere, affarista, liberista, avventurista, capitalista. Li separano l’idea stessa della vita e della morte e migliaia di chilometri. Rémy sta a Montreal, il figlio a Londra. Ma Rémy sta morendo. Non c’è ideologia che tenga: le forze e la vita se ne vanno; il dolore sopravviene.
Buttati fuori dalla porta, l’amore e i sentimenti rientrano dalla finestra e insieme ritornano non l’unità della famiglia (che sarebbe impossibile), ma la comprensione e la compassione. Riappaiono, chiamati dal figlio che intende organizzare al meglio gli ultimi istanti del padre, anche agli amici di un tempo e le amanti amate per un tratto della vita, ripresentatesi a percorrere – insieme per pochi giorni – il ricordo e l’esperienza della giovinezza, senza nostalgie sciocche e senza rimpianti inutili, ma per godere attraverso le parole (e i piaceri della vita e della tavola) gli ultimi momenti di una vita fuggente.
“Le invasioni barbariche” è un film aspro, ma non cattivo e addirittura tenero nel tratteggiare il tempo delle delusioni profonde che attraversano i diversi soggetti di questa piccola comunità che si raccoglie intorno al capezzale di un amico. Rémy che muore è anche il simbolo di un mondo che scompare e che solo la parola può salvare. Rémy parla parla parla e con gli amici riempie le ultime giornate di piccole delizie (della tavola) e di parole che liberano finalmente i pensieri più nascosti (quelli sul sesso sono godibilmente sporcaccioni) o più eccitati (quelli sulla politica sono addirittura indecenti) rivelando del gruppo (tutti insegnanti universitari) una profonda cultura (diciamolo: classica e filosofica) e – infine – una grande umanità.
“Le invasioni barbariche” (regia e sceneggiatura Denys Arcand) è una storia che cerca di dare il giusto senso alle cose (idee, amori, passioni, rapporti umani eccetera) e di trasmettere l’amore per la vita. Rémy e i suoi amici, a furia di parlare, ristabiliscono le proporzioni, ma soprattutto le distanze, tra il Grande Impero Americano (già bersaglio del regista nel “Declino dell’Impero Americano”, 1987) e la razza dei “barbari”. I quali, nonostante il nome e le apparenze, non sarebbero gli “invasori” temuti, ma i “salvatori” dell’umanità e gli unici capaci di reagire attraverso la concretezza del pensiero.
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fulvio
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domenica 1 febbraio 2004
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chi sono i barbari?
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LE INVASIONI BARBARICHE.
Regia di Denys Arcand. Interpretato da Remy Girard, Stéphane Rousseau, Dorothee Berryman, Louise Portal, Dominique Michel. Commedia nera, colore, 99 min.
Improbabile pellicola di stampo teatrale, sottile, raffinata, snob come solo i francesi sanno essere quando trattano temi importanti, tra questi la vita e la morte. Interessante fotografia: gelida, distaccata chiara e morbosamente corretta, sorregge una regia notevole.
Sebastien è un giovane manager equilibrato e di successo, vive a Londra. La madre lo richiama a Montreal per una grave malattia del padre, professore universitario, attaccato alla vita e ai godimenti a tal punto da aver lasciato parecchi anni addietro la famiglia; nonostante il rancore il ragazzo garantirà, attraverso il denaro, una fine degna e serena al padre attorniandolo di amici e buoni sentimenti.
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LE INVASIONI BARBARICHE.
Regia di Denys Arcand. Interpretato da Remy Girard, Stéphane Rousseau, Dorothee Berryman, Louise Portal, Dominique Michel. Commedia nera, colore, 99 min.
Improbabile pellicola di stampo teatrale, sottile, raffinata, snob come solo i francesi sanno essere quando trattano temi importanti, tra questi la vita e la morte. Interessante fotografia: gelida, distaccata chiara e morbosamente corretta, sorregge una regia notevole.
