verdoux
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lunedì 28 giugno 2004
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un film che si fa amare
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film che si può assimilare ad una forma sonata musicale; esposizione: la fine della guerra e il canto di pace, la strage sul colle
del triangolo, la prigionia; sviluppo: il viaggio (in flash back) e l’illuminazione di mizushima; ripresa: la ricerca dei
commilitoni e il ritrovamento, l’addio ed il ritorno a casa;
si potrebbe definire un musical di guerra, contro la guerra; i momenti musicali sono immanenti all’azione del film e ne
costituiscono i passaggi salienti; (cosa che non avviene nei film musicali dove il numero musicale interrompe l’azione); il
percorso spirituale di un uomo che cerca se stesso e quello di un gruppo di amici che, in preda al rimorso per averlo lasciato
solo, cercano lui; il film non indulge al patetismo; gli orrori della guerra sono mos
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film che si può assimilare ad una forma sonata musicale; esposizione: la fine della guerra e il canto di pace, la strage sul colle
del triangolo, la prigionia; sviluppo: il viaggio (in flash back) e l’illuminazione di mizushima; ripresa: la ricerca dei
commilitoni e il ritrovamento, l’addio ed il ritorno a casa;
si potrebbe definire un musical di guerra, contro la guerra; i momenti musicali sono immanenti all’azione del film e ne
costituiscono i passaggi salienti; (cosa che non avviene nei film musicali dove il numero musicale interrompe l’azione); il
percorso spirituale di un uomo che cerca se stesso e quello di un gruppo di amici che, in preda al rimorso per averlo lasciato
solo, cercano lui; il film non indulge al patetismo; gli orrori della guerra sono mostrati senza inutili compiacimenti; anche la
scelta di mizushima di non tornare per seppellire i morti non provoca sentimenti di pietà; anzi fa discutere; perché occuparsi
dei morti in Birmania anziché dei vivi che attendono nella patria distrutta? per portare la pietà là dove c’era stata tanta
crudeltà è la non facile risposta;
accanto a qualche difetto come una certa prolissità e ripetività nella terza parte, molti sono i pregi di questo film: le
inquadrature, il taglio delle scene, l’uso della luce e delle ombre, la profondità di campo, le figure fuori centro o schiacciate
nei panorami; la tecnica di regia è quella di un maestro quale è kon ichikawa; alcune scene sono di eccezionale bellezza;
alcune citazioni: la scena degli inglesi che avanzano cantando accompagnati dall’arpa di mizushima è strepitosa, il pubblico
dovrebbe alzarsi in piedi come all’alleluia di haendel; il cammino di mizushima verso Mudon; i ragazzi birmani che danno da
mangiare al falso bonzo; il funerale del soldato ignoto giapponese; i birmani che seppelliscono i morti giapponesi vicino al
lago; le riprese a Rangun; la lettura della lettera sul ponte della nave e le immagini del mare che scorrono sulle parole di
mizushima “ho superato i monti e guadato i fiumi come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano; ho visto l'erba
bruciata, i campi riarsi; perché tanta distruzione è caduta sul mondo? e la luce mi illuminò i pensieri; nessun pensiero umano
può dare risposta a una domanda disumana; potevo solo portare la pietà dove era esistita la crudeltà”;
è il mio film preferito, uno dei più belli che abbia mai visto; è un film che si fa amare mentre lo si guarda e che poi lascia
dentro di sé la sensazione di aver visto qualcosa di bello;
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g. romagna
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mercoledì 27 gennaio 2010
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l'arpa birmana
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Birmania, 1945. Un soldato ed arpista giapponese, al termine della guerra, salvatosi per miracolo, decide di non ritornare in Giappone e, dopo aver vestito i panni di monaco buddhista, di girare per il paese in cui ha combattuto per dare sepoltura alle migliaia di vittime che ne sono rimaste prive. I compagni, fatti prigionieri dagli Inglesi, sono convinti che egli sia morto in ricognizione, ma, sentendo un giorno un arpa suonata dalle mani di un ragazzo che ha il suo stesso stile -e che, non per niente, è stato suo allievo-, si convincono del contrario, fino a quando è egli stesso a farsi trovare, sempre tramite l'inconfondibile suono dello strumento.
