ashtray_bliss
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giovedì 15 giugno 2017
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il mistero della pietra.
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Tratto da un romanzo di Silvio Raffo e girato rigorosamente in Italia, Howell decide di dar vita, e forma all'opera letteraria intrisa di mistero adattandola per il grande schermo. Partiamo dunque col dire che Voice From The Stone è un film vecchio stile, che non punta sugli effetti speciali, qui totalmente assenti, o sui sensazionalismi usa-e-getta ormai abusati e saturi nel genere thriller. La scelta intelligente e azzeccata del film in questione è che si propone come un film vecchio stampo, che punta tutto sul creare un'atmosfera di mistero imponente capace di avvolgere la pellicola, dal primo all'ultimo secondo. Il mistero e l'atmosfera affascinante e inquietante al tempo stesso sono indubbiamente i punti forti del lungometraggio firmato Howell.
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Tratto da un romanzo di Silvio Raffo e girato rigorosamente in Italia, Howell decide di dar vita, e forma all'opera letteraria intrisa di mistero adattandola per il grande schermo. Partiamo dunque col dire che Voice From The Stone è un film vecchio stile, che non punta sugli effetti speciali, qui totalmente assenti, o sui sensazionalismi usa-e-getta ormai abusati e saturi nel genere thriller. La scelta intelligente e azzeccata del film in questione è che si propone come un film vecchio stampo, che punta tutto sul creare un'atmosfera di mistero imponente capace di avvolgere la pellicola, dal primo all'ultimo secondo. Il mistero e l'atmosfera affascinante e inquietante al tempo stesso sono indubbiamente i punti forti del lungometraggio firmato Howell. Inoltre, la location dove è stato girato aumenta notevolmente il valore artistico del film, incrementando quella sensazione di mistero che permea la storia e accompagnando gli spettatori in una esperienza visiva a dir poco sublime. I panorami della Toscana legati ad un uso eccellente e vivido della fotografia immergono lo spettatore in un'oasi visiva senza precedenti accentuando il valore che una singola location può donare ad un film. Panorami mozzafiato insomma, al servizio di un film che promette molto ma si rivelerà più debole del previsto.
Focalizzando sulla storia possiamo asserire che non è originalissima e sicuramente ricorda qualcosa di già visto altrove. Personalmente ho ritrovato elementi di Skeleton Key, House of the Spirits e The Others. Essa vede come protagonista un bimbo di circa 10 anni che dopo la prematura scomparsa della madre, si chiude in se stesso evitando di parlare col resto della famiglia. Allora il padre dopo svariati tentativi decide di rivolgersi ad una infermiera inglese (la famiglia è anglofona) per aiutare il figlio, Jakob, a superare il trauma e recuperare la parola. Verena (Emilia Clarke) accetta il posto di lavoro e ben presto si rende conto che nel castello dove vive la famiglia è presente una forza o energia che il figlio Jakob identifica con delle voci, della madre defunta, provenienti dalle mura della casa.
E' evidente che il film in questione tratta di fantasmi e di presenze ma lo fa in modo molto delicato e discreto, portando lentamente ma progressivamente la sua protagonista, Verena, in un percorso discendente che la renderà incapace di distinguere la realtà dall'immaginazione. Le voci che animano la casa, e parlano o si manifestano attraverso la pietra, non vengono mai percepite dallo spettatore ma rappresentano il filo conduttore dl mistero che avvolge la casa e i suoi abitanti e di cui poco a poco Verena, verrà a conoscenza. L'anima della casa comunica con i suoi famigliari e tenta di riprendersi ciò che le appartiene di diritto.
