francesca meneghetti
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domenica 31 ottobre 2010
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il grande lebowski non colpisce due volte
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Grande, per essere grande, in tutti i sensi, Depardieu, lo è. E il soprannome di Mammuth gli si addice – ahimè, per chi ricorda la sua sfolgorante bellezza, nel volto e nel corpo, in Novecento di Bertolucci. Ma non bastano i capelli lunghi e biondi, molto più di quelli di Lebosky, e la moto per fare di lui un indomito nostalgico hippy sessantenne, che, sul punto di varcare la soglia della pensione, intraprende un viaggio avventuroso, nello spazio e nel tempo (a ritroso). Non bastano neanche i numerosi momenti comici – sia pure di un umorismo surreale – del film, a farne un prodotto dotato di grazia e leggerezza . Il film resta tristissimo: sembra seguire scrupolosamente i criteri di un’estetica del brutto: dalla fotografia, sgranata o a bassa definizione, caratterizzata dai contrasti e soprattutto dal predominio del verde (colore che evoca il disfacimento corporeo dopo la morte), alla scelta dei personaggi e degli ambienti.
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Grande, per essere grande, in tutti i sensi, Depardieu, lo è. E il soprannome di Mammuth gli si addice – ahimè, per chi ricorda la sua sfolgorante bellezza, nel volto e nel corpo, in Novecento di Bertolucci. Ma non bastano i capelli lunghi e biondi, molto più di quelli di Lebosky, e la moto per fare di lui un indomito nostalgico hippy sessantenne, che, sul punto di varcare la soglia della pensione, intraprende un viaggio avventuroso, nello spazio e nel tempo (a ritroso). Non bastano neanche i numerosi momenti comici – sia pure di un umorismo surreale – del film, a farne un prodotto dotato di grazia e leggerezza . Il film resta tristissimo: sembra seguire scrupolosamente i criteri di un’estetica del brutto: dalla fotografia, sgranata o a bassa definizione, caratterizzata dai contrasti e soprattutto dal predominio del verde (colore che evoca il disfacimento corporeo dopo la morte), alla scelta dei personaggi e degli ambienti. Questi ultimi sono squallidi (come la fabbrica che macella suini, o un glaciale supermercato) o inquietati, come i mostruosi manichini che arredano il giardino e la casa della nipote, l’unica in grado di apprezzare l’originalità dello zio, ritenuto da tutti uno stupido . I personaggi sono scelti agli antipodi dei canoni di bellezza-giovinezza-magrezza. Altrimenti sono giovani stronzi e vendicativi, o del tutto squinternati, come la nipote. Non basta la conclusione, uno scontato inno alle ragioni del cuore più che a quelle della Previdenza sociale, per riscattare il film dalla sua debolezza di nessi e di un messaggio coeso e robusto, dato che non è salvabile totalmente sul piano della comicità. Tuttavia non manca di interesse. E’ un film provocatorio soprattutto quando contrappone all’estetica di un bello spesso fasullo, l’etica di un brutto talora caricaturale, ma spesso veritiero. Meriterebbe per ciò una discussione collettiva.
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[+] l'estetica del brutto
(di francesco2)
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osteriacinematografo
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mercoledì 4 gennaio 2012
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corri mammuth, corri lontano
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E’ la storia di Serge, un sessantenne che decide di andare in pensione dopo una vita dedicata interamente al lavoro.
L’uomo deve percorrere a ritroso il proprio iter lavorativo alla ricerca dei vari datori di lavoro e degli improbabili contributi versati a suo pro.
Scopriamo presto un uomo totalmente estraneo alla società in cui sembra non essersi mai calato, scopriamo la vera essenza di Serge, soprannominato Mammuth, come la vecchia moto che lo condurrà per campagne francesi fra giostrai, vecchie locande, bar trasandati e strutture che in realtà non esistono più.
Mammuth ha pensato sempre soltanto al lavoro, non è in grado di gestire la più semplice delle operazioni che la quotidianità riserva, è rozzo, trasandato, obeso, di poche parole, e porta lunghi capelli da vichingo.
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E’ la storia di Serge, un sessantenne che decide di andare in pensione dopo una vita dedicata interamente al lavoro.