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Birmania, 1945. Un soldato ed arpista giapponese, al termine della guerra, salvatosi per miracolo, decide di non ritornare in Giappone e, dopo aver vestito i panni di monaco buddhista, di girare per il paese in cui ha combattuto per dare sepoltura alle migliaia di vittime che ne sono rimaste prive. I compagni, fatti prigionieri dagli Inglesi, sono convinti che egli sia morto in ricognizione, ma, sentendo un giorno un arpa suonata dalle mani di un ragazzo che ha il suo stesso stile -e che, non per niente, è stato suo allievo-, si convincono del contrario, fino a quando è egli stesso a farsi trovare, sempre tramite l'inconfondibile suono dello strumento. I compagni, ormai in procinto di essere liberati per far ritorno in patria, cercano di convincerlo a seguirli, ma invano: la sua missione è ormai un'altra. Struggente, poetico e poco conosciuto dramma pacifista, L'Arpa Birmana è un grande film in cui la musica assume il valore di significante: è tramite la musica infatti che i soldati protagonisti riescono a comunicare tra di loro, stabilendo una forma di contatto intima e capace di lenire, con la sua grazia, i drammi del conflitto cui devono assistere. Le melodie sono struggenti, ed il suono cristallino dell'arpa è ampiamente in grado di trasmettere quelle sensazioni di armonia che contrastano con la desolazione imperante, anche a guerra finita. Sarebbe bello poter usufruire di un'edizione italiana in cui i testi cantati siano sottotitolati nel nostro idioma, ma, alla fin fine, anche così i momenti musicali del film non perdono nulla del loro valore e della loro bellezza: quando la musica è infatti toccante e significativa, come in questa pellicola, la sua armonia riesce a sfiorare le corde del cuore e ad emozionare così, solo grazie alla sua più intima natura, senza che ci siano parole a spiegarci i sentimenti che sono evocati. Grandioso, struggente e da genuine lacrime è il finale, nel suo alternarsi di lirismo aulico prima e realismo poi, con la commovente missiva di Mizushima letta ai compagni e la constatazione seguente della difficoltà umana di conservare una solida memoria storica degli orrori perpetrati affinchè possano non accadere più. Quanto un messaggio del genere ha da insegnarci ancor oggi, e quanto, purtroppo, sappiamo già che non verrà ascoltato. Capolavoro.
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luca scialò
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venerdì 17 settembre 2010
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l'amicizia e la pace rappresentata in un'arpa
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"Rossi come il sangue sono le terre e i monti di Birmania". Quale descrizione migliore, che anticipa e posticipa il film, rappresenta al meglio il dramma vissuto dalla Birmania, da decenni afflitta da invasori sanguinari, che si scagliano contro il suo popolo pacifico. Il film è ambientato nel 1945, quando tale Paese era conteso tra Inghilterra e Giappone; nell'esercito di quest'ultimo c'è Mizushima, un soldato che dopo aver visto molti suoi colleghi compaesani morire, decide di lasciare l'esercito, diventare monaco buddhista, e dedicarsi al seppellimento dei cadaveri dei soldati giapponesi sparsi su tutta la Birmania.
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"Rossi come il sangue sono le terre e i monti di Birmania". Quale descrizione migliore, che anticipa e posticipa il film, rappresenta al meglio il dramma vissuto dalla Birmania, da decenni afflitta da invasori sanguinari, che si scagliano contro il suo popolo pacifico. Il film è ambientato nel 1945, quando tale Paese era conteso tra Inghilterra e Giappone; nell'esercito di quest'ultimo c'è Mizushima, un soldato che dopo aver visto molti suoi colleghi compaesani morire, decide di lasciare l'esercito, diventare monaco buddhista, e dedicarsi al seppellimento dei cadaveri dei soldati giapponesi sparsi su tutta la Birmania. I suoi compagni dell'esercito lo vorrebbero di nuovo con sè, ma lui ha scelto un altro percorso di vita.
Film toccante, di critica a quell'atroce assurdità che è la guerra. Ma anche in un deserto così arido possono spuntare fiori della speranza, quali la pace e l'amicizia, riunite grazie ad uno strumento: l'arpa.
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luigi chierico
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mercoledì 4 giugno 2014
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memento homine
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Un film indimenticabile contro le guerre,non è servito,purtroppo,a renderle indimenticabili!Dal 1956 ad oggi,in appena 50 anni, vi sono stati oltre 50 guerre,conflitti,ed attentati.Basta ricordare la guerra del Vietnam,di pochi anni dopo,dal 1964 al 1975. La guerra di un popolo così vicino al Giappone e alla Birmania.Tantissime guerre si sono succedute nei secoli,tante ancora oggi se ne fanno, e mai cesseranno nei secoli futuri.Un film indimenticabile che non è servito a dissuadere i popoli dal ricorrere ai mezzi,forti per essere ascoltati.La forza deve vincere la ragione.Forse perché i sopravvissuti dimenticano ed i morti non possono ricordare!Il soldato giapponese Mizushima(ottimamente interpretato da Tatsuya Mihashi),si batte oltre ogni limite per convincere i suoi compatrioti a rinunciare ad una guerra ormai persa.
