osteriacinematografo
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mercoledì 4 luglio 2012
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"i fringuelli di darwin"
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“Marigold hotel” racconta la storia di sette inglesi attempati che decidono per i motivi più disparati di recarsi in India per trascorrere i loro ultimi anni di vita in un mondo antitetico alla sobria e ordinata Inghilterra.
Evelyn (Judy Dench) è una vedova che deve fare i conti con i debiti del marito, e che compie la prima scelta “indipendente” della sua esistenza; Muriel (Maggie Smith) è una ex governante rigida e xenofoba, alle prese con un intervento al femore che sceglie di fare a Mumbai per ovviare alle liste d’attesa inglesi; Graham (Tom Wilkinson) è un giudice in pensione omosessuale con un passato misterioso in India; Douglas e Jean (Bill Nighy e Penelope Wilton) sono una coppia in crisi dopo quarant’anni di matrimonio; Norman e Madge (Ronald Pickup e Celia Imrie) sono due single alla perpetua ricerca di una nuova avventura.
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“Marigold hotel” racconta la storia di sette inglesi attempati che decidono per i motivi più disparati di recarsi in India per trascorrere i loro ultimi anni di vita in un mondo antitetico alla sobria e ordinata Inghilterra.
Evelyn (Judy Dench) è una vedova che deve fare i conti con i debiti del marito, e che compie la prima scelta “indipendente” della sua esistenza; Muriel (Maggie Smith) è una ex governante rigida e xenofoba, alle prese con un intervento al femore che sceglie di fare a Mumbai per ovviare alle liste d’attesa inglesi; Graham (Tom Wilkinson) è un giudice in pensione omosessuale con un passato misterioso in India; Douglas e Jean (Bill Nighy e Penelope Wilton) sono una coppia in crisi dopo quarant’anni di matrimonio; Norman e Madge (Ronald Pickup e Celia Imrie) sono due single alla perpetua ricerca di una nuova avventura.
Le vite e le vicende di questi individui s’intrecciano nel cuore pulsante del Rajasthan, al Marigold Hotel, una struttura gestita dal giovane e maldestro Sonny (Dev Patel), che si rivela ben presto più fatiscente di quanto il titolare sostenesse: il Marigold è infatti un palazzo esotico e affascinante, ma in evidente stato di degrado.
I protagonisti si trovano ben presto immersi in una realtà inimmaginabile, storditi dai colori, dai sapori e dagli odori di una terra travolgente che accosta un’intensa spiritualità a un caos ininterrotto, che vede cadenti baracche a ridosso di strutture opulenti e modernissime.
“Come i fringuelli di Darwin, ci stiamo lentamente adattando all’ambiente circostante, e chi riesce ad adattarsi, mio dio, quanta ricchezza trova! Il passato non torna più, non importa quanto lo desideri, resta solo un presente che prende forma mano a mano che il passato si ritira”- scrive Evelyn nel suo blog, ponendo l’accento sullo spirito di adattamento necessario ad affrontare ogni cambiamento.
I personaggi si disvelano per gradi, con modulazione e riservatezza. C’è chi, come Graham, conosce già quel mondo per averlo vissuto, e si muove con disinvoltura alla ricerca di un passato scabroso; c’è chi, come Muriel, sfida i propri limiti entrando in contatto con un Paese di cui diffida, prima di divenirne complice; chi, come Evelyn, trova la sua prima occupazione per mantenersi, scoprendo una parte sconosciuta di sé; e chi, come Norman e Madge, ripete i soliti schemi d’approccio con diversa energia e con alterne fortune; ma la rottura più consistente si verifica fra Douglas e Jean: mentre l’uomo si rivela curioso di conoscere le tradizioni indiane, bramoso di tuffarsi in una cultura in cui intravede una libertà nuova (“La persona che non corre alcun rischio non ottiene niente. Non avrà niente. Tutto quello che sappiamo sul futuro è che sarà diverso.”), la donna rifiuta a prescindere il contatto con quella civiltà e batte i tasti di una nevrosi ossessiva che ne impedisce il movimento stesso (“L’unico vero fallimento è rinunciare a provarci, e il nostro successo dipende da come affrontiamo le sconfitte, perché dobbiamo farlo sempre.”), fino a rivelare una crisi coniugale insanabile.