L’uomo deve percorrere a ritroso il proprio iter lavorativo alla ricerca dei vari datori di lavoro e degli improbabili contributi versati a suo pro.
Scopriamo presto un uomo totalmente estraneo alla società in cui sembra non essersi mai calato, scopriamo la vera essenza di Serge, soprannominato Mammuth, come la vecchia moto che lo condurrà per campagne francesi fra giostrai, vecchie locande, bar trasandati e strutture che in realtà non esistono più.
Mammuth ha pensato sempre soltanto al lavoro, non è in grado di gestire la più semplice delle operazioni che la quotidianità riserva, è rozzo, trasandato, obeso, di poche parole, e porta lunghi capelli da vichingo. Poi, attraverso una regia delicata e artigianale, conosciamo i suoi lati positivi, le sofferenze patite, come la perdita della donna che amava, l’affetto con cui ritrova la nipote alienata, l’amore ritrovato per la vita e la compagna.
Bello e poetico il viaggio in moto di Mammuth, così come la narrazione, che rimbalza in modo tenue fra vicende concrete e l’universo surreale di Serge e degli strambi personaggi (la nipote in primis) che si presenteranno sulla scena di un film che è insieme fuga, sogno, follia, riscoperta di un motivo, dell’amore, della voglia di continuare.
E allora corri Mammuth, corri veloce, non ti fermare.
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francesco2
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mercoledì 9 novembre 2011
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la ville est tranquille?non!
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Ancora la provincia francese, che ci avevano illustrato Guediguan e questi stessi registi nel loro precedente "Louise e Michel"; ma penso anche a "Marius e Jeannette". Un cinema mai consolatorio, alle volte semmai consolante, perché senza abbandonarsi a stupidi ottimismi (Ed anzi, a volte, trasfigurando la realtà in maniera caricaturale, come in questo caso), non evita di lanciare tiepidi messaggi di speranza.
Andando alla specificità di questo film le prime immagini, raffiguranti animali ormai privi di vita in vendita come carne, si ricollegano abbastanza ad una scena della "Commedia di Dio"('95), del portoghese Monteiro: in una - Credo- delle prime scene, la cinepresa si soffermava su una testa di pesce, destinata a venire spezzata nel giro di qualche momento.
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Ancora la provincia francese, che ci avevano illustrato Guediguan e questi stessi registi nel loro precedente "Louise e Michel"; ma penso anche a "Marius e Jeannette". Un cinema mai consolatorio, alle volte semmai consolante, perché senza abbandonarsi a stupidi ottimismi (Ed anzi, a volte, trasfigurando la realtà in maniera caricaturale, come in questo caso), non evita di lanciare tiepidi messaggi di speranza.
Andando alla specificità di questo film le prime immagini, raffiguranti animali ormai privi di vita in vendita come carne, si ricollegano abbastanza ad una scena della "Commedia di Dio"('95), del portoghese Monteiro: in una - Credo- delle prime scene, la cinepresa si soffermava su una testa di pesce, destinata a venire spezzata nel giro di qualche momento. Qui tutto sembra rendere la miseria -In tutti i sensi- che circonda il protagonista, salutato dai colleghi alla vigilia della pensione ma (auto)abbandonato(si?)a sé stesso in un contesto greve, in cui gli alterchi con il grezzo impiegato del magazzino rischiano di risultare i momenti più "vivaci" della giornata.
Ciò cui sembrano interessati i due registi non appare soltanto condannare la nostra società, anche se emergono segnali di cupo pessimismo quando, per esempio, un ragazzino chiede ai genitori di denunciare il "grasso e sporco"protagonista. O quando, in una scena forse tra le migliori del film , mettono in scena un subdolo ex-principale che, per non versare al protagonista i contributi passati, ne mette "in risalto" le modeste capacità intellettuali. Ancora più antipatico di chi "Rifiuterà" la stralunata nipote durante un colloquio di lavoro, dopo avere manifestato un finto interesse. No, altre situazioni, improntate -Sembra- più che altro alla caricaturalità (Valga per tutte la pseudo-handicappata) appaiono forse come tasselli di quel mosaico che è il viaggio del protagonista. Sulla strada (In tutti sensi!) della "Storia vera" lynchiana, Depardieu intraprende un percorso (Fisico, matyeriale, certo, ma anche interiore) che serve a (ri?)dare smalto al grigiore che, come detto, ormai lo avvolgeva.
