johngarfield
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sabato 10 settembre 2011
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un sistema a rotoli
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La scena finale è una carrellata su una fabbrica, un tempo in piena salute, ora morente. Tutto è desolazione: non c'è anima viva. Dove sono gli operai? I dirigenti? Gli automezzi? Nulla. Anni, decenni di duro lavoro, energie, speranze, prosperità. Niente, Finito. Si cambia! Il sistema muta, liberando nuove energie e sbarazzandosi della vecchia carcassa che prima lo sorreggeva e che ora, viene lasciata morire. Ma ci sono gli uomini. Operai, quadri, dirigenti, manager, che diamine! Via! Non sono più assimilabili.
E' in questo desolante quadro che si svolge la trama del film: tre vite, legate l'una all'altra dal lavoro presso la stessa ditta, una specie di colosso che, per sopravvivere, non ha scrupoli nel liberarsi dei rami secchi: decisione drastica che spesso maschera la pigrizia nel trovare nuovi modi per riciclarsi ed evitare di sbarazzarsi di personale capace e affidabile.
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La scena finale è una carrellata su una fabbrica, un tempo in piena salute, ora morente. Tutto è desolazione: non c'è anima viva. Dove sono gli operai? I dirigenti? Gli automezzi? Nulla. Anni, decenni di duro lavoro, energie, speranze, prosperità. Niente, Finito. Si cambia! Il sistema muta, liberando nuove energie e sbarazzandosi della vecchia carcassa che prima lo sorreggeva e che ora, viene lasciata morire. Ma ci sono gli uomini. Operai, quadri, dirigenti, manager, che diamine! Via! Non sono più assimilabili.
E' in questo desolante quadro che si svolge la trama del film: tre vite, legate l'una all'altra dal lavoro presso la stessa ditta, una specie di colosso che, per sopravvivere, non ha scrupoli nel liberarsi dei rami secchi: decisione drastica che spesso maschera la pigrizia nel trovare nuovi modi per riciclarsi ed evitare di sbarazzarsi di personale capace e affidabile.
E' sempre una novità interessante vedere come l'America raffigura se stessa in un ambiente poche volte esplorato: il fallimento personale simbolo di un fallimento più generale che è non solo quello di un colosso industriale, ma di un intero sistema.
John Wells, regista alla sua opera prima, è un buono sceneggiatore e produttore che si è fatto le ossa in tv in serial di grande successo come ER, sembra credere in questo su progetto, una specie di scommessa rischiosa tenendo conto dell'idiosincrasia dell'americano medio verso tematiche deprimenti e poco inclini all'entertainment.
Questo film ci sembra un mare mosso in cui si alternano e si scontrano temi ricorrenti e perfino contraddittori. C'è chi, superato il trauma del licenziamento, non si dà per vinto e ritenta il reinserimento, accettando anche lavori umili. C'è chi, dopo qualche vano tentativo di ricerca di un nuovo posto, decide di farla finita. E c'è chi, alla fine, molla tutto e, finalmente, riscopre nuove dimensioni di vita.
Non è una rappresentazione della crisi che ha investito e messo in ginocchio l'America: sarebbe troppo facile e comodo vederla così. Questo film è un atto di accusa a un sistema dove vige la legge del più forte, un sistema che fino a ieri, tronfio della propria prosperità, non si faceva scrupolo di dare lezioni di "american way of life", con la sicumera di chi è convinto che il proprio modo di vivere e concepire il mondo sia il solo universalmente valido. Salvo poi...E' il volto, peraltro troppo spesso marmoreo e inespressivo, di Ben Affleck a darci la misura di ciò che sta succedendo. Nel suo bel volto gentile da buon americano di successo, iscritto al Country Club, con Porsche nel garage e una villa da sogno, si indovina l'incredulità, l'amarissima sorpresa che il suo bel mondo di sogni, costruito giorno dopo giorno, compiaciuto del proprio successo, convinto dell'immutabilità della propria fortuna, è andato in frantumi. Egli, abituato a dare ordini, spietato quanto glielo consente il ruolo che riveste, senza riguardo per nessuno se non per le leggi di questo stramaledettissimo "mercato" (si noti la frase che suo cognato, un sorprendente e sommesso Kevin Costner, gli rivolge:"Avete investito in qualche posto di merda off shore in Asia questa settimana?"), si trova ora a subire le leggi spietate che prima aveva così tenacemente difeso e fatte proprie.