Sullo sfondo si muove, sotto l’egida di una madre egemone, il goffo e bizzarro Sonny, impegnato allo spasimo nel dare lustro a quel palazzo che lega al ricordo del padre, e nell’intento di sposare Sunaina, la donna che ama, nonostante un matrimonio già combinato.
Da questa variegata miscela di personaggi emerge un’opera agrodolce e delicata, che si posa con grazia fra i variopinti paesaggi del Rajasthan: la storia si dipana attraverso un percorso onirico in cui perfino le tappe più dolorose vengono affrontate in modo lieve, col disincanto e la strana consapevolezza degli anziani, che accettano il fato senza autocommiserarsi, senza rinunciare ai cambiamenti, a una nuova via luminosa e incerta, alla sfida di una vecchiaia che diviene un’altra vita da affrontare con coraggio, con quella linfa senza cui sarebbe inutile e insensato continuare a vivere.
“Marigold hotel” è un’opera poetica e garbata, che si muove sullo schermo in modo tenue e vibrante al contempo. John Madden realizza un film surreale e simbolico, tracciando un sentiero narrativo che galleggia beatamente fra ironia ed emotività, senza mai eccedere, nonostante l’evidenza dei clichè rappresentati dai protagonisti e di una rappresentazione alquanto stereotipata dell’India.
I protagonisti sono mostri sacri del cinema inglese, e questo rende tutto più facile: in particolare, Tom Wilkinson conserva una classe senza eguali; la Dench mostra una forza espressiva devastante e un magnetismo che attrae e pare inafferrabile; Maggie Smith si disimpegna con la solita innata eleganza, lungo il percorso che la conduce dalla debilitazione alla rinascita; Bill Nighy si muove sullo schermo con tratto gentile e aggraziato, quasi fosse sospeso, in assenza di gravità.
I legami che si fanno e si disfano nel film, che si formano dopo una vita intera sono al tempo stesso intensi e leggeri, tanto estemporanei da sembrare inconsapevoli, ma dotati di un’affettività travolgente e solidale, al punto da far pensare e sperare che “andrà tutto bene alla fine, e se non andasse bene, allora, credetemi, significa che non è ancora arrivata la fine”.
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sergio dal maso
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lunedì 22 giugno 2015
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marigold hotel
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“Non è mai troppo tardi per iniziare una infanzia felice” Tom Robbins
Sette splendidi anziani. Sette pensionati inglesi nel tramonto della vita, con un passato vissuto intensamente ma con un futuro piatto e triste, apparentemente già scritto e inevitabile. Sette storie molto diverse, storie di decadenza e solitudine, mai prive però di orgoglio e dignità. Ognuno con le proprie cicatrici nell’anima, le proprie inquietudini ma anche con la voglia di lasciarsi il passato alle spalle, di ricominciare a vivere riscoprendo i sentimenti e le emozioni inaridite dall’inesorabile passare degli anni.
Li unisce infatti la speranza di tornare protagonisti del proprio destino, la voglia di non arrendersi a una vita grigia e monotona, il rifiuto di essere parcheggiati in qualche ospizio e dimenticati dai figli.
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“Non è mai troppo tardi per iniziare una infanzia felice” Tom Robbins
Sette splendidi anziani. Sette pensionati inglesi nel tramonto della vita, con un passato vissuto intensamente ma con un futuro piatto e triste, apparentemente già scritto e inevitabile. Sette storie molto diverse, storie di decadenza e solitudine, mai prive però di orgoglio e dignità. Ognuno con le proprie cicatrici nell’anima, le proprie inquietudini ma anche con la voglia di lasciarsi il passato alle spalle, di ricominciare a vivere riscoprendo i sentimenti e le emozioni inaridite dall’inesorabile passare degli anni.
Li unisce infatti la speranza di tornare protagonisti del proprio destino, la voglia di non arrendersi a una vita grigia e monotona, il rifiuto di essere parcheggiati in qualche ospizio e dimenticati dai figli.