Ciò detto, però, "Mammuth" a volte smentisce le premesse delle primissime scene (Quella moto ripresa con uno stile realistico-fotografico). Come avveniva nel precedente film, divenuto un piccolo caso
cinematografico per meriti abbastanza dubbi, resta il sospetto di un grottesco un pò fine a sé stesso (La moglie che vorrebbe picchiare, poi cambia idea), ed altri personaggi relativamente marginali, quali la nipote ed il fratello, appaiono tratteggiati più che analizzati.
Un pò come se "Mammuth" fosse una favola, amara e disincantata sì, ma pur sempre una favola, come testimonierebbero la morta che "accompagna" il protagonista fino ad un certo punto, e soprattutto il lieto fine.
Resta però una denuncia asciutta che calca bene il terreno del surreale, e per questo chi lo definisca un film che esiste "Grazie a Depardieu" può apparire sicuramente esagerato.
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ipno74
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mercoledì 25 maggio 2011
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il rozzo mammuth
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Buon film con Depadieu che però non ha un gran ritmo.
La sceneggiatura è buona anche a volte la regia è un pò lenta.
Una regia a volte lenta ma anche geniale, con richiami del passato con la vera pellicola anni '70.
Storia di un'uomo afflitto per la morte della sua ragazza o storia di una sera.
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eugenio
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sabato 23 febbraio 2013
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la nuova frontiera della commedia on the road
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Di nuovo la Francia,ancora protagonista di una dolce-amara commedia targata Benoît Delépine e Gustave de Kervern. I due registi anarco-insurrezionalisti dopo il surreale Louise Michel tornano ad occuparsi di un tema assai “caldo” e attuale: il ritorno alla quotidianità delle proprie azioni dopo un’alienante esistenza lavorativa.
Se nella precedente pellicola l’originale duo illustrava la vicenda di un gruppo di impiegate che in seguito alla perdita del proprio posto di lavoro in un’azienda tessile,sfruttavano i soldi della liquidazione per assoldare un bizzarro killer allo scopo di uccidere il loro “fantomatico ” capo (con tutti gli annessi e connessi da black-comedy), in Mammuth l’azione è focalizzata sul singolo,un omaccione di sessanta anni capellone cave-man,bigonzo dal cuor d’oro interpretato da un magistrale Depardieu vera anima e motore della pellicola.
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Di nuovo la Francia,ancora protagonista di una dolce-amara commedia targata Benoît Delépine e Gustave de Kervern. I due registi anarco-insurrezionalisti dopo il surreale Louise Michel tornano ad occuparsi di un tema assai “caldo” e attuale: il ritorno alla quotidianità delle proprie azioni dopo un’alienante esistenza lavorativa.
Se nella precedente pellicola l’originale duo illustrava la vicenda di un gruppo di impiegate che in seguito alla perdita del proprio posto di lavoro in un’azienda tessile,sfruttavano i soldi della liquidazione per assoldare un bizzarro killer allo scopo di uccidere il loro “fantomatico ” capo (con tutti gli annessi e connessi da black-comedy), in Mammuth l’azione è focalizzata sul singolo,un omaccione di sessanta anni capellone cave-man,bigonzo dal cuor d’oro interpretato da un magistrale Depardieu vera anima e motore della pellicola.
Lavoratore irreprensibile e indefesso in un mattatoio alla soglia della pensione,il simpatico personaggio scopre che alcuni suoi vecchi datori di lavoro non gli hanno versato i contributi (godetevi la scena all’ufficio delle imposte). Pertanto,su consiglio dell’acida moglie,in sella alla sua moto anni ’70,una Mammuth appunto ripercorre le strade del passato alla ricerca di quei documenti ma soprattutto di quell’identità che credeva perduta e sepolta dalle ceneri di un’esistenza grigia e monotona. Su di essa aleggia insistentemente il fantasma di Yasmine,suo antico amore infantile la cui esile vita è stata irrimediabilmente spezzata da un incidente. Un incidente a bordo di quella “maledetta” Mammuth.