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Un film indimenticabile contro le guerre,non è servito,purtroppo,a renderle indimenticabili!Dal 1956 ad oggi,in appena 50 anni, vi sono stati oltre 50 guerre,conflitti,ed attentati.Basta ricordare la guerra del Vietnam,di pochi anni dopo,dal 1964 al 1975. La guerra di un popolo così vicino al Giappone e alla Birmania.Tantissime guerre si sono succedute nei secoli,tante ancora oggi se ne fanno, e mai cesseranno nei secoli futuri.Un film indimenticabile che non è servito a dissuadere i popoli dal ricorrere ai mezzi,forti per essere ascoltati.La forza deve vincere la ragione.Forse perché i sopravvissuti dimenticano ed i morti non possono ricordare!Il soldato giapponese Mizushima(ottimamente interpretato da Tatsuya Mihashi),si batte oltre ogni limite per convincere i suoi compatrioti a rinunciare ad una guerra ormai persa. I suoi commilitoni,in preda di un cieco fanatismo,non lo ascoltano,anzi lo accusano di essere vigliacco e traditore,per sentirsi rispondere:”Vigliacco?,io non sono vigliacco!”;“A che serve adesso morire?,bisogna vivere per il bene della nostra Patria”.Un massacro inutile.Di un inutile folle gesto,che non si può chiamare sacrificio resta un soldato superstite,ferito,con unica compagna la sua arpa.Il sacrificio serve a salvare qualcuno o qualcosa,anche un’idea,non certo per una cieca obbedienza ad un ordine,spesso dato da un folle,da un assassino.Non penso soltanto ad un fuhrer o ad un kamikaze.
Sebbene il film non abbia nulla di spettacolare nello scenario,infatti mostra le atrocità delle battaglie,i bombardamenti,corpi lacerati,in un bianco e nero che mostra la realtà in tutta la sua crudezza,ha una tale portata nel messaggio di pace,da poterlo annoverare tra i migliori capolavori di tutti i tempi.Il modesto soldato Mizushima,non avrà lo stesso destino dei suoi amici, è salvo ma ha una missione da compiere.
Assistito e curato da un bonzo andrà via ramingo con la sua fedele arpa,le cui corde emettono note musicali che arrivano al cuore,come parole d’amore.Attraverserà i campi di battaglia con montagne di cadaveri, soldati morti per una guerra,in nome di una Patria o di una pace cercata con la violenza.La violenza però provoca altra violenza,se si conquista la pace,questa è effimera.Preso da una pietas,che è misericordia, amore per il prossimo,il soldato darà sepoltura a tutte le migliaia di morti che troverà sulla sua strada e la terra”non basta a ricoprire i morti”.Il compito di una Patria dimentica e senza scrupoli affidato ad un …vigliacco! Il bonzo si ritroverà con i suoi soldati ma non lascerà i suoi morti per tornare in una Patria che non ha saputo dire:basta alla guerra,arrendiamoci.
Ascoltando il suono dell’arpa in un inno di pace e la musica di Home, sweet home, ascolteremo la voce di Mizushima,affidata ad una lettera :”…ho superato monti,guadato fiumi,come la guerra…in un urlo insano,ho visto l’erba bruciata….Nessun pensiero umano può dare una risposta a un interrogativo inumano.....quando vidi i morti giacere insepolti,preda degli avvoltoi,della dimenticanza e dell’indifferenza..decisi di rimanere perché sapessero che una memoria d’amore li ricorda”.Giustamente il film è stato definito ”lirico, poetico con momenti di dolorosa e maestosa bellezza”. Uscendo dal cinema,forse con le lacrime agli occhi,ma certamente col freddo che invade il tuo spirito,con cuore e mente sconvolti,vorrai anche tu almeno per un po’ suonare l’arpa per un mondo migliore che scelga sempre la pace alla guerra,la vita alla morte.chigi
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greatsteven
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venerdì 18 maggio 2018
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melodia e recitazione in un peplum inconsueto.
