carloalberto
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martedì 9 novembre 2021
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tre film una sola idea
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Lo schema è quello di altri due film di Kiarostami. Il protagonista ha un obiettivo da raggiungere. La restituzione di un quaderno al compagno di banco, in Dov’è la casa del mio amico del 1987. La ricerca di un uomo che ricopra le sue spoglie dopo il suicidio, nel Il sapore della ciliegia del 1997. Nel Il vento ci porterà via, fare un reportage fotografico su un particolare rituale funebre in un remoto villaggio curdo.
In ognuno c’è un tragitto da compiere, sempre uguale, ripercorso più volte, fino all’incontro con la figura del saggio. Nei primi due film, rispettivamente, impersonati dal vecchio falegname e dal tassidermista, nel terzo, dal dottore del paese.
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Lo schema è quello di altri due film di Kiarostami. Il protagonista ha un obiettivo da raggiungere. La restituzione di un quaderno al compagno di banco, in Dov’è la casa del mio amico del 1987. La ricerca di un uomo che ricopra le sue spoglie dopo il suicidio, nel Il sapore della ciliegia del 1997. Nel Il vento ci porterà via, fare un reportage fotografico su un particolare rituale funebre in un remoto villaggio curdo.
In ognuno c’è un tragitto da compiere, sempre uguale, ripercorso più volte, fino all’incontro con la figura del saggio. Nei primi due film, rispettivamente, impersonati dal vecchio falegname e dal tassidermista, nel terzo, dal dottore del paese.
Il vecchio saggio nell’offrire il suo aiuto al protagonista perché raggiunga il suo scopo materiale, gli mostra il mondo in una prospettiva diversa, rompe l’incantesimo liberandolo dal suo vagare in un labirinto senza uscita, metafora dei loop mentali che imprigionano l’anima in circoli viziosi, apre allo sguardo lo straordinario spettacolo che la natura offre spontaneamente, invita a godere delle cose semplici della vita, insegna, con il suo stesso esempio, l’amore del lavoro inteso come servizio reso alla comunità.
In ognuno dei tre film è coprotagonista la poesia, unica chiave di accesso dello spirito al mistero della Natura. Dov’è la Dimora dell’Amico di Sohrab Sepehri ispira il titolo del film dell’87. Versi anonimi di una poesia turca sono recitati dal tassidermista nel Il sapore della ciliegia. Una poesia di Forough Farrokhzad dà il titolo a quest’opera del ’99; i suoi versi risuonano suggestivamente in una grotta, dove una ragazza munge una vacca al buio, evocando, alla luce fioca di una lanterna, lo spavento e l’estasi di fronte alla bellezza della natura, al cui cospetto l’esistenza umana rimane nuda nella sua essenza di spettatore passeggero, come lo è stato Kiarostami, come noi, che assistiamo ai suoi film, mentre la vita scorre imperturbabile altrove.
In Kiarostami tutto si muove incessantemente. La cinepresa segue l’auto nel suo girovagare da un punto all’altro del paesaggio. In ogni inquadratura c’è movimento, le spighe che ondeggiano al vento, le donne affaccendate nei lavori domestici, i bambini che giocano, i cani che si rincorrono azzuffandosi. Il movimento è presente persino nell’azione non vista di un uomo che scava una buca.
Il protagonista appare scollegato da un passato di cui non v’è traccia e la sua storia è senza uno sviluppo futuro. Il girato riguarda la parte residuale della realtà, il presente, in sé per sé vuoto di significato, pregno, tuttavia, di segni, di immagini colte nella essenza vitale del movimento. Tutto questo movimento è la vita stessa nel suo accadere, come quello dello scarabeo stercorario che spinge la sua palla di cibo o la tartaruga capovolta che si raddrizza. Naturale nell’animale, il movimento è nevrotico nell’uomo.
E’ un accadere privo di senso a cui donano senso emblematicamente le parole illuminanti del vecchio saggio ed i versi di una poesia. Arte e tradizione in Kiarostami assumono la medesima funzione salvifica e liberatoria per l’uomo moderno, gettato nel mondo in un esistenza svuotata di significato, senz’altro scopo se non raggiungere in modo complicato mete insignificanti, dimentico della bellezza del viaggio in cui consiste la vita.
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stefano capasso
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giovedì 19 marzo 2020
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evoluzione nelle ripetizoni
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Tra le strade desertiche del Kurdistan iraniano una macchina si inerpica per raggiungere un villaggio dove Behzad e due suoi colleghi si stanno dirigendo per condurre un’inchiesta sui riti funebri locali. L’attesa della morte di una signora anziana si prolunga più del previsto e Bezhad e i suoi colleghi entrano in contatto più profondo con i locali.