Non vogliono rassegnarsi alla solitudine Evelyn, da poco vedova con impreviste difficoltà economiche; né Norman e Madge, inguaribili romantici in cerca d’innamorarsi; la coppia in crisi Douglas e Jean, non più capaci di ascoltarsi e sopportarsi; il giudice in pensione Graham, con un doloroso vecchio segreto da affrontare; infine l’inacidita e burbera Muriel che non può permettersi il costo di un intervento chirurgico all’anca in Inghilterra. Tante storie e percorsi diversi che si incontrano in un viaggio inaspettato in India, una destinazione scelta in Internet, forse un po’ troppo frettolosamente : il Best Exotic Marigold Hotel di Jaipur, nella “magica” regione del Rajasthan. Quello che doveva essere un hotel da sogno, infatti, si rivela già al loro arrivo una vecchia struttura fatiscente e polverosa, che il giovane e intraprendente gestore Sonny vuole rilanciare ma senza poter permettersi una ristrutturazione radicale. L’amara scoperta dell’inganno, della precaria e decadente condizione dell’hotel, non scoraggerà la voglia di ricominciare e di rimettersi in gioco dei nostri arzilli ultra sessantenni. Saranno i colori dell’India, i suoi profumi e i suoi odori, la polvere e il disordine del sub-continente asiatico, la magia e la spiritualità di una cultura millenaria incomprensibile alla razionalità occidentale a restituire l’entusiasmo e l’energia smarriti nella monotona e fredda Inghilterra.
Marigold hotel ha l’indiscutibile merito di mettere al centro della storia un tema poco trattato, difficile e spigoloso, quello della senilità e dei sentimenti nella terza età, ma lo fa con estrema delicatezza e ironia, con
una commedia agrodolce di puro humor inglese che strappa sorrisi ed emoziona, parla di solitudine e crisi esistenziali con il sorriso sulle labbra. Proprio per la capacità di non prendersi troppo sul serio Marigold
hotel non corre il rischio di scadere nella retorica e nella narrazione melensa, c’è una sincerità di fondo nei nostri protagonisti che li rende credibili e affascinanti, con la loro umanità sanno colpire al cuore lo spettatore. A mio modo di vedere gli unici personaggi stereotipati e poco credibili sono, non a caso, quelli giovani, l’albergatore pasticcione Sonny (Dev Patel, già protagonista di The Millionaire) e l’improbabile fidanzata (la bellissima Tena Desae) ostacolati dalla madre gelosa e tradizionalista. Non serve sottolineare che i nostri indomiti viaggiatori sono interpretati da sette “mostri sacri” del cinema britannico. Il regista John Madden (suo il pluripremiato “Shakespeare in love” ) è riuscito a riunire un cast stellare, capace di dare al film una marcia in più anche nei momenti meno coinvolgenti. Difficile dire quale sia l’interpretazione migliore, personalmente citerei Judi Dench (la vedova in crisi economica Evelyn), Tom Wilkinson (il giudice in pensione Graham) e Maggie Smith (la sgarbata e antipatica Muriel). Il “Best Exotic Marigold Hotel” alla fine rinasce, grazie alla vitalità e all’entusiasmo dei nostri protagonisti torna all’antico splendore e ritrova il senso della sua esistenza, proprio come i suoi ospiti, restituiti a una vita degna di essere vissuta.
Marigold hotel vuole essere un inno alla vita e alla terza età, un invito a non rassegnarsi mai, perchè “... alla fine si sistemerà tutto, perciò, se non è tutto sistemato, significa che non è ancora arrivata la fine”.
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andrea giostra
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mercoledì 24 ottobre 2012
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la solitudine
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"Esiste un altro posto al mondo che riesca a stravolgerti i sensi più dell'India?", scrive nel suo diario la bravissima Judi Dench. No, forse non esiste. Soprattutto quando la solitudine della terza età, dell’età del “meritato” e odiato riposo, della pensione malinconicamente conquistata e forzatamente festeggiata con colleghi che impietosamente si ostinano a sorriderti e a complimentarsi, s’attorciglia in gola e ti mostra un futuro già confezionato con la sola prospettiva dell’inutilità.
Sette anziani si ribellano ad un destino mestamente pianificato e s’avventurano in una terra lontana, già colonia inglese, alla ricerca di un nuovo mondo, di un mondo diverso, dove “la vera sfida sta nell’adattarsi per poter rinascere”, ancora una volta, l’ultima volta, con l’ottimismo e la speranza preferiti all’occidentale compassione.