Il mito americano è andato a farsi benedire: rinunciare alla Porsche, al Club e sistemarsi in casa del cognato vuol dire scendere le strade del fallimento che, per un manager giovane come lui, può essere occasione di riflessione e di rilancio, su basi meno presuntuose e più umili. Cosa che purtroppo non avviene per l'attempato Chris Cooper che si è tinto i capelli per dimostrarsi più giovane (il sistema rifiuta il "vecchio") ed è disposto ad accettare lavori che stroncherebbero un trentenne. Per lui la sentenza è definitiva. Nessuna possibilità di reinserimento. Per lui le stupide frasi "Io vincerò perchè ho fede, coraggio ecc." sono vuote. Lui, che ha creato la società, che ne è stato uno degli artefici principali, gettato via ora come una vecchia ciabatta.
Il volto duro, segnato, sofferto di Tommy Lee Jones, licenziato da una giovinetta chiamata a fare da "tagliateste" è poi degno suggello di una rappresentazione sconsolata di un fallimento epocale.
Rappresentare le angosce di una classe medio-alta alle prese con il fallimento è operazione forse coraggiosa ed in parallelo con la raffigurazione delle difficoltà della classe operaia alle prese con le crisi e le contraddizioni del sistema, tematica portata avanti con coerenza e talento da Ken Loach. Significa alzare la mira e puntare all'establisment, a coloro che "comandano", alla classe padronale. In un clima da si salvi chi può, Wells vuole rendere chiaro che il giocattolo si può rompere e a finirne vittime possono essere gli stessi che lo hanno creato e gestito.
Per ora, il mostro, divorati alcuni pezzi del suo cervello, ne ha elaborati altri ancora più spietati, spaventato dalla repentinità della malattia che lo ha colpito, ma ancora in grado di decidere vita e morte di milioni di persone. Fino, forse, alla prossima e ancora più letale crisi. [-]
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donni romani
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domenica 8 luglio 2012
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la crisi economica brucia ancora
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La crisi economica e il licenziamento di un gran numero di impiegati e manager di una grande compagnia sono al centro di questo dolente affresco contemporaneo, in cui la grande crisi finanziaria resta sullo sfondo per concentrarsi invece sulle sue ripercussioni quotidiane nelle famiglie di chi ha perso il lavoro e con questo il proprio ruolo sociale. Inviare curriculm vitae, sostenere colloqui umilianti e dover seguire un corso di autostima sono quanto di più deprimente possa accadere a chi alla soglia dei quarant'anni pensava di essere già arrivato in vetta e si trova a doversi rimboccare le maniche, e non solo metaforicamente, visto che un paio dei protagonisti si ritroveranno a fare i carpentieri, per garantire alle proprie famiglie quel tenore di vita (club privati, scuole esclusive, macchine di lusso e mutui stratosferici per ville megagalattiche) che fino a pochi mesi prima davano per scontato e che invece dovranno dolorosamente imparare ad abbandonare.