Le premesse dunque sono interessanti e intriganti ma sfortunatamente il film viene sviluppato in maniera del tutto inadeguata. La sceneggiatura risulta praticamente accessoria e secondaria mentre in buona parte del film non accade assolutamente niente; nessun colpo di scena, nessuna escalation emotiva. Eccetto seguire Verena nelle sue routinarie giornate, nelle quali cerca di avvicinarsi al bambino e comprenderne la psicologia per poterlo aiutare, non succede niente che possa catturare l'attenzione dello spettatore o mantenerne intatto l'interesse. Anche la caratterizzazione dei personaggi risulta veramente poco incisiva e di poco spessore. Nonostante ci sia una brava e sensuale Emilia Clarke oltre ad un enigmatico e austero Morton Cokas come protagonisti principali, non si riesce mai ad immedesimarsi pienamente in loro e nemmeno il film riesce a improntare uno stile narrativo ben delineato. Alternando costantemente il dramma psicologico al thriller soprannaturale e aggiungendo delle note di erotismo (prolisse e superflue in un film del genere) il film cerca di esplorare il dramma della perdita di una persona cara ma vorrebbe anche sottolineare le difficoltà di adattamento insorte nel periodo post bellico. I traumi sociali misti a quelli famigliari portano i protagonisti a chiudersi in se stessi, a isolarsi dal mondo, a evitare i contatti col mondo esterno rappresentato da Verena. Ma il tutto resta soltanto nelle intenzioni, intuibili ma mal sviluppate sullo schermo. Purtroppo anche il ritmo lento col quale si svolge il film qui risulta piuttosto un fattore penalizzante data la mancata introspezione psicologica dei personaggi e data la staticità della trama che fatica a mantenere acceso l'interesse.
Come dicevo, gli attori principali e anche quelli secondari, tra cui l'inossidabile e imponente Remo Girone e la brava Lisa Gastoni, non sono sufficienti a sollevare la pellicola o donarle un'impronta distintiva. Bellissime sono le location, la fotografia e il montaggio. Anche la ricostruzione dell'atmosfera anni '50 negli ambienti interni della villa e nei vestiti della protagonista sono centratissimi e appaganti per la vista degli spettatori. Ma la trama, la sceneggiatura e i dialoghi risultano troppo superficiali e banali per suscitare l'emozione e il pathos dovuto. Da questo punto di vista, specialmente quello emotivo, il film in questione è asettico. Ci sono un paio di sequenze incisive insieme ad un finale a sorpresa, abbastanza inatteso ma a mio giudizio i lati positivi e riusciti di questo film non bastano a bilanciare i suoi notevoli difetti.
In conclusione: Voice from the Stone è un mediocre thriller a tratti psicologico e a tratti soprannaturale che ricicla un leit motiv molto in voga nel cinema e nella letteratura di genere: quello dei fantasmi che non abbandonano i luoghi dove sono vissuti e tentano l'impossibile pur di tornare dai loro cari. Buone le premesse ma mediocre e nettamente sotto le aspettative il risultato finale.
Voto finale: 2/5.
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scheggia89
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martedì 25 settembre 2018
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un film che è una poesia
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Ho visto questo film diverse volte e ogni volta me ne innamoro. è una poesia che parla alla nostra sensibilità più acuta: un film che parla di silenzi, di suoni, d'amore, di un amore talmente grande da diventare quasi un'ossessione. Fantastica la scelta del cast: dalla meravigliosa Emilia Clarke, che ho trovato perfetta sotto ogni punto di vista, passando per Lisa Gastoni e Remo Girone, custode delle anime di questo palazzo. La vita dei personaggi è quasi bloccata, da qui forse il ritmo "lento" che percepisce la maggior parte della gente. Sono bloccati in una sorta di limbo dopo la morte di Malvina e stanno attendendo l'arrivo di una donna che aiuti a sbloccare la situazione.
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Ho visto questo film diverse volte e ogni volta me ne innamoro. è una poesia che parla alla nostra sensibilità più acuta: un film che parla di silenzi, di suoni, d'amore, di un amore talmente grande da diventare quasi un'ossessione. Fantastica la scelta del cast: dalla meravigliosa Emilia Clarke, che ho trovato perfetta sotto ogni punto di vista, passando per Lisa Gastoni e Remo Girone, custode delle anime di questo palazzo. La vita dei personaggi è quasi bloccata, da qui forse il ritmo "lento" che percepisce la maggior parte della gente. Sono bloccati in una sorta di limbo dopo la morte di Malvina e stanno attendendo l'arrivo di una donna che aiuti a sbloccare la situazione.