Il viaggio,come metafora di conoscenza e riscoperta di se’ è un tema caro e fin troppo abusato delle commedie di quest’ultimi tempi (si veda Il treno per il Darjeeling, Eldorado Road o Little Miss Sunshine per citare alcuni titoli famosi),tuttavia, i due registi riescono, con i loro modi originali di ripresa a creare un prodotto originale,fresco e grottesco. Ed è cosi’ che lo spettatore sorride (spesso amaramente) osservando tratti di umanità surreale incontrata dal goffo Serge: si spazia dallo scavatombe con l’armonica, al buttafuori di un locale che bacia in bocca manichini femminei, dal circense girovago in roulotte alla candida,semidrogata nipote e al caro fratello ritrovato il quale,si sente un irrefrenabile bisogno di “gingillarsi”a letto… Questo è solo uno spaccato dell’umanità ambigua filmata in alcuni tratti, volutamente con tocco sgranato e su piu’ piani di visione quasi a sottolineare l’assurdità e la molteplicità delle azioni che contraddistinguono esistenze spiazzate dal vortice impetuoso della vita.
Mammuthcostituisce un prodotto esilarante,riflessivo ma dalla creatività fine a se’ stessa. Alcune scene risultano troppo barocche: se all’inizio possono far sorridere, a lungo termine (in particolare nella seconda parte relativa all’incontro con i parenti), finiscono per divenire tediose e ripetitive, contrariamente all’intento del cineasti. Cio’ non toglie che la pellicola sia travolgente e ammirabile per il coraggio di mostrare aspetti prettamente “quotidiani” con piglio surreale. Un bell’esercizio di virtuosismo stilistico che annovera,tra gli svariati esempi la divertente scena del protagonista al supermercato: dai dialoghi col salumiere, alla persona svenuta per terra al forzato parcheggio del carrello tra due auto in sosta. Peccato che, successivamente, la sceneggiatura crolli verso la strada dell’autocompiacimento e della pretestuosità, percorribile solo in condizioni meteo serene.
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claudia
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domenica 7 novembre 2010
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in sella con depardieu verso la vita
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Il lavoro è il vero protagonista di Mammuth. Il lavoro che di volta in vola è alienante, amato, mancato, odiato. Serge, il protagonista, lo ama troppo, al punto da vedere la sua vita vuota nel momento in cui raggiunge l'età della pensione. Scopre però che alcuni suoi datori di lavoro non gli hanno versato i contributi, quindi parte in sella alla sua vecchia moto per far valere i suoi diritti. Il viaggio attraverso la Francia e a ritroso nel suo passato gli fa vivere episodi dai quali l'uomo, grosso e goffo ma dal cuore tenero, capisce che la vita non è solo quella che lui immaginava. Soprattutto l'incontro con la nipote ritardata e col fantasma dell'amore perduto (una grande Isabelle Adjani) gli aprono gli occhi.
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Il lavoro è il vero protagonista di Mammuth. Il lavoro che di volta in vola è alienante, amato, mancato, odiato. Serge, il protagonista, lo ama troppo, al punto da vedere la sua vita vuota nel momento in cui raggiunge l'età della pensione. Scopre però che alcuni suoi datori di lavoro non gli hanno versato i contributi, quindi parte in sella alla sua vecchia moto per far valere i suoi diritti. Il viaggio attraverso la Francia e a ritroso nel suo passato gli fa vivere episodi dai quali l'uomo, grosso e goffo ma dal cuore tenero, capisce che la vita non è solo quella che lui immaginava. Soprattutto l'incontro con la nipote ritardata e col fantasma dell'amore perduto (una grande Isabelle Adjani) gli aprono gli occhi. Sono le uniche persone che lo capiscono e che, ognuna a suo modo, lo invitano a non cambiare e a restare ingenuo e pulito. Da questo viaggio iniziatico Serge torna uomo nuovo, più innamorato della moglie e della vita vera, limpida come il cielo blu col quale finisce il film. Un grande Depardieu che sa commuovere ed emozionare anche solo con lo sguardo, perfettamente in parte nel ruolo del rude dal cuore tenero. Preparate i fazzoletti, si ride tra le lacrime.