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La crisi economica e il licenziamento di un gran numero di impiegati e manager di una grande compagnia sono al centro di questo dolente affresco contemporaneo, in cui la grande crisi finanziaria resta sullo sfondo per concentrarsi invece sulle sue ripercussioni quotidiane nelle famiglie di chi ha perso il lavoro e con questo il proprio ruolo sociale. Inviare curriculm vitae, sostenere colloqui umilianti e dover seguire un corso di autostima sono quanto di più deprimente possa accadere a chi alla soglia dei quarant'anni pensava di essere già arrivato in vetta e si trova a doversi rimboccare le maniche, e non solo metaforicamente, visto che un paio dei protagonisti si ritroveranno a fare i carpentieri, per garantire alle proprie famiglie quel tenore di vita (club privati, scuole esclusive, macchine di lusso e mutui stratosferici per ville megagalattiche) che fino a pochi mesi prima davano per scontato e che invece dovranno dolorosamente imparare ad abbandonare. Non tutti ce la fanno a superare il fallimento professionale che diventa personale (il consulente che dovrebbe aiutare i licenziati a "riposizionarsi" in pratica li massacra con consigli che sembrano sferzanti giudizi - perdi peso, tingiti i capelli, nessuno assume una persona trasandata come te -) spingendo un manipolo di loro ad abbandonare la tetra riunione per andare a giocare a football al parco e riappropriarsi di quella vita semplice e vera che solo lontani dalle strategie di mercato e dalle rigide regole per rimanere aggrappati al mondo del lavoro "che conta" si può ritrovare, magari inchiodando, storti, gli infissi di una casa in costruzione. Bella metafora di una società soffocante e frustrante che impone ruoli e mortifica personalità. Il finale è un po' consolatorio, ma anche pieno di speranza per tutti coloro che non vogliono arrendersi solo perchè gli schemi del mercato finanziario impongono di estromettere chi ha più di trent'anni.
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cenox
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sabato 27 agosto 2011
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la recessione americana
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La recessione americana. Il momento di crisi che stanno attraversando tantissime nazioni europee e non solo. La paura di essere licenziati da un moento all'altro. Non vi è più certezza del futuro? Saremo tutti costretti a ridimensionare le nostre vite? Questo non è di certo quello che pensa all'inizio del film il protagonista, Ben Affleck, il quale viene licenziato a causa dei tagli al personale in esubero, ed improvvisamente si ritrova senza un lavoro. La casa, la macchina, la famiglia...tutto in precedenza era finalizzato al lusso estremo e sembra impossibile potervi rinunciare. L'uomo però scoprirà che non è assolutamente una cosa facile riappropriarsi di un lavoro all'altezza del precedente, lui che guadagnava 110.
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La recessione americana. Il momento di crisi che stanno attraversando tantissime nazioni europee e non solo. La paura di essere licenziati da un moento all'altro. Non vi è più certezza del futuro? Saremo tutti costretti a ridimensionare le nostre vite? Questo non è di certo quello che pensa all'inizio del film il protagonista, Ben Affleck, il quale viene licenziato a causa dei tagli al personale in esubero, ed improvvisamente si ritrova senza un lavoro. La casa, la macchina, la famiglia...tutto in precedenza era finalizzato al lusso estremo e sembra impossibile potervi rinunciare. L'uomo però scoprirà che non è assolutamente una cosa facile riappropriarsi di un lavoro all'altezza del precedente, lui che guadagnava 110.000 dollari al mese. Ma sarà costretto dagli eventi della vita a reimparare quali sono i veri valori su cui fare affidamento. Ottimo cast e film ben recitato.
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filippo catani
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sabato 24 agosto 2013
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il prezzo della crisi
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Una società che si occupa di diversi settori tra cui costruzioni navali, ferroviarie e anche ramo sanitario entra in crisi con il crollo di Wall Street. Per cercare di mantenere a galla la società si decide per un drastico taglio del personale. Prima il direttore delle vendite poi due tra i fondatori dell'azienda verranno licenziati e per loro si apriranno le porte dell'incertezza.
Un bel film diretto da Wells che riflette con cinismo e amarezza sull'America e sul mondo di oggi specialmente quello guidato dalla Borsa. I grandi manager rimangono stabilmente ancorati alle loro poltrone e ai loro stipendi da capogiro e a pagare i conti della crisi sono i sottoposti che si ritroveranno sulla strada dopo anni di servizio.
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Una società che si occupa di diversi settori tra cui costruzioni navali, ferroviarie e anche ramo sanitario entra in crisi con il crollo di Wall Street. Per cercare di mantenere a galla la società si decide per un drastico taglio del personale. Prima il direttore delle vendite poi due tra i fondatori dell'azienda verranno licenziati e per loro si apriranno le porte dell'incertezza.
