The Rocky Horror Picture Show |
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Un film di Jim Sharman.
Con Susan Sarandon, Tim Curry, Barry Bostwick, Richard O'Brien, Meat Loaf.
continua»
Musicale,
durata 95 min.
- USA, Gran Bretagna 1975.
- Nexo Digital
uscita martedì 30 ottobre 2012.
- VM 14 -
MYMONETRO
The Rocky Horror Picture Show
valutazione media:
4,22
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Don't dream it, be it...di volevosolodiventareFeedback: 838 | altri commenti e recensioni di volevosolodiventare |
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lunedì 27 settembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Tecnicamente i musical non mi piacciono. Tecnicamente i musical mi mettono a disagio. Il piedino che inizia a muoversi, il capo che inizia a ciondolare involontariamente a ritmo e i motivetti che mi restano in testa per giorni, che nemmeno Padre Karras può nulla per aiutarmi. I musical mi causano sempre una particolare reazione epidermica, letteralmente, lasciandomi sospesa per due ore in uno strano limbo, che si estende titubante tra il disgusto e il piacere. Ciononostante, venerdì sono andata al Cinema Mexico in via Savona per la Rocky Horror Night, a vedere – va da sé – The Rocky Horror Picture Show. Meraviglioso. Un Tim Curry imperdibile, superiore, eccessivo, isterico e istrionico, mi ha fatta inesorabilmente innamorare del Dottor Frank N Furter, il dolce travestito, il diavolo d’amante che sedurrà nottetempo una giovanissima, virginale Susan Sarandon e il suo iper-pudico fidanzatino Brad. Tim Curry è il pilastro di questo musical, con la sua sublime ambiguità, che incarna senza intelletualismo il fascino della libertà sessuale, ma anche umana ed emotiva, in un piccolo microcosmo isolato, racchiuso in un castello sperduto, nel quale bizzarri personaggi provenienti dal pianeta bisesso si vivono, si uccidono e si mangiano. Ed è questa la bellezza maggiore di The Rocky Horror Picture Show: il chiaro messaggio che molti dei valori e delle categorie sociali nelle quali siamo abituati a muoverci, sono tutt’altro che naturali. Il chiaro messaggio che i limiti imposti dalla società non dovrebbero castrare l’espressione di ciò che siamo, espressione che, qualora diversa, non è detto sia sbagliata, tutt’altro. Nella fattispecie, poi, Frank N Furter si rivela un promiscuo Frankenstein, cannibale e omicida, ma è figlio di un ironico e geniale sovradosaggio di caratterizzazione, utile ad esprimere la delirante – e spassosissima – alienazione dei personaggi. Che, non dimentichiamolo, sono umani ma transilvani, hanno le nostre fattezze ma vengono da un altro pianeta, vestendosi e truccandosi come noi non avremmo il coraggio di vestirci né di truccarci, ed essendo ciò che “noi altri”, cosiddetti normali, non avremmo il coraggio d’essere. Ma il bello è che il musical dice tutto questo con una tale, squisita, grottesca sobrietà che sembra quasi che non voglia assolutamente dire nulla di tutto questo. Fino alla fine. Quando qualcosa scende più giù, tra “The Floor Show” e “I’m going home”, quando l’urlo diventa narrazione di dolore e, insieme, invocazione, consiglio, suggestione: “Don’t dream it, be it”. Una dolcissima esortazione, fatta 35 anni fa. E ancora attuale. Fino alla fine, quando i corpi si uniscono, ondeggiando sinuosi, liberi, corrotti nella carne e puri nello spirito, in una rarefatta evoluzione, maturata per mezzo di qualche spargimento di sangue, laddove il fine giustifica i mezzi o forse no, ma in fondo è lo stesso. Una trama che dosa spontaneamente reggicalze e posture sociali, umanità e disumanità, carneficine e sensibilità, con la leggerezza dell’intrattenimento dichiarato, rifuggendo sermoni e inneggiando alla più desiderabile e umana amoralità. La colonna sonora è adorabile e resisterle sarebbe sacrilego, specie considerata l’ispirazione rock dell’opera nel suo complesso, che abbassa notevolmente la soglia del mio personale imbarazzo, causato dal genere musical in quanto tale. Non c’è da stupirsi che The Rocky Horror Picture Show sia un must.
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