Kiarostami prosegue nel suo lavoro sullo sguardo, sul posizionamento del dispositivo, e dello spettatore, che viene continuamente sollecitato verso la consapevolezza dell’esistenza dello stesso. È un lavoro sulla mancanza, molti dei protagonisti non vengono mai mostrati cosi come le stesse case degli abitanti; è anche un lavoro sul tempo, sempre più dilatato ed il proseguimento sulla destrutturazione della narrazione.
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Tra le strade desertiche del Kurdistan iraniano una macchina si inerpica per raggiungere un villaggio dove Behzad e due suoi colleghi si stanno dirigendo per condurre un’inchiesta sui riti funebri locali. L’attesa della morte di una signora anziana si prolunga più del previsto e Bezhad e i suoi colleghi entrano in contatto più profondo con i locali.
Kiarostami prosegue nel suo lavoro sullo sguardo, sul posizionamento del dispositivo, e dello spettatore, che viene continuamente sollecitato verso la consapevolezza dell’esistenza dello stesso. È un lavoro sulla mancanza, molti dei protagonisti non vengono mai mostrati cosi come le stesse case degli abitanti; è anche un lavoro sul tempo, sempre più dilatato ed il proseguimento sulla destrutturazione della narrazione. Emerge, con forza, il tema della ripetizione, nei dialoghi e soprattutto nella scena che si ripete all’infinito del protagonista che si dirige in macchina verso una collina dove è possibile parlare al telefono mobile. Proprio in questa ripetizione apparentemente sempre uguale a se stessa, si cela una delle pochissime unita narrative. Ogni telefonata riassume il passare del tempo trascorso, cosa è avvenuto e cosa no, e soprattutto diventa stimolo per la strada da prendere di chi, dall’altra parte del telefono, ha richiesto il lavoro a Behzad.
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ennio
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domenica 29 ottobre 2017
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un kiarostami quasi documentarista
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Non il migliore Kiarostami, ciònondimeno ne risulta una specie di documentario di vita agreste e pastorizia con i colori, le abitudini, i ritmi ed i silenzi che noi tutti ormai abbiamo sepolto nella memoria dei nostri avi. La tranquillità, il candore, la partecipazione di ognuno dei personaggi del paesello sono cose che nella società globale abbiamo perso da tempo.
L'appellativo di "ingegnere", dato al protagonista per una forma di umile rispetto e orgogliosa distanza, mi ricorda quello di Clara Calamai in "profondo rosso", ed anche personalmente mi ricordo un barista della mia città, vecchio stampo, che era solito chiamarmi così quando mi servivo da lui, nonostante io non fossi ingegnere e lui quasi certamente lo sapeva.
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Non il migliore Kiarostami, ciònondimeno ne risulta una specie di documentario di vita agreste e pastorizia con i colori, le abitudini, i ritmi ed i silenzi che noi tutti ormai abbiamo sepolto nella memoria dei nostri avi. La tranquillità, il candore, la partecipazione di ognuno dei personaggi del paesello sono cose che nella società globale abbiamo perso da tempo.
L'appellativo di "ingegnere", dato al protagonista per una forma di umile rispetto e orgogliosa distanza, mi ricorda quello di Clara Calamai in "profondo rosso", ed anche personalmente mi ricordo un barista della mia città, vecchio stampo, che era solito chiamarmi così quando mi servivo da lui, nonostante io non fossi ingegnere e lui quasi certamente lo sapeva.
La scena del cellulare che non prende è talmente ripetitiva e ossessiva da diventare alla lunga pura comicità.
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stefanocapasso
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sabato 3 maggio 2014
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l'importanza della poesia
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Un gruppo di giornalisti arriva in un villaggio sperduto tra i monti iraniani. Vogliono fare un report sulla morte di una vecchietta ultracentenaria che sembra essere arrivata agli ultimi giorni. Per questo si spacciano per ingegneri. Il film racconta la vita di uno di loro in questo villaggio, con i giorni che passano mentre aspettano l’evento che non arriva. Viene raccontano il lento processo di avvicinamento di uno di loro, cittadino, alla comunità locale. Avvicinamento che non è realmente possibile viste le differenze di cultura e di obiettivi. In qualche modo lui cerca di manipolare la comunità per i suoi scopi.
Molto bella la fotografia, scolpita e definita, a sottolineare il contesto della storia, essenziale, asciutto, dove ognuno ha un suo compito ben preciso e a quello si dedica.