Un bel film diretto da Wells che riflette con cinismo e amarezza sull'America e sul mondo di oggi specialmente quello guidato dalla Borsa. I grandi manager rimangono stabilmente ancorati alle loro poltrone e ai loro stipendi da capogiro e a pagare i conti della crisi sono i sottoposti che si ritroveranno sulla strada dopo anni di servizio. Sarà così per il personaggio interpretato da Ben Affleck che improvvisamente vede distruggersi il suo mondo dorato. Auto sportiva, casa da sogno, club, vestiti firmati e carte di credito e mutui a volontà. Ovviamente non appena lo stipendio smette di arrivare, non solo queste spese diventano insostenibili ma bisogna anche cercarsi un nuovo impiego. Il tutto scontando una forte umiliazione perchè i familiari e i vicini registrano la tua caduta dalle stelle. Sarà l'odiato cognato a dargli la possibilità di rimettersi in carreggiata scoprendo anche valori come il lavoro di fatica e la solidarietà tra colleghi come anche la vicinanza della famiglia. Non sarà così per il personaggio interpretato da Cooper che invece sprofonderà sempre più nel baratro dell'alcol e della depressione lui che aveva iniziato come operaio nel cantiere navale. Tra questi due estremi c'è il personaggio di Lee Jones che inizialmente si salva dal taglio di teste ma poi finirà silurato dal suo migliore amico e socio. Pure lui avrà modo di interrogarsi su una vita partita dal nulla e dove era arrivato ad avere tutto ma non la felicità e la realizzazione nel proprio lavoro. Solo ripartendo dall'inizio e cioè dal cantiere si può provare a costruire qualcosa di nuovo. Insomma un lucido e crudo ritratto degli USA post 2008 dove oltre alla gran massa di lavoratori anche manager di medio-alto calibro si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano e una serie di debiti da pagare. A distanza di qualche anno duole ammettere che le cose non sono poi cambiate troppo e anzi la forbice tra i guadagni di un CEO e di un dipendente stanno raggiungendo cifre folli. Ecco il punto focale del film e la sua forza sta proprio nei diversi sguardi dei personaggi davanti ad una crisi inaspettata e alla prospettiva di un brusco cambio delle abitudini di vita; infatti ognuno reagisce in maniera diversa e purtroppo tante vicende si chiudono nel drama.
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giorpost
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martedì 16 febbraio 2016
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un lucido affresco sulle conseguenze della crisi
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La GTX è una multinazionale quotata in borsa, specializzata in costruzioni navali. Negli anni della grande recessione economica partita nel 2007 subisce un vertiginoso calo degli utili che spinge, senza colpo ferire e secondo una consolidata prassi negli USA dell'ultimo decennio, a prendere la strada dei licenziamenti. I primi ad essere colpiti sono soprattutto i colletti bianchi, il management della società che, alla voce spesa, ha il peso maggiore; Bobby Walker, quarantenne rampante con famiglia, villa e Porsche a seguito, è uno di questi. Il tipico esemplare medio-borghese americano dallo stipendio a 6 cifre si trova dalla sera alla mattina senza stipendio, un esoso mutuo che incombe ed una scarsissima flessibilità mentale tipica di chi pensa di potersi cullare sulla gloria passata; tre mesi di infruttuosi colloqui, ove si propone come “assolutamente adeguato al compito” ed eventualmente disponibile a “guadagnare anche 110.
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La GTX è una multinazionale quotata in borsa, specializzata in costruzioni navali. Negli anni della grande recessione economica partita nel 2007 subisce un vertiginoso calo degli utili che spinge, senza colpo ferire e secondo una consolidata prassi negli USA dell'ultimo decennio, a prendere la strada dei licenziamenti. I primi ad essere colpiti sono soprattutto i colletti bianchi, il management della società che, alla voce spesa, ha il peso maggiore; Bobby Walker, quarantenne rampante con famiglia, villa e Porsche a seguito, è uno di questi. Il tipico esemplare medio-borghese americano dallo stipendio a 6 cifre si trova dalla sera alla mattina senza stipendio, un esoso mutuo che incombe ed una scarsissima flessibilità mentale tipica di chi pensa di potersi cullare sulla gloria passata; tre mesi di infruttuosi colloqui, ove si propone come “assolutamente adeguato al compito” ed eventualmente disponibile a “guadagnare anche 110.000 dollari invece dei 120 a quali ero abituato, benefit a parte”, fanno capire che Bobby (Affleck) non ha minimamente realizzato la portata della crisi che ha colpito il pianeta, incapace nel calarsi in un una realtà diversa dalla vita agiata cui era abituato, ivi compresa la frequentazione del circolo di golf (dal quale verrà rapidamente espulso).