Sebastien è un giovane manager equilibrato e di successo, vive a Londra. La madre lo richiama a Montreal per una grave malattia del padre, professore universitario, attaccato alla vita e ai godimenti a tal punto da aver lasciato parecchi anni addietro la famiglia; nonostante il rancore il ragazzo garantirà, attraverso il denaro, una fine degna e serena al padre attorniandolo di amici e buoni sentimenti.
Non manca lo spazio per affrontare temi forti e difficili non perfettamente amalgamati da dialoghi boriosi. L’ effetto è alienante, non coinvolge, rende spettatori distaccati. Profonda critica all’istituzione cattolica.
Ampiamente interessante, da vedere.
(Prod. Canada/Francia 2002).
Fulvio Firrito.
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g.
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domenica 7 dicembre 2003
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ironia e.. coraggio
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Film franco canadese. Si svolge a Montreal. Remy è un malato terminale. La sua ex moglie chiama il loro figlio Sebastien, giocatore nell'alta finanza londinese che ""non ha mai letto un libro"". Lui arriva al capezzale del padre e presto fa di tutto, usando soprattutto il denaro che non gli manca, per farlo stare meglio. Remy è un prefessore universitario, attaccatissimo alla vita, uno che ha succhiato tutto quanto ha potuto. Cinema, lbri, amici, vino... donne. I viagggi... quelli non li ha voluti più fare ""tanto ormai ci sono turisti ovunque..."" Morirà, soffrirà. Sebastien si procurerà un medicinale proibito: l'eroina. Non vuole vederlo soffrie, e vuole regalargli le ultime gocce di vino dolce dalla vita.
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Film franco canadese. Si svolge a Montreal. Remy è un malato terminale. La sua ex moglie chiama il loro figlio Sebastien, giocatore nell'alta finanza londinese che ""non ha mai letto un libro"". Lui arriva al capezzale del padre e presto fa di tutto, usando soprattutto il denaro che non gli manca, per farlo stare meglio. Remy è un prefessore universitario, attaccatissimo alla vita, uno che ha succhiato tutto quanto ha potuto. Cinema, lbri, amici, vino... donne. I viagggi... quelli non li ha voluti più fare ""tanto ormai ci sono turisti ovunque..."" Morirà, soffrirà. Sebastien si procurerà un medicinale proibito: l'eroina. Non vuole vederlo soffrie, e vuole regalargli le ultime gocce di vino dolce dalla vita. Niente amarezze. Ci riuscirà. Dialoghi altezzosi, al limite del manierismo, un po' troppa carne al fuoco. L'eroina... il gesto d'amore finale. Temi fortissimi, amalgamati non al meglio. Si finisce per non entrare del tutto nella storia, si è piuttosto spettatori. L'ironia non manca. E neanche il coraggio di parlare apertamente di alcuni temi forti.
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viadelpensiero
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giovedì 8 febbraio 2007
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terrorismo.
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“Io non credo alla favola di un terrorismo come minaccia mondiale in assoluto, ma non credo neanche alla sua piena assoluzione.“
Diciamo che il terrorismo da qualsiasi parte possa provenire sia esso braccia o mente sarà sempre da ritenersi istigazione e strumento di un potere egemone ed economico che dir si voglia.
Aggiungo che chi non agisce con azioni studiate, mirate, pacifiche, equilibrate, di contrasto e da contrappasso a soprusi e violenze sarà comunque condannato da se stesso ad una schiavitù repressa, ad una schiavitù mentale, ad una schiavitù di imposta forzata miseria indigente e ad una schiavitù di imposta forzata opulenza che porterà all’esproprio degli inalienabili diritti individuali che sono da ritenere propri per puro diritto di nascita e che a mio avviso dovranno essere sempre difesi da attacchi altrui e da apatie proprie.
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“Io non credo alla favola di un terrorismo come minaccia mondiale in assoluto, ma non credo neanche alla sua piena assoluzione.“
Diciamo che il terrorismo da qualsiasi parte possa provenire sia esso braccia o mente sarà sempre da ritenersi istigazione e strumento di un potere egemone ed economico che dir si voglia.