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"Esiste un altro posto al mondo che riesca a stravolgerti i sensi più dell'India?", scrive nel suo diario la bravissima Judi Dench. No, forse non esiste. Soprattutto quando la solitudine della terza età, dell’età del “meritato” e odiato riposo, della pensione malinconicamente conquistata e forzatamente festeggiata con colleghi che impietosamente si ostinano a sorriderti e a complimentarsi, s’attorciglia in gola e ti mostra un futuro già confezionato con la sola prospettiva dell’inutilità.
Sette anziani si ribellano ad un destino mestamente pianificato e s’avventurano in una terra lontana, già colonia inglese, alla ricerca di un nuovo mondo, di un mondo diverso, dove “la vera sfida sta nell’adattarsi per poter rinascere”, ancora una volta, l’ultima volta, con l’ottimismo e la speranza preferiti all’occidentale compassione. E questo futuro diverso è da costruire in un paese straordinariamente ricco di vita, di movimento, di colori, di profumi, di umanità, di rispetto, di energia, di speranza. “Io voglio sentirmi ancora giovane, ancora desiderato, anche solo per una notte, per una notte indimenticabile” dice ad un certo punto del film Ronald Pickup. Il sentirsi desiderato è l’unico modo per sfuggire all’angoscia della solitudine. Ed è il modo che scelgono due dei protagonisti quando si guardano negli occhi e si confessano reciprocamente: “Mi chiamo Norman e mi sento solo. Mi chiamo Karol e mi sento sola”. E’ il momento della sincerità, della lealtà, che permette loro di rifugiarsi reciprocamente nell’amore e nella passione che non hanno età.
Il film racconta emozioni forti: il rimorso e il rimpianto di Tom Wilkinson che tornano con un antico vigore per logorare le ultime residue energie conservate per rimediare ad antichi presunti torti: “Lasciai che succedesse quel che successe senza combattere”, che confida addolorato ad una comprensiva Judi, raccontando della sua omosessualità che aveva preso irruentemente il posto di quella che allora adolescente gli appariva come un’innocente e complice amicizia con un bellissimo coetaneo appartenente ad una famiglia indiana di rigidi tradizionalismi, devastata socialmente da quella inaccettabile e improvvisa scoperta; le sempre rinnegate incompatibilità di una coppia, adesso stanca e anziana, logorata dall’aggressività di lei, Penelope Wilton, e dal servile rispetto e dalla tacita lealtà di lui, Bill Nighy; il perseverante non detto e l’occultamento delle verità e dei desideri, che hanno contrassegnato il matrimonio di una donna, Judi Dench, adesso anziana e vedova, che esplodono in un doloroso risentimento verso se stessa: “che senso ha il matrimonio se non si condivide tutto?”.
Per recuperare il senso della vita perduto in occidente, John Madden, subliminalmente consiglia agli spettatori di recarsi in questo splendido e meraviglioso paese per apprendere che la vita è un privilegio, non un diritto. E sul futuro spesso temuto, da uno dei protagonisti, ci fa dire che dovremmo apprendere che sarà semplicemente diverso e questo deve esserci sufficiente per svegliarci la mattina e scoprirlo, momento dopo momento, con entusiasmo ed ottimismo.
Il finale è immotivatamente sdolcinato, americano, e rovina leggermente quello che rimane un ottimo film. Comunque da vedere.
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tiamaster
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sabato 31 marzo 2012
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diffidate dai critici!!!!
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A chi vuole vedere questo film o non sà se vederlo causa critici che lo diffamano mi sento di avvisarli (sia loro che i critici):un film può essere semplice e prevedibile ma talvolta film semplici e prevedibili parlano di più di prodotti originali e diversi.questo è il caso di marigold hotel che con una trama semplice riempe di entusiasmo e gioia lo spettatore,che inevitabilmente viene messo di buon umore con un trionfo di colori,di sentimenti non banali e da un cast eccezionale che recita in maniera altrettanto eccezzionale.Molto dolce e divertente con un cast di rara bravura (maggie smith e judi dench incredibili!!!).
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(di una voce)
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[+] diffidate dei critici cinematografici
(di sergioras)
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francesca meneghetti
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domenica 8 aprile 2012
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se non andrà bene non sarà la fine
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Il lieto fine annunciato fin dall’inizio (“andrà a finire bene, e se non andrà bene non sarà la fine”) e il formidabile assist costituito dal cast, formato da attori bravi e famosi, possono insospettire lo spettatore più smaliziato, fino a renderlo un po’ prevenuto: un gioco troppo facile, si dirà, per un regista che non è di primo pelo, come John Madden (v. Shakespeare in love), se vuole fare cassetta.