Anche il suo superiore Gene, eccellente la prova di Lee Jones, non riesce ad evitare l' allontanamento pur essendo braccio destro e amico intimo del CEO, mr Salinger; Gene è un tipo piuttosto pragmatico e quindi, forte di una ricca buonuscita come ex membro del C.D.A. (pratica molto usata anche da noi...), si attiva per poter ricavare qualcosa di buono dagli inaspettati eventi. Lo stesso non si po' dire, invece, del vecchio Phil (Cooper), sessantenne dalla lunga gavetta partita dal cantiere, dove saldava eliche a 20 metri di altezza, nonché amico d' infanzia proprio di Gene: fino a quel momento in una campana di vetro col suo lavoro impiegatizio e grazie anche al suo operato di lacchè del capo, Phil non regge l' umiliazione di dover chiedere a 60 anni suonati elemosina in giro a conoscenti che non se la sentono di assumerlo per ruoli più adatti a chi ha la metà dei suoi anni; emblematiche le sequenze nelle quali lo vediamo presentarsi ad un colloquio pieno di candidati under 40, per poi essere intervistato da una cinica responsabile che lo tratta con intollerabile superficialità. Subirà un lento e drammatico declino psicologico.
Intanto Bobby, istradato da una moglie molto più lungimirante di lui, accetta il lavoro offertogli dal cognato Jack (un redivivo Costner burbero quanto basta), capo di un' impresa di costruzioni; l' ex manager, dopo aver venduto macchina e casa, inizia ad impiantare chiodi e portare pesi sulle spalle mentre cerca di prestare le necessarie attenzioni nei confronti del figlio adolescente, finora trascurato.
Il susseguirsi degli eventi portano Bobby (finalmente convincente Affleck) a capire che il tenore di vita non può più essere quello di una volta e ad impegnarsi seriamente sui cantieri, pur tra le ovvie difficoltà di chi non ha dimestichezza coi lavori duri; un nuovo equilibrio che gli farà riapprezzare i valori reali e la saggezza della consorte (la brava DeWitt). Tuttavia non sarà questo l' epilogo di una storia in divenire...
Supportato da un cast di sicuro affidamento, nel quale ogni uno fa il suo ruolo esattamente come gli è stato chiesto e dove spicca l' eccellente prova di Tommy Lee Jones, l' esordiente John Wells porta al Cinema un affresco lucido e dettagliato sulla crisi economica che ha colpito l' occidente; come per Margin Call, con il quale condivide la barricata dalla quale si subiscono gli eventi (e con il quale c'è una curiosa assonanza riguardo ai due capi, da un lato il John Told di Jeremy Irons, dall' altro il Salinger di Craig T. Nelson), The Company Men (USA, 2010) risulta una di quelle opere che hanno meglio affrontato un argomento scottante e fastidioso che nelle sale, laddove è arrivato, non è riuscito ad ottenere un successo nettamente a portata di mano.
Voto: 7,5
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rescart
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sabato 19 gennaio 2013
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c'è no e no
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Quante cose ci sono nella vita che pensavamo non avremmo mai fatto e invece poi ci ritroviamo a fare? La risposta ovviamente non è assoluta ma dipende da chi risponde. Ad esempio nel caso del fondatore della GTX la risposta potrebbe essere: nessuna. Anche perché una persona estremamente ambiziosa parte sin dall’inizio con l’idea di essere disposta a fare praticamente qualunque cosa pur di arricchirsi e rimanere ben stabile nella posizione di potere raggiunta. D’altronde è proprio per questo che ha raggiunto quella posizione di potere, perché non ha mai avuto esitazioni o dubbi, ha fatto subito quello che doveva essere fatto. Senza rimpianti né ripensamenti.