Aggiungo che chi non agisce con azioni studiate, mirate, pacifiche, equilibrate, di contrasto e da contrappasso a soprusi e violenze sarà comunque condannato da se stesso ad una schiavitù repressa, ad una schiavitù mentale, ad una schiavitù di imposta forzata miseria indigente e ad una schiavitù di imposta forzata opulenza che porterà all’esproprio degli inalienabili diritti individuali che sono da ritenere propri per puro diritto di nascita e che a mio avviso dovranno essere sempre difesi da attacchi altrui e da apatie proprie.
Se mi si chiede cosa specifico esattamente con il presente scritto, mi viene da osservare che esplicito esattamente ciò che l’accezione della parola comporta, niente di più niente di meno.
Nei Sani e Puri Spiriti Risvegliati Intra-vedo pieno equilibrio in controllate azioni e iniziative mirate pacifiche che non sono da equivocare con supine inerme acqui -scienze.
Coloro che ricercheranno azioni concrete di DIO in noi, agiranno senza indugi, coloro che saranno in grado di comprendere comprenderanno e agiranno senza violenza contro ogni asservimento e violenza.
J.U.R.M. Ben ISman
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jaky86
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venerdì 25 febbraio 2011
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rimpatriata da oscar
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Fantastico e commovente! Denys Arcand porta a casa meritatamente questo Oscar come miglior film straniero trattando il tema dell'eutanasia e criticando in maniera velata la società americana, da buon canadese. Il regista recupera, a distanza di 17 anni, gli stessi magnifici attori de "Il declino dell'Impero americano", con i loro efficaci e pungenti dialoghi su cultura, sesso, amore, guerra e religione e li raduna attorno al letto di un ottimo ed ingrassato Remy Girard, malato terminale. Si ride e si piange fino al triste ed inevitabile epilogo, che scalda i cuori del pubblico disegnando una morte poetica, accogliente e liberatoria.
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sindria
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martedì 15 marzo 2005
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l'inessenziale la fa da padrone
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Il film inizia con un bel piano sequenza su un'infermiera volontaria che fa visita ai malati nel reparto dove il protagonista e` ricoverato. La partenza e` bella. Ma poi il film, come un corridore che puo` solo sprintare, perde giri. Non tanto i temi che vengono affrontati, ma lo stile utilizzato e` esattamente lo stesso di molti altri film transalpini sui drammi occidentali. Ci si vede la stessa superficialita` e sofisticazione. L'apice minimo e` toccato alla battuta sulla fellatio. Si voleva rappresentare l'emancipazione e la modernita` dei costumi occidentali? Suona invece maledettamente forzata, messa li' per non scivolare nel dimeticatoio. Prescindibile e sovrastimato, a tratti noioso, e` consigliabile a chi non sa volar di fantasia ed ha bisogno di un aiutino per sognare.
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Il film inizia con un bel piano sequenza su un'infermiera volontaria che fa visita ai malati nel reparto dove il protagonista e` ricoverato. La partenza e` bella. Ma poi il film, come un corridore che puo` solo sprintare, perde giri. Non tanto i temi che vengono affrontati, ma lo stile utilizzato e` esattamente lo stesso di molti altri film transalpini sui drammi occidentali. Ci si vede la stessa superficialita` e sofisticazione. L'apice minimo e` toccato alla battuta sulla fellatio. Si voleva rappresentare l'emancipazione e la modernita` dei costumi occidentali? Suona invece maledettamente forzata, messa li' per non scivolare nel dimeticatoio. Prescindibile e sovrastimato, a tratti noioso, e` consigliabile a chi non sa volar di fantasia ed ha bisogno di un aiutino per sognare. Evitabile al resto del mondo.
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[+] penso...
(di bokk74)
[ - ] penso...
[+] perfetto
(di antonio 69)
[ - ] perfetto
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