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luca scialò
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venerdì 12 novembre 2010
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scoprire tardi le cose che contano nella vita
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Serge, per tutti Mammuth per la stazza fisica e per il nome della moto degli anni '70 che ha ma che ormai non usa più, va in pensione. Nella sua vita ha svolto tantissimi lavori manuali, avendo cominciato a 16 anni, ma molti dei suoi ex capi non gli hanno versato i contributi utili per avere la pensione. Dunque riprende la sua vecchia motocicletta, anche dietro consiglio della moglie Catherine, e decide di recarsi presso i vari datori di lavoro, che ormai non vede più dagli anni '70. Tanto che molti hanno dismesso la propria attività. Quelli che riesce a ritrovare gli dicono invece di non avergli versato i contributi, essendo quelli lavori di bassa manovalanza e retribuzione.
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Serge, per tutti Mammuth per la stazza fisica e per il nome della moto degli anni '70 che ha ma che ormai non usa più, va in pensione. Nella sua vita ha svolto tantissimi lavori manuali, avendo cominciato a 16 anni, ma molti dei suoi ex capi non gli hanno versato i contributi utili per avere la pensione. Dunque riprende la sua vecchia motocicletta, anche dietro consiglio della moglie Catherine, e decide di recarsi presso i vari datori di lavoro, che ormai non vede più dagli anni '70. Tanto che molti hanno dismesso la propria attività. Quelli che riesce a ritrovare gli dicono invece di non avergli versato i contributi, essendo quelli lavori di bassa manovalanza e retribuzione.
Durante questo viaggio incontrerà vari personaggi molto strani, e ricorderà spesso Yasmine, il suo primo amore morta in un incidente stradale.
Dopo questo viaggio, che diventa una sorta di flashback della sua vita, scoprirà di aver lavorato troppo e di non essersi goduto le cose belle della vita.
Film sul senso della vita e su ciò che davvero conta. Utilizza la metafora del viaggio in moto come viaggio nel passato della propria vita. Gag divertenti e tristi ricordi (in particolare quelli legati a Yasmine) si alternano in modo sublime. La storia è raccontata in modo semplice, essenziale, scorrevole e dinamico. Gérard Depardieu è perfetto per il ruolo di Mammuth.
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ablueboy
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domenica 14 novembre 2010
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simpatico connubio fra iperrealismo e surrealismo
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Nel ritrarre un pensionato alle prese con il problema di recuparare le pezze giustificative per la sua pratica pensionistica, gli autori, come già in Louise-Michel, propongono una veduta fortemente stilizzata su una coppia di personaggi ai margini della società, riproponendoin chiave ipermoderna il tema dell'emarginazione e del proletariato. La cifra stilistica è a tratti iper-realistica e minimalistica, altre volte si propone una narrazione molto più improntata al burlesque e al grottesco, attentando volutamente in più momenti al buon gusto dello spettatore, che si suppone essere borghese.
Utilizzando capacità espressive inedite di Depardieu e la forza scenica della Moureau, dosando bene le comparse della musa Adjani, contrapposte all'estetica geigeriana di Miss Ming, gli autori sviluppano una rappresentazione gradevole e divertente dell'umanità suburbana, un vero e proprio viaggio iconografico in stile odissiaco, che riesce comunque leggero grazie comunque alla sua forte dose di comicità.
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Nel ritrarre un pensionato alle prese con il problema di recuparare le pezze giustificative per la sua pratica pensionistica, gli autori, come già in Louise-Michel, propongono una veduta fortemente stilizzata su una coppia di personaggi ai margini della società, riproponendoin chiave ipermoderna il tema dell'emarginazione e del proletariato. La cifra stilistica è a tratti iper-realistica e minimalistica, altre volte si propone una narrazione molto più improntata al burlesque e al grottesco, attentando volutamente in più momenti al buon gusto dello spettatore, che si suppone essere borghese.
Utilizzando capacità espressive inedite di Depardieu e la forza scenica della Moureau, dosando bene le comparse della musa Adjani, contrapposte all'estetica geigeriana di Miss Ming, gli autori sviluppano una rappresentazione gradevole e divertente dell'umanità suburbana, un vero e proprio viaggio iconografico in stile odissiaco, che riesce comunque leggero grazie comunque alla sua forte dose di comicità.
Bello, forse non per tutti i gusti.
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