Voice From the Stone è poesia pura...e la poesia è immortale, così come l'arte.
All'inizio del film, quando accompagniamo Verena lungo il viale alberato che conduce alla magione, vediamo una grossa testa di statua a terra, immersa nella nebbia. Accenna ad un sorriso. È lì, ma nessuno la vede, lasciata incustodita.
L'arte è immortale. Sembra quasi una natura morta, ma morto, perché bloccato, è chi abita questi luoghi. La statua, silenziosa a farsi beffa della morte, resta lì immobile, con la consapevolezza che essa, forse, vivrà per sempre.
Mi ricorda molto l'opera “La memoria” di Renèe Magritte. L'immortalità dell'arte. Della poesia. Dell'amore.
Questa immortalità si estende anche a Malvina. Lei era arte, una pianista di successo. È arte. È morta, ma continua a vivere nella pietra. La pietra sussurra e parla. È immortale e cerca di riprendersi ciò che gli appartiene.
consigliatissimo agli animi sensibili, capaci di cogliore le sfumature poetiche e le urla d'amore, che percorrono l'intero film.
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scheggia89
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martedì 25 settembre 2018
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voice from the stone - poesia pura
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Non spendermi in grandi parole, ma dico solo che questo film è poesia pura. Bisogna guardarlo non solo con gli occhi, ma anche e soprattutto con le orecchie e con il cuore aperti. Un film che vive di suoni, di silenzi e d'amore, che corre in ogni scena. La sceneggiatura risulta spesso secondaria, mentre a parlare sono principalmente i suoni del vento, lo scricchiolio del cancello di ferro, le foglie secche, i sussurri, i silenzi. È un film fatto di silenzi, che parlano d'amore. Voice From the Stone parla d'amore. Quell'amore folle, possessivo, ossessivo, che rimane imprigionato nei muri, nella pietra, e quasi ti soffoca, ti chiama a sé. Ma è anche un amore sottile, delicato, poetico, erotico.
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Non spendermi in grandi parole, ma dico solo che questo film è poesia pura. Bisogna guardarlo non solo con gli occhi, ma anche e soprattutto con le orecchie e con il cuore aperti. Un film che vive di suoni, di silenzi e d'amore, che corre in ogni scena. La sceneggiatura risulta spesso secondaria, mentre a parlare sono principalmente i suoni del vento, lo scricchiolio del cancello di ferro, le foglie secche, i sussurri, i silenzi. È un film fatto di silenzi, che parlano d'amore. Voice From the Stone parla d'amore. Quell'amore folle, possessivo, ossessivo, che rimane imprigionato nei muri, nella pietra, e quasi ti soffoca, ti chiama a sé. Ma è anche un amore sottile, delicato, poetico, erotico. Voice From the Stone è poesia pura...e la poesia è immortale, così come l'arte. All'inizio del film, quando accompagniamo Verena lungo il viale alberato che conduce alla magione, vediamo una grossa testa di statua a terra, immersa nella nebbia. Accenna ad un sorriso. È lì, ma nessuno la vede, lasciata incustodita. L'arte è immortale. Sembra quasi una natura morta, ma morto, perché bloccato, è chi abita questi luoghi. La statua, silenziosa a farsi beffa della morte, resta lì immobile, con la consapevolezza che essa, forse, vivrà per sempre. Mi ricorda molto l'opera “La memoria” di Renèe Magritte. L'immortalità dell'arte. Della poesia. Dell'amore. Questa immortalità si estende anche a Malvina. Lei era arte, una pianista di successo. È arte. È morta, ma continua a vivere nella pietra. La pietra sussurra e parla. È immortale e cerca di riprendersi ciò che gli appartiene. Un film che consiglio a tutti quelli che si lasciano guidare dall'emozione, dall'amore e che hanno un animo sensibile.
