Passione |
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Un film di John Turturro.
Con Mina, Spakka-Neapolis 55, Avion Travel, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri.
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Documentario musicale,
durata 90 min.
- Italia, USA 2010.
- Cinecittà Luce
uscita venerdì 22 ottobre 2010.
MYMONETRO
Passione
valutazione media:
3,33
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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passione di un italomeridionaledi pepito1948Feedback: 13952 | altri commenti e recensioni di pepito1948 |
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martedì 16 novembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Confesso che, come amante del musical moderno (quello meno frivolo e vacuo del vecchio schema musica-amore-danza-lieto anni '40-’50), sono pregiudizialmente sbilanciato a favore di questo tipo di cinematografia, di cui abbiamo avuto magnifici esempi soprattutto dall’America. “Passione” è diverso, è un atto d’amore verso Napoli di un cineasta americano come Turturro, figlio di madre siciliana e cantante di jazz, quindi di sangue italico meridionale e di conseguenza passionale per definizione e musicofilo. Il suo modo di vivere e comunicare una realtà complessa e multiforme come Napoli, forse una delle città più stereotipate nelle rappresentazioni iconografiche nazionali ed estere, denota una naturalezza ed una originalità che sono difficili da riscontrare anche in casa nostra a Nord della Campania. Turturro ha il merito di descrivere Napoli dal basso, nei vicoli e nelle strade dove primeggiano scritte e graffiti neri o sgargianti, muri scrostati, incuria, palazzi che sembrano toccarsi disordinatamente, visi rugosi di anziani magari appesantiti dagli anni ma sempre pronti a mettersi in gioco, a partecipare a quella sarabanda di colori, suoni, sensualità che caratterizzano la città. E’ la Napoli delle tradizioni popolari, dove non c’è posto per i negozi di lusso, i caffè ed i monumenti del centro, le strade larghe e le palazzine dei quartieri ricchi. Le immagini del passato, dell’allegra baldoria della gente comune al passare dei salvatori americani, dimentica per un momento degli enormi problemi della ricostruzione, dei bambini poveri ma festanti, tracciano una linea di continuità con la realtà di oggi, più evoluta ma sostanzialmente rimasta ancorata alle contraddizioni di sempre. Non si vede sporcizia, non compaiono i cumuli di immondizia, non c’è “Bertolaso” che controlla la situazione, ma ne possiamo avvertire la presenza dietro il degrado che qua e là fa capolino. Il Vesuvio è presente, ma non ha il solito bonario pennacchio filiforme e rassicurante, ma fa da ombroso sfondo ad un caotico susseguirsi di tetti ed antenne, o mostra tutta la sua violenza terrificante come nell’ultima eruzione del ’44, o emerge vago ed anonimo tra la nebbia durante lo sbarco dei marines. Anche il Vesuvio è povero, spoglio e potenzialmente iroso come la moltitudine di coloro che lo guardano da sotto tutti i giorni. Ma è la musica, la loro musica, la vera protagonista del film; non una semplice colonna sonora, ma il “veicolo emotivo”, che lega e compatta centinaia di migliaia di vite variegate e dalle più diverse storie. La musica come energia unificante e vivificante, che fa vibrare giovani e vecchi, sui ritmi di tradizioni culturali plurigenerazionali aggiornate ma sempre attuali, inframmezzata da interviste, pensieri in libertà o recite improvvisate espressi in un dialetto (o una lingua, come qualcuno dice) che è anch’essa musica. Non manca qualche pecca, ma il tutto è confezionato in modo da coinvolgere ed appassionare, lontano dai luoghi comuni, e quindi Turturro ha centrato l’obiettivo. Qualcuno si è chiesto perché c’è tanta Montecorvino (chi era costei?) e nessun Murolo. La risposta è semplice: la prima rappresenta anche fisicamente, con quel volto scavato che sembra nascondere sofferenza e con la sensualità semplice e ruspante di un corpo che non vuole appassire, l’anima più popolare di Napoli; Murolo la tradizione dotta, la musica elegante, aulica che nel film non trova posto.
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