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L'ARPA BIRMANA (GIAP, 1956) diretto da KON ICHIKAWA. Interpretato da SHOJI YASUI, RENTARO MIKUNI, TATSUYA MIYASHI, YUNOSUKE ITO, TAKETOSHI NAITO, JUN HAMAMURA, SHUNJI KASUGA, AKIRA NISHIMURA, HIROSHI TSUCHIKATA, TANIE KITABAYASHI
Birmania, luglio 1945: una pattuglia di soldati giapponesi in ritirata nella giungla tenta di raggiungere il confine con la Thailandia. Il giovane Mizushima, per tenere alto l’umore del plotone, si fabbrica un’arpa birmana e la suona coinvolgendo i commilitoni che cantano motivi della propria terra: ma il tentativo di fuga fallisce e la compagnia è costretta alla resa. Quando giunge la notizia della capitolazione del Giappone e della fine della guerra, gli inglesi chiedono ai prigionieri di guerra giapponesi di far arrendere un gruppo di loro compatrioti che, riparatisi in una grotta, han deciso di continuare a combattere, e il suo comandante affida l’incarico a Mizushima.
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L'ARPA BIRMANA (GIAP, 1956) diretto da KON ICHIKAWA. Interpretato da SHOJI YASUI, RENTARO MIKUNI, TATSUYA MIYASHI, YUNOSUKE ITO, TAKETOSHI NAITO, JUN HAMAMURA, SHUNJI KASUGA, AKIRA NISHIMURA, HIROSHI TSUCHIKATA, TANIE KITABAYASHI
Birmania, luglio 1945: una pattuglia di soldati giapponesi in ritirata nella giungla tenta di raggiungere il confine con la Thailandia. Il giovane Mizushima, per tenere alto l’umore del plotone, si fabbrica un’arpa birmana e la suona coinvolgendo i commilitoni che cantano motivi della propria terra: ma il tentativo di fuga fallisce e la compagnia è costretta alla resa. Quando giunge la notizia della capitolazione del Giappone e della fine della guerra, gli inglesi chiedono ai prigionieri di guerra giapponesi di far arrendere un gruppo di loro compatrioti che, riparatisi in una grotta, han deciso di continuare a combattere, e il suo comandante affida l’incarico a Mizushima. Quando tenta di spiegare al capitano dei combattenti asserragliati nella caverna che, scaduto il termine imposto dagli Alleati, la caverna sarà sottoposta a bombardamento, il soldato viene tacciato di tradimento e vigliaccheria e, allo scoccare dell’ultimatum, tutti i militari periscono sotto il fuoco dell’artiglieria nemica. Solo Mizushima sopravvive, seppur ferito, e lo salva un monaco, che lo raccoglie, lo cura e gli dà lezioni di umanità: costui decide allora di non ricongiungersi coi commilitoni per diventare bonzo e vagare, fra monti e fiumi della Birmania, per dare onorevole sepoltura ai cadaveri dei compatrioti morti rimasti insepolti. Il travaglio dei commilitoni per reincontrarlo e riaverlo con sé (qualcuno lo dà addirittura per morto, il capitano crede costantemente che egli sia ancora vivo) è lungo e faticoso, ma quando tutti lo rincontrano e lo riconoscono, gli chiedono di tornare con loro, ma Mizushima si rifiuta pacificamente e, impugnata l’arpa, intona "il canto dell’addio", ma lascia loro anche una lettera in cui esprime, con parole commoventi, il suo cordoglio per non poter ritornare in Giappone quando i compagni ricevono la nuova della ripartenza per il rimpatrio e rivolge ad essi tutto l’amore, la stima e la comprensione che nutre nei loro confronti. Nel film è senza dubbio religiosissimo il contrasto fra i soldati che, stanchi delle bruttezze del conflitto, non desiderano altro che tornare alle cose semplici della vita e ad una quotidianità tranquilla, e chi sceglie invece, con piena consapevolezza, di rimanere in terra straniera, isolato e piangente, a seppellire i militari defunti. È un’opera di assoluta e ricca nobiltà, che non si limita ad accostarsi ai vertici della poesia, ma la tocca molto spesso e perfino la rende sublime e soave. Lento ma privo di vuoti, accorato ma non piagnucoloso, trova un sistema carezzevole di condannare la guerra molto meglio di tante cariche frontali. Affronta il tema della pietà spinto fino alle estreme conseguenze, raggiungendo quasi la pietà e l’infatuazione. La pellicola di Ichikawa, bravissimo nel curare la materia narrativa quanto la direzione di una recitazione corale decisamente efficace, stempera le visioni degli orrori della guerra in una specie di contemplazione assorta e solenne. Forse, con ogni probabilità, è il film più pacifista degli ultimi sessant’anni, venato di una tristezza malinconica che accomuna cristianamente amici e nemici. Assume notevolmente i toni di un poema lirico il cui pacifismo affonda le sue radici nella coscienza sacerdotale dell’uomo e in un sentimento panteistico. Qua e là prolisso nella procace lentezza del suo ritmo largo, quando fronteggia senza mediazioni né patetiche né estetizzanti i suoi temi di fondo, raggiunge estremi di maestosa e dolorosa magnificenza. L’accompagnamento