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elgatoloco
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mercoledì 9 gennaio 2019
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gotico "metafisico"
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"Voice from the Stone"(2017),di Eric D.Howell, da un romanzo di Silvio Raffo, rimane in qualche modo(e concordo con quanto scritto da Muriel Spark, notevolssima scrittrice, vicina a certe problematiche)nel solco di quella creazione letteraria e poi filmica che culmina(esisteva da sempre, ma appunto trova il suo culmine nella cultura romantica)in Hoffmann, Poe, lovecraft, per limitarsi ai grandi e filmicamente guarda, chiaramente, a opere come"The Others"(2001, Alejandro Amenabar). L'enigma qui esiste, rovesciando l'apodittica affermazione di Wittgenstein, con la storia della madre morta, dell'infermiera-assistente del figlio afasico, di tutte le presenze inquietanti che si muovono attorno a un castello-residenza di campagna(nel Senese, ritengo)che nasconde segreti e, soprattutto, "voci", appunto.
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"Voice from the Stone"(2017),di Eric D.Howell, da un romanzo di Silvio Raffo, rimane in qualche modo(e concordo con quanto scritto da Muriel Spark, notevolssima scrittrice, vicina a certe problematiche)nel solco di quella creazione letteraria e poi filmica che culmina(esisteva da sempre, ma appunto trova il suo culmine nella cultura romantica)in Hoffmann, Poe, lovecraft, per limitarsi ai grandi e filmicamente guarda, chiaramente, a opere come"The Others"(2001, Alejandro Amenabar). L'enigma qui esiste, rovesciando l'apodittica affermazione di Wittgenstein, con la storia della madre morta, dell'infermiera-assistente del figlio afasico, di tutte le presenze inquietanti che si muovono attorno a un castello-residenza di campagna(nel Senese, ritengo)che nasconde segreti e, soprattutto, "voci", appunto... La suspense, che emerge nei punti e nei momenti giusti, ma sostanzialmente pervade tutta l'opera, è quasi il"basso continuo"che serve poi all'emergere dei momenti forti a livello di "emersioni soprannaturali", con una protagonista come Emilia Clarke che, con il suo fisico più "interessante" che"bello", riesce a far risaltare il tema del"doppio"(che invero emerge fin da subito, dall'inizio del film, cioè), con i co-interpreti(da Marton Csozak a Remo Girone e al "repechage"di Lisa Gastoni, ovviamente a Caterina Murino come"presenza")nel suo essee profondamente polisemico. Un film che interroga, lasciandosi contemporaneamente interrogare.... El Gato
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mae
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domenica 9 febbraio 2020
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la voce della pietra
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Aspetto positivo di questo film è l'assenza di effetti speciali che avrebbero potuto palesare la presenza della defunta Malvina in maniera eccessiva, facendola apparire dall'oltretomba trasfigurata. Qui invece è la sua voce che si sente (per chi é in grado di ascoltare) oppure é rievocata nei ricordi di chi ha amato questa donna che era bella, talentuosa, venerata. Verena é all'inizio tutto il contrario di lei, chiusa negli smorti colori dei suoi abiti, nella sua solitudine, nella sua esistenza senza scosse di infermiera al servizio degli altri. Poi piano piano avviene la lenta trasformazione di Verena e la scoperta della sua sensualità, fino a diventare un surrogato di Malvina.
