La fuga di Martha |
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Un film di Sean Durkin.
Con Elizabeth Olsen, Christopher Abbott, Brady Corbet, Hugh Dancy, Maria Dizzia.
continua»
Titolo originale Martha Marcy May Marlene.
Drammatico,
durata 101 min.
- USA 2010.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 25 maggio 2012.
MYMONETRO
La fuga di Martha
valutazione media:
3,12
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Smarrimento e inquietudine nell'"altra" Americadi Stefano ParianiFeedback: 3453 | altri commenti e recensioni di Stefano Pariani |
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giovedì 21 giugno 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Dopo il bellissimo Frozen river e Un gelido inverno, arriva dal Sundance un nuovo film sull'"altra" America, quell'America rurale che affonda le sue radici nella povertà, nello squallore di baracche disperse tra i boschi, negli orrori nascosti che sono il rovescio della medaglia del sogno americano. Martha (Elizabeth Olsen) è un'adolescente fuggita di casa in un momento particolare della sua crescita, tra solitudine e ricerca della propria identità. Si lega ad una setta parareligiosa che vive in una sorta di comune tra i boschi, il cui leader esercita un condizionamento psicologico e sessuale sulle giovani, spingendole, tra le altre cose, a rubare nelle case e ad ucciderne i proprietari. Tutto questo viene ricordato da Martha in vari flashback, perchè la vera storia del film è un'altra: il tentativo della ragazza di reinserirsi in una vita normale, dopo essere scappata dalla setta. Non ci sarà nulla di facile però, perchè nulla può essere come prima: nella bella casa sul lago della sorella maggiore, sposata e borghese, i silenzi di Martha, i suoi sguardi, gli atteggiamenti strani portano inquietudine e sbigottimento nella tranquilla vita dei due coniugi. Se fosse rimasta nella setta, molto probabilmente Martha avrebbe fatto una brutta fine, vittima forse di un suicidio collettivo, ma il suo restare in vita non è meno tragico: le violenze psicologiche subite sono una lama nell'anima che lacera progressivamente e non se ne va. Un'atmosfera di smarrimento quasi surreale pervade il film, come lo sguardo perso della brava Olsen, e lascia in chi lo guarda un senso d'impotenza che si prova quando, pur volendo, non si può aiutare chi sta male. Il finale sospeso è un'inquietudine in più che s'aggiunge e pare non lasciare via di scampo. Un film a tesi, un'opera prima interessante, dallo stile essenziale e asciutto, che rivela le doti di un regista che promette bene.
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