musicale di Akira Ifukube che serve da "collante" mistico, assumendo nella sua propria dimensione il ruolo di religione come collegamento fra l’uomo e il mistero, fra essere umano ed essere umano, fra amico e nemico. Numerosi pezzi di bravura, a metà fra il lirismo musicofilo e la violenza mai enfatizzata: l’incipit con la scritta Rossi come il sangue sono i monti e le terre della Birmania, che viene ripreso anche alla conclusione; l’avanzata del plotone principale fra i canneti e le liane della foresta equatoriale; il dialogo diplomatico con gli avversari britannici per la difficile trattativa coi soldati nipponici che resistono ad oltranza; la trasformazione spirituale di Mizushima da militare appassionato di musica senza averla mai studiata a bonzo senza calzari, con la testa rasata, vestito soltanto di una tonaca bianca e dell’inseparabile arpa; il primo ritrovo dei soldati con Mizushima all’interno del mausoleo quando lo odono suonare le variazioni melodiche; il ritrovamento del rubino rosso fra la fanghiglia terrosa dapprima da Mizushima e in seguito nella scatola bianca dal capitano Inoue; il saluto finale del protagonista al di là del filo spinato, col suo perfetto silenzio e la felicità presto spezzata degli amici, coi due pappagalli fratelli sulle sue spalle; la lettura della missiva sull’imbarcazione che riporta la truppa in Giappone, scritta dal personaggio principale senza risparmio di utilizzo di cuore, cervello, fegato e sguardo, intesi nel più altruistico dei sensi metaforici. Attori eccezionali. Vincitore del premio San Giorgio al Festival di Venezia 1956, quando non venne assegnato il Leone d’Oro. Gli fu preferito La strada alla cerimonia statunitense dello stesso anno, ma ottenne comunque la candidatura all’Oscar come migliore film straniero.
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frase
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venerdì 15 luglio 2011
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soggetto del film = trama brutalmente stringata :
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un soldato giapponese durante la 2' guerra mondiale ha imparato a suonare l'arpa; dopo la fine della guerra fallisce un tentativo di persuadere un battaglione di connazionali ad arrendersi, rimane ferito nell'attacco seguito alla scadenza della tregua per la sua missione persuasiva, si riprende e riesce a camminare un po', viene ritrovato da un monaco che lo cura; quando s'è un po' ripreso ne ruba i panni (mentre il monaco è a bagno in un lago) e scappa per raggiungere il campo di prigionia dei commilitoni,
ma nel percorso si persuade a farsi monaco davvero e a restare in Birmania per seppellire i cadaveri e placare il furore dissennato dei morti.
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Il protagonista è restio a farsi riconoscere dai commilitoni, anzi non ci parla proprio più, limitandosi a trasmettere loro qualche sonata; l'agnizione avviene soltanto la sera prima dell'imbarco della truppa, in silenzio; spiega le sue ragioni in una lettera (strappalacrime) che viene consegnata alla fine del film e letta soltanto nella nave che li rimpatria.
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un soldato giapponese durante la 2' guerra mondiale ha imparato a suonare l'arpa; dopo la fine della guerra fallisce un tentativo di persuadere un battaglione di connazionali ad arrendersi, rimane ferito nell'attacco seguito alla scadenza della tregua per la sua missione persuasiva, si riprende e riesce a camminare un po', viene ritrovato da un monaco che lo cura; quando s'è un po' ripreso ne ruba i panni (mentre il monaco è a bagno in un lago) e scappa per raggiungere il campo di prigionia dei commilitoni,
ma nel percorso si persuade a farsi monaco davvero e a restare in Birmania per seppellire i cadaveri e placare il furore dissennato dei morti.
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Il protagonista è restio a farsi riconoscere dai commilitoni, anzi non ci parla proprio più, limitandosi a trasmettere loro qualche sonata; l'agnizione avviene soltanto la sera prima dell'imbarco della truppa, in silenzio; spiega le sue ragioni in una lettera (strappalacrime) che viene consegnata alla fine del film e letta soltanto nella nave che li rimpatria.
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Intermediari nelle comunicazioni tra il protagonista e i commilitoni dopo la separazione iniziale sono un'anziana signora che frequenta i prigionieri per scambiare cibi soldi manufatti; un fanciullo che sta imparando a suonare dal protagonista; una coppia di pappagalli i quali vengono condizionati a ripetere una frase ciascuno: (o circa) e (o circa).
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