Eppure il film, accattivante e in certi passaggi anche commovente, ma con molta lievità, non è affatto banale e si presta a diverse chiavi di lettura.
Il tema del viaggio come esplorazione di sé, delle proprie inautenticità e del desiderio di rinascita, è il motivo più evidente e scontato: non è certo originale che ciò si svolga ad oriente, là dove il sole sorge (lo diceva persino Dante nell’XI^ canto del Paradiso).
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Il lieto fine annunciato fin dall’inizio (“andrà a finire bene, e se non andrà bene non sarà la fine”) e il formidabile assist costituito dal cast, formato da attori bravi e famosi, possono insospettire lo spettatore più smaliziato, fino a renderlo un po’ prevenuto: un gioco troppo facile, si dirà, per un regista che non è di primo pelo, come John Madden (v. Shakespeare in love), se vuole fare cassetta.
Eppure il film, accattivante e in certi passaggi anche commovente, ma con molta lievità, non è affatto banale e si presta a diverse chiavi di lettura.
Il tema del viaggio come esplorazione di sé, delle proprie inautenticità e del desiderio di rinascita, è il motivo più evidente e scontato: non è certo originale che ciò si svolga ad oriente, là dove il sole sorge (lo diceva persino Dante nell’XI^ canto del Paradiso). In quest’ottica, l’aspetto interessante è l’ambiente: non luogo mistico, di silenzioso raccoglimento, ma l’India contemporanea, un ibrido di decadenza coloniale e di modernità, pieno di movimento e colore, un turbinio dei sensi (che ci risparmia però gli odori e gli aspetti più degradati delle città) molto vicino alla realtà.
La seconda chiave di lettura riguarda il rapporto tra a civiltà occidentale e quella orientale, tra un mondo dove vivere, e in un certo modo, è un diritto acquisito (assieme ad altri diritti che inaridiscono le persone) e un mondo dove vivere è un privilegio e una gioia, e dove il sorriso si regala con più generosità.
La terza rappresenta una rivisitazione della seconda dal punto di vista demografico e antropologico: l’occidente è anziano, l’oriente è giovane, ma il primo tende a inquadrare gli over 60, impietosamente, nella categoria dei “rifiuti speciali” (dapprima in qualità di persone decadute, poi di cadaveri), così da prospettare loro solo pensieri tetri. Al contrario l’oriente sembra guardare con attenzione e rispetto verso le persone vecchie, forse perché tanto rare.
Infine c’è anche una chiave di lettura sociologica: il registra, ultra-sessantenne, sa che una fetta sempre più ampia di pubblico è rappresentata da “pantere grigie”, e quindi sceglie pane per i loro denti. Se gli anni ’70, cioè quelli che coincidevano con l’adolescenza o la giovinezza dei ragazzi del baby boom, vedevano pellicole affollate da giovani attori, ora è inevitabile, finché questa onda generazionale anomala non si sarà esaurita, che si diffondano storie adatte alla terza età. Per altro, interpretazioni come quella di Maggie Smith (che i più giovani ricorderanno in Harry Potter, altri in Camera con vista), o di Judi Dench (la regina Elisabetta in Shakespeare in Love), o di Bill Nighy non ci fanno rimpiangere la bellezza dell’asino e interpretano con fierezza e bellezza le loro rughe.
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[+] lasciati andare un pochino
(di pierda)
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[+] troppo severa
(di barone di firenze)
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donni romani
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domenica 6 maggio 2012
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la terza età sa ancora emozionarsi
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La terza età al cinema è sempre un argomento ostico da trattare, si rischia di scivolare nel sentimentalismo, o di accentuare i tono drammatici, o al contrario di fare di ogni piccola defaillance un pretesto per spunti comici. Fortunatamente lo stile british si tiene ben lontano dagli stereotipi e forte del suo humor asciutto e di un solido supporto di battute brillanti e taglienti e ci regala una commedia dai toni agrodolci perfettamente recitata peraltro visto che in campo scendono pezzi da novanta del cinema britannico come Judi Dench, Maggie Smith, Bill Nghy e Tom Wilkinson fra gli altri.
