Film Tv del 2000 di un certo Carner che, prendendo spunto da un fatto di cronaca, una trentina di omicidi di afroamericani, per lo più bambini e ragazzi, che si susseguirono ad Atlanta tra il ’79 e l’81, costruisce un plot romanzato, ispirandosi al bellissimo Missisipi burning di Alan Parker, con al centro le indagini condotte da due giornalisti, di cui uno bianco e uno di colore, interpretati rispettivamente da James Belushi e da Gregory Hines, che qualche anno dopo cercarono di andare a fondo alla vicenda, conclusasi processualmente con una sentenza che lasciò insoddisfatti i parenti delle vittime e con la quale si era comminato l’ergastolo ad un giovane di colore.
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Film Tv del 2000 di un certo Carner che, prendendo spunto da un fatto di cronaca, una trentina di omicidi di afroamericani, per lo più bambini e ragazzi, che si susseguirono ad Atlanta tra il ’79 e l’81, costruisce un plot romanzato, ispirandosi al bellissimo Missisipi burning di Alan Parker, con al centro le indagini condotte da due giornalisti, di cui uno bianco e uno di colore, interpretati rispettivamente da James Belushi e da Gregory Hines, che qualche anno dopo cercarono di andare a fondo alla vicenda, conclusasi processualmente con una sentenza che lasciò insoddisfatti i parenti delle vittime e con la quale si era comminato l’ergastolo ad un giovane di colore.
Ai toni drammatici fanno da contrappunto quelli della commedia, che, ovviamente, risultano stridenti e fuori luogo rispetto alle morti tragiche di trenta ragazzi ed al dolore delle madri che ancora piangevano i loro figli barbaramente assassinati. Meraviglia che si possa far soltanto sorridere trattando un argomento del genere, così come stupisce che al dramma collettivo della comunità nera di Atlanta, colpita da così tanti lutti concentrati in un breve arco temporale, si sia cercato di sovrapporre il dramma personale del giornalista, che per dedicarsi troppo al proprio lavoro ha trascurato la famiglia, si è separato dalla moglie e si è allontanato dal figlio piccolo, il che è come aggiungere la contravvenzione per porto d’armi abusivo ad uno accusato di una strage.
Al di là della sprovvedutezza degli sceneggiatori, che, a mio avviso, sfiora il cattivo gusto, il film è girato con defaiance tecniche da dilettanti, come quando nella telecamera si riflettono i fari della macchina dei due eroi dopo che sono stati assaliti dai membri del Ku Klux Klan e scelte stilistiche da capogiro, nel vero senso della parola, come ad esempio nella scena in cui la cinepresa inizia a ruotare vorticosamente senza senso intorno a tre attori seduti ad un tavolino di un night club, con l’unico effetto di far venire il mal di mare allo spettatore.
Il senso del tragico assoluto non appartiene a certa produzione d’oltreoceano, sicuramente non a questo film del 2000, e del resto l’attribuzione di un oscar, l’anno prima, ad un film, incentrato sull’olocausto, che ha anche i toni della commedia, ne è la dimostrazione.
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