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Aspetto positivo di questo film è l'assenza di effetti speciali che avrebbero potuto palesare la presenza della defunta Malvina in maniera eccessiva, facendola apparire dall'oltretomba trasfigurata. Qui invece è la sua voce che si sente (per chi é in grado di ascoltare) oppure é rievocata nei ricordi di chi ha amato questa donna che era bella, talentuosa, venerata. Verena é all'inizio tutto il contrario di lei, chiusa negli smorti colori dei suoi abiti, nella sua solitudine, nella sua esistenza senza scosse di infermiera al servizio degli altri. Poi piano piano avviene la lenta trasformazione di Verena e la scoperta della sua sensualità, fino a diventare un surrogato di Malvina. Questo mi é saltato agli occhi di questo film, mentre tutto il resto, vale a dire il percorso di aiuto al giovane bambino é rimasto più in ombra. Pesa su questo film l'eccessiva lentezza che lo "pietrifica" proprio come le pietre da cui parla Malvina. Mi é sembrato più un confronto tra due tipologie di donne diverse in tutto, in cui una é più forte dell'altra se leggiamo in questo senso la trasformazione di Verena in una nuova Malvina.
Bravi gli interpreti, ma in particolar modo Remo Girone, una certezza, e Caterina Murino, splendida Malvina.
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achab50
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martedì 20 luglio 2021
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spassoso divertissement
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In una Toscana anni '50 (l'ho letto nel bugiardino perchè dal film nulla trapela) una istitutrice inglese di madrelingua viene chiamata a recuperare un ragazzetto di una decina d'anni che ha deciso di non parlare da quando ha perso l'amatissima madre che, si comprende dopo una ventina di minuti, era una pianista di fama internazionale morta di febbre (sic) in giovane età e che si precisa girava tutto il mondo ad esibirsi (quanto tempo avrà dedicato al figlio?). Questa Verena, l'istitutrice, approda a questo castello ed incontra il proprietario fannullone ma è telefonatissimo che i due finiranno per innamorarsi. Nel frattempo il ragazzino passa il suo tempo con l'orecchio appoggiato ad un muro ascoltando rumori (quando sarà Verena ad accostare l'orecchio alla pietra sentirà uno sciacquone che la commuoverà "insino alla lacrima").
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In una Toscana anni '50 (l'ho letto nel bugiardino perchè dal film nulla trapela) una istitutrice inglese di madrelingua viene chiamata a recuperare un ragazzetto di una decina d'anni che ha deciso di non parlare da quando ha perso l'amatissima madre che, si comprende dopo una ventina di minuti, era una pianista di fama internazionale morta di febbre (sic) in giovane età e che si precisa girava tutto il mondo ad esibirsi (quanto tempo avrà dedicato al figlio?). Questa Verena, l'istitutrice, approda a questo castello ed incontra il proprietario fannullone ma è telefonatissimo che i due finiranno per innamorarsi. Nel frattempo il ragazzino passa il suo tempo con l'orecchio appoggiato ad un muro ascoltando rumori (quando sarà Verena ad accostare l'orecchio alla pietra sentirà uno sciacquone che la commuoverà "insino alla lacrima").
Compare anche una magnifica Lisa Gastoni che poi risulterà morta da tempo, mentre per fortuna è viva e vegeta per i nostri ricordi giovanili.
Apprendiamo che negli anni '50 in Toscana non c'era la luce elettrica, tutto a lume di candela o lanterna a petrolio.
In una sala del castello c'è un pianoforte a gran coda di cui non ho scorto il costruttore, ma che l'istitutrice dichiara di non saper suonare, mentre il ragazzino accompagnava la madre nei due giorni della sua vita in cui l'ha vista.
A ravvivare l'ambiente ci sono cancelli che cigolano, passi sulle foglie (secche), sbirciate dalla torre da cui purtroppo Verena non si butta, che ci avrebbe risparmiato metà film.
Insomma finisce tutto a tarallucci e vino, il bimbo per fortuna ricomincia a parlare, non si sa il perchè, la Verena si mette i vestiti della defunta e suona, miracoli dell'immedesimazione, anche il pianoforte a coda, oltre che dilettare il padrone di casa che a tempo perso fa lo scultore.
Tutto molto divertente, a tratti spassoso, anche se si perde questa visione si vive ugualmente bene.
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