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La terza età al cinema è sempre un argomento ostico da trattare, si rischia di scivolare nel sentimentalismo, o di accentuare i tono drammatici, o al contrario di fare di ogni piccola defaillance un pretesto per spunti comici. Fortunatamente lo stile british si tiene ben lontano dagli stereotipi e forte del suo humor asciutto e di un solido supporto di battute brillanti e taglienti e ci regala una commedia dai toni agrodolci perfettamente recitata peraltro visto che in campo scendono pezzi da novanta del cinema britannico come Judi Dench, Maggie Smith, Bill Nghy e Tom Wilkinson fra gli altri. Con queste carte vincenti al regista John Madden risulta facile mettere in scena questo gruppo di sette anziani, ognuno con le proprie difficoltà e frustrazioni che per un motivo o per l'altro, talvolta forzatamente, talvolta con spirito di avventura, decide di trasferirsi dall'Inghilterra. Le malinconie del viale del tramonto della vita sono stemperate da quel brivido vitale che ancora scorre sotto pelle, il coraggio che sembrava perduto può essere ritrovato di fronte all'ignoto, rappresentato in questo caso da un paese sconosciuto e da un Marigold Hotel che si rivela ben meno esotico di quanto promesso dal depliant. Il giovane indiano che gestisce l'albergo è il contraltare naturale, con il suo entusiasmo e la sua ingenuità, al cinismo e alla disillusione di chi conosce già il finale di quasi tutte le storie, ma è proprio vedendo il suo coraggio e la sua tenacia che i tremori della vecchiaia lasceranno il posto all'interventismo fatto di esperienza e competenza. Le trasformazioni sono forse fin troppo stereotipate (la nevrotica e un tantino razzista Maggie Smith che nel giro di due scene si trasforma in paladina del giovane indiano e pianifica il risanamento dell'hotel è francamente poco credibile) e certe svolte narrative sono un po' affrettate e troppo ottimistiche, ma il tono generale del film resta delizioso, e il finale un po' favolistico ci sta tutto, perchè dietro uno sguardo spento ed annebbiato dalle delusioni della vita è bello credere che ci sia ancora spazio per entusiasmi, passioni e slanci. La recitazione misurata e mai sopra le righe dell'intero cast fa di Marigold Hotel una perfetta partitura per malinconia e felicità.
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flyanto
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lunedì 2 aprile 2012
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un accenno di speranza per un gruppo di anziani qm
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Film in cui un gruppo di anziani inglesi decide di trascorrere un certo periodo in un hotel (fatiscente) a Jaipur, in India, al fine di ritrovare il proprio passato o per altre motivazioni personali. Sottilmente ironico ma anche alquanto melanconico con un finale di serena speranza. Eccezionale tutto il cast inglese dove spiccano particolarmente Maggie Smith e Judi Dench.
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pierda
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sabato 14 aprile 2012
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quando la bravura diventa arte
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Ogni tanto il cinema diventa arte. Marigold hotel e' un film commovente, divertente, emozionante, ironico un capolavoro d'arte cinematografica che e' l'essenza della creatività di più artisti. Jhon Maldden lo dirige magistralmente, la cinepresa non la vedi , entri dentro la verità della sceneggiatura con dialoghi intelligenti, la storia ti rapisce perché e la nostra storia quella inevitabile di tutti noi. Un cast fantastico che ha brillato negli ultimi 30 anni in meravigliosi film, troppo lungo e' l'elenco dei superbi attori come troppi sarebbero i film da citare in un semplice post, fatelo da soli e capirete. Da quando vedendo un film sostanzialmente drammatico non fate una risata dopo soli due minuti dall'inizio, e da quanto tempo aspettiamo un film che ci faccia realmente pensare mentre ci diverte e ci emoziona fino alla lacrima, questo e' Marigold Hotel, il massimo della finzione magica del cinema ch si trasforma in realta'.