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Un gruppo di giornalisti arriva in un villaggio sperduto tra i monti iraniani. Vogliono fare un report sulla morte di una vecchietta ultracentenaria che sembra essere arrivata agli ultimi giorni. Per questo si spacciano per ingegneri. Il film racconta la vita di uno di loro in questo villaggio, con i giorni che passano mentre aspettano l’evento che non arriva. Viene raccontano il lento processo di avvicinamento di uno di loro, cittadino, alla comunità locale. Avvicinamento che non è realmente possibile viste le differenze di cultura e di obiettivi. In qualche modo lui cerca di manipolare la comunità per i suoi scopi.
Molto bella la fotografia, scolpita e definita, a sottolineare il contesto della storia, essenziale, asciutto, dove ognuno ha un suo compito ben preciso e a quello si dedica. Quello che lega tutti è il bisogno di poesia, che in effetti trova spesso posto nella narrazione del film tra un uso del dialogo praticamente incessante
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clavius
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martedì 29 settembre 2009
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la vita sospesa...
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Il cinema di Kiarostami è sempre un sommo piacere. Tutto nel film è sospeso: i compagni del reporter non ci vengono mai mostrati; il villaggio in cui è ambientata la storia è irraggiungibile, quasi fatato; un uomo che scava la buca sul monte non ha nè corpo nè volto ma solo voce. Tutto è magnificamente poetico, aiutato anche dagli straordinari scenari naturali di una terra al confine col Paradiso. A luoghi incontaminati e legati alle tradizioni, si contrappone la frenesia del giornalista (che si spaccia per ingegnere) che ha l'intenzione di riprendere una processione funebre. L'armonia primordiale viene disturbata dagli squilli volgari di un telefonino. Il cinema di Kiarostami risulta molto lontano dalla nostra visione occidentale delle cose.
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Il cinema di Kiarostami è sempre un sommo piacere. Tutto nel film è sospeso: i compagni del reporter non ci vengono mai mostrati; il villaggio in cui è ambientata la storia è irraggiungibile, quasi fatato; un uomo che scava la buca sul monte non ha nè corpo nè volto ma solo voce. Tutto è magnificamente poetico, aiutato anche dagli straordinari scenari naturali di una terra al confine col Paradiso. A luoghi incontaminati e legati alle tradizioni, si contrappone la frenesia del giornalista (che si spaccia per ingegnere) che ha l'intenzione di riprendere una processione funebre. L'armonia primordiale viene disturbata dagli squilli volgari di un telefonino. Il cinema di Kiarostami risulta molto lontano dalla nostra visione occidentale delle cose. Pertanto è stupido leggervi solo gli indiscutibili tratti di un cinema di maniera, è necessario ammettere che dietro la superficie di questa storia si colgono gli ultimi bagliori dell'umanità.
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matteo78
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domenica 23 agosto 2009
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grandissimo film
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sono film come questo che lasciano spazio alla riflessione e ci danno qualcosa..grazie Kiarostami
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nihil
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martedì 5 febbraio 2008
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un film noioso, e pure inutile.
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mai visto film più inutile, noioso, e pure borioso, autocompiacente..
non è la sua lentezza, non è la sua ripetività, non è il suo puntare da nessuna parte, è la sua noia, è la sua vuotezza, la sua inutilità.
kiarostami in questo film ci fa solo sbadigliare fino alle lacrime, questa sua noia non ha nessun significato, non porta da nessuna parte, è inutile, e il regista si auotocompiace di quelle che lui crede essere qualità autoriali..
inutile. e brutto. non riesco davvero a trovarci nessuna qualità, nessun 'in fondo..'.
salvo soltanto i primo 5 muniti di introduzione, della macchina e delle voci fuori campo. vedete quello, e poi potete anche spegnere.
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(di alberto cinelli)
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alberto cinelli
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domenica 4 novembre 2001
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ma che palle quel telefonino!!
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Ho l'impressione che gran parte dei critici cinematografici italiani (ma anche di qualcuno del pubblico), quando hanno parlato benissimo di questo film dovevano essere ubriachi. Questa volta Kiarostami ha preso un bel granchio. Senza alcun senso, noioso, ripetitivo (che palle quel telefonino!!). Il tutto poi per andare a filmare una vecchia che muore. Ma per piacere!! Tra l'altro è anche poverissimo di idee, con un ricorso a scene e situazioni già viste e con personaggi che più antipatici di così si muore. Ma dov'è finito il regista di Close up, di E la vita continua e del Sapore della ciliegia?
[+] non credo assolutamente
(di matteo78)
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