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Canto del cigno del cinema pasoliniano. Valutazione 3 stelle su cinque

di eddie '85


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venerdì 29 ottobre 2010


 
Film che segna l’esordio alla regia dell’attore Franco Citti, con la “fraterna collaborazione” del fratello Sergio, il quale mostrava già i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla morte pochi anni dopo.
Il film fu girato nel 1998, ma distribuito, e male, solo nell’estate del 2004, per approfittare del successo televisivo di Fiorello, qui co-protagonista.
In una comunità di diseredati e poveri, ma felici, agisce Salvatore (Fiorello), il quale fornisce speciali boccette con la capacità di far avverare i sogni: la situazione della borgata cambia quando un costruttore giapponese acquisisce la zona per costruire appartamenti di lusso e offre agli abitanti nuove sistemazioni più confortevoli.
Nel frattempo assistiamo al vagare di Beppe (Franco Citti) e Lella: Lella è convinta che Beppe sia il promesso sposo che credeva morto, ma Beppe non ricorda nulla e non riconosce la donna.
Il tono del film è quello “favolistico comico” con momenti di analisi sociale, e un diffuso e malinconico sentimento quasi di antimodernità: i modelli sono Pier Paolo Pasolini e, soprattutto, il cinema di suo fratello Sergio.
Apro una piccola parentesi su Sergio Citti, colui il quale introdusse Pasolini nel mondo delle borgate romane e ne fu in parte ispiratore, per ricordare che è stato, con i suoi alti e bassi, uno degli autori più curiosi e interessanti del panorama cinematografico italiano, autore di commedie d’ambientazione borgatara, popolare o contadina, con un intreccio favolistico legato però allo sfondo sociale, con tocchi poetici e una forte vena ironico-sarcastica (cito alcuni suoi film: “Ostia” (1970), “Casotto” (1974), “Mortacci” (1989), “Magi randagi” (1996)…).
“Cartoni animati” è un film sconnesso, che vive di momenti e “sketch” che sembrano quasi scollegati tra loro: molti di questi momenti sono però validi e divertenti: diciamo che più dell’intreccio conta l’atmosfera, a volte patetica, a volte amara, a volte ironica, delle singole scene.
 È anche un film “fuori tempo massimo”, che può considerarsi anacronistico per i tardi anni novanta, quasi voglia essere il canto del cigno di un certo stile, quello pasoliniano e di Sergio Citti, di fare cinema.
Fiorello, che poi non avrà fortuna nel cinema, se la cava più che bene.
Concludo riportando un aneddoto: Quando Franco Citti parlò al fratello del suo progetto di girare il film, Sergio chiese, naturalmente in stretto romanesco: <<ma sai almeno dove si mette la macchina?>> ricevendo come risposta da franco: <<Certo, in garage!>>. voto: 6 1/2

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