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Ogni tanto il cinema diventa arte. Marigold hotel e' un film commovente, divertente, emozionante, ironico un capolavoro d'arte cinematografica che e' l'essenza della creatività di più artisti. Jhon Maldden lo dirige magistralmente, la cinepresa non la vedi , entri dentro la verità della sceneggiatura con dialoghi intelligenti, la storia ti rapisce perché e la nostra storia quella inevitabile di tutti noi. Un cast fantastico che ha brillato negli ultimi 30 anni in meravigliosi film, troppo lungo e' l'elenco dei superbi attori come troppi sarebbero i film da citare in un semplice post, fatelo da soli e capirete. Da quando vedendo un film sostanzialmente drammatico non fate una risata dopo soli due minuti dall'inizio, e da quanto tempo aspettiamo un film che ci faccia realmente pensare mentre ci diverte e ci emoziona fino alla lacrima, questo e' Marigold Hotel, il massimo della finzione magica del cinema ch si trasforma in realta'. Il film corale, sicuramente il genere più difficile del cinema, e' magicamente pieno di protagonisti, tutinsono gli eroi del film e tutti i oersonaggi racontano una storia, non insieme, ma la loro storia, come appunto fa di solito il protagonista del film. Qui non ci sono gregari, cooprotagonisti, guest star, ma donne e uomini veri, tutti importanti, tutti con alle spalle una storia significativa come esseri del nostro tempo, con i limiti degli esseri umani, increduli, sfiduciati, fiduciosi, che bramano la gioia di vivere con tutte le indecisioni umane del sogno e della realtà. A tutto il team del film con in testa il superlativo John Madden, dico grazie per i circa 130 minuti (forse più forse meno, non me lo ricordo) di rara bellezza cinematografica. Io lo rivedrò molte altre volte, chi non lo andrà a vedere si perderà uno dei film più significativi degli ultimi 10 anni, che solo un inglese e attori inglesi potevano realizzare. Anche se la produzione e i denari sono arabi, segno che anche ad Abudhabi c'è chi capisce di cinema.
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[+] serenità
(di bruto2757)
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luciacinefila
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lunedì 30 aprile 2012
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indimenticabile!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Ho ancora negli occhi i colori dell'India i suoi rumori le sue strade! L'india vista con gli occhi di pensava di aver già visto tanto... forse troppo.. ma che non può non rimanere coinvolto in un mondo così lontano dal nostro...eppure così simile.In realtà i sentimenti le paure le gioie..sono le stesse in qualunque paese di questo nostro mondo così ingarbugliato.Un cast eccezionale, protagonisti a cui ti affezioni sin dal primo minuto che li vedi apparire sullo schermo,storie così vicine a noi indipendentemente dall'età di chi le guarda..struggente e comico al tempo stesso, anzi lo "humor" inglese che è ancora forse l'unico umorismo in grado davvero di farci sorridere che aleggia su tutta la pellicola conferendogli una certa leggerezza anche nei momenti più tragici del film.
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Ho ancora negli occhi i colori dell'India i suoi rumori le sue strade! L'india vista con gli occhi di pensava di aver già visto tanto... forse troppo.. ma che non può non rimanere coinvolto in un mondo così lontano dal nostro...eppure così simile.In realtà i sentimenti le paure le gioie..sono le stesse in qualunque paese di questo nostro mondo così ingarbugliato.Un cast eccezionale, protagonisti a cui ti affezioni sin dal primo minuto che li vedi apparire sullo schermo,storie così vicine a noi indipendentemente dall'età di chi le guarda..struggente e comico al tempo stesso, anzi lo "humor" inglese che è ancora forse l'unico umorismo in grado davvero di farci sorridere che aleggia su tutta la pellicola conferendogli una certa leggerezza anche nei momenti più tragici del film.Mi sono accorta solamente all'uscita dal cinema che le 2 ore circa di programmazione erano volate via ma chiare rimanevano in me le indimenticabili sensazioni provate durante la visione di questa "favola moderna".Imperdibile una vera gemma nell'attuale panorama cinematografico. Bellissimo!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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pepito1948
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venerdì 15 giugno 2012
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attoriale più che autoriale
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Ormai all’ultimo giro di boa, sette britannici tra uomini e donne decidono di convergere separatamente in India, ciascuno spinto da proprie motivazioni ma tutti in fuga dallo spettro della vecchiaia. Meta comune è il Marigold Hotel, decadente, disadorno, in pieno declino estetico e funzionale come le loro vite. I telefoni non funzionano, i servizi lasciano a desiderare così come alcune camere, i muri esterni sono anneriti ma forse proprio quest’aura demodè e vagamente evocativa di struggenti atmosfere, dopo il primo deludente impatto , catalizza progressivamente gli ospiti, grazie anche all’accoglienza un po’ cialtrona ma invitante e teneramente ottimista del giovane gestore. Finito il trasferimento fisico da un mondo che robotizza i giovani e rottama gli anziani in attesa di sbarazzarsene, verso un mondo più riflessivo e rispettoso delle persone di qualsiasi età, iniziano i viaggi personali dei magnifici sette, ognuno in cerca di qualcosa: di rivedere un vecchio amore, di crearne di nuovi, di riscattare le proprie umili origini, di superare la noia distruttiva di un rapporto coniugale in caduta libera, di alleggerire il grigiore della monotonia quotidiana.
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Ormai all’ultimo giro di boa, sette britannici tra uomini e donne decidono di convergere separatamente in India, ciascuno spinto da proprie motivazioni ma tutti in fuga dallo spettro della vecchiaia. Meta comune è il Marigold Hotel, decadente, disadorno, in pieno declino estetico e funzionale come le loro vite. I telefoni non funzionano, i servizi lasciano a desiderare così come alcune camere, i muri esterni sono anneriti ma forse proprio quest’aura demodè e vagamente evocativa di struggenti atmosfere, dopo il primo deludente impatto , catalizza progressivamente gli ospiti, grazie anche all’accoglienza un po’ cialtrona ma invitante e teneramente ottimista del giovane gestore. Finito il trasferimento fisico da un mondo che robotizza i giovani e rottama gli anziani in attesa di sbarazzarsene, verso un mondo più riflessivo e rispettoso delle persone di qualsiasi età, iniziano i viaggi personali dei magnifici sette, ognuno in cerca di qualcosa: di rivedere un vecchio amore, di crearne di nuovi, di riscattare le proprie umili origini, di superare la noia distruttiva di un rapporto coniugale in caduta libera, di alleggerire il grigiore della monotonia quotidiana. Con l’obiettivo finale di dare un senso quanto più significativo al breve segmento di vita residuo. E tutto questo si avvera giorno dopo giorno, nell’incanto avvolgente dei colori, i sapori, i rumori festosi, la cortesia della gente locale e la giocosità spensierata dei bambini, parallelamente al procedere delle interazioni tra gli stessi “viaggiatori”, che si annusano, si guardano, si vedono, si aprono, solidarizzano, fanno gruppo ed alla fine in qualche modo si rigenerano, in sintonia con il progetto di rinascita del fatiscente l’albergo. Il mosaico si ricompone, tutto va nella direzione agognata, gli attempati pensionati, ridottisi per l’improvvisa perdita di uno di loro, si immergono stemperandosi nella nuova realtà indiana in cui ciascuno troverà un ruolo appagante. Tranne l’unica che deciderà di tornare indietro, carica del fardello del proprio fallimento. Il film del sessantatreenne John Madden si inserisce nella recente filmografia sulla terza età e le sue problematiche o dinamiche (per tutti il trionfatore di Cannes, L’amore di Haneke), ma lo sguardo del regista è focalizzato sull’aspetto non tanto del degrado psicofisico quanto del rifiuto da parte delle società occidentali della vecchiaia, avvertita come un peso sociale e perciò relegata ad inutile zavorra. Ma, oltre alla vecchiaia, aleggiano i temi della solitudine ad essa in qualche modo connessa, dell’amore che accomuna giovani e meno giovani così come etero ed omosessuali, del rifiuto della perdita di ruolo e di identità in relazione all’avanzare del ciclo vitale. Il maggior pregio del film è la componente attoriale; il cast inglese dei protagonisti, alcuni dei quali come Smith e Dench di provenienza teatrale, è di altissimo livello. Per il resto il film non è esente da qualche pecca. Il racconto parte in punta di piedi, lievita nella parte centrale, ma nel finale, in nome di esigenze di happy end, scade nella convenzionalità bolliwoodiana, in cui tutte le storie si compongono felicemente nel tripudio generale. Ma va riconosciuto che Madden ha saputo accompagnare sapientemente il dipanarsi del racconto con il giusto dosaggio di humor, pathos e fascino esotico, anche se si avverte la mancanza dell’estro e del tocco magico di Shakerspeare in love.
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