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Quante cose ci sono nella vita che pensavamo non avremmo mai fatto e invece poi ci ritroviamo a fare? La risposta ovviamente non è assoluta ma dipende da chi risponde. Ad esempio nel caso del fondatore della GTX la risposta potrebbe essere: nessuna. Anche perché una persona estremamente ambiziosa parte sin dall’inizio con l’idea di essere disposta a fare praticamente qualunque cosa pur di arricchirsi e rimanere ben stabile nella posizione di potere raggiunta. D’altronde è proprio per questo che ha raggiunto quella posizione di potere, perché non ha mai avuto esitazioni o dubbi, ha fatto subito quello che doveva essere fatto. Senza rimpianti né ripensamenti. Per questo Phil si suicida, perché sa che il no ricevuto ad essere riassunto come manager in giro per il mondo, no sarebbe restato. Invece il no di Bobby ad andare a lavorare con il cognato carpentiere e quello di vendere la casa per trasferirsi dal padre con tutta la famiglia, sono no provvisori, no che diventeranno sì. Forse fu inizialmente un no anche quello di Gene a reinvestire i suoi compensi ultramilionari nelle infrastrutture abbandonate dei vecchi cantieri navali. Gene commette un errore fondamentale rispetto al suo partner vincente: non capisce che a comandare non possono essere i sentimenti e le relazioni di amicizia professionali. Questo genere di amicizie sono in realtà un ossimoro. Gene d’altronde si arricchisce proprio perché viene licenziato, ultimo di una lunga catena di licenziamenti che si giustifica con la necessità di dare priorità al principio di massimizzazione del valore di borsa della società dato dalla quotazione delle sue azioni. Tale valore a volte è inversamente proporzionale al numero di dipendenti raggiunto, se i mercati ritengono, a torto o a ragione, che sia eccessivo. Per natura l’homo economicus è predisposto all’assunzione di rischi. I primi ad accollarsi i rischi sono stati gli investitori, che hanno acquistato azioni basandosi solo sulle inesatte informazioni fornite da bilanci pubblici certificati da società di revisione non sempre adamantine. Ma se è gli andata bene è perché hanno avuto “fiuto”. Lo stesso che adesso li porta a imporre drastici tagli all’inflessibile fondatore della GTX.
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alberto58
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sabato 21 dicembre 2013
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il fantozziano outplacement
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Mi ci sono imbattuto per caso in questo film ieri sera in seconda serata. Il film era iniziato da poco e la scena che ho visto ha subito calamitato il mio interesse perchè era ambientata in una società che fa "outplacement", cioè ricollocazione del personale licenziato. Quella esperienza l'ho vissuta pure io esattamente 7 anni fa ed è stato proprio questo a spingermi a rimenere su quela canale (Rai Movies) ed a vedermi tutto il film nonostante l'ora tarda. Quando in fase di licenziamneto il capo del personale mi porspettò questo "outplacement" come un benefit qualche dubbio lo ebbi, infatti gli chiesi quanti solodi mi avrebbe dato in più se ci avessi rinunciato...ma lui mi parlava di percentuali di ricollocamento vicine al 100% e così mi feci convincere.
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Mi ci sono imbattuto per caso in questo film ieri sera in seconda serata. Il film era iniziato da poco e la scena che ho visto ha subito calamitato il mio interesse perchè era ambientata in una società che fa "outplacement", cioè ricollocazione del personale licenziato. Quella esperienza l'ho vissuta pure io esattamente 7 anni fa ed è stato proprio questo a spingermi a rimenere su quela canale (Rai Movies) ed a vedermi tutto il film nonostante l'ora tarda. Quando in fase di licenziamneto il capo del personale mi porspettò questo "outplacement" come un benefit qualche dubbio lo ebbi, infatti gli chiesi quanti solodi mi avrebbe dato in più se ci avessi rinunciato...ma lui mi parlava di percentuali di ricollocamento vicine al 100% e così mi feci convincere. In realtà questi posti vanno bene solo per diminuire lo choc di chi perde la scrivania e il computer e si ritrova a casa ma, in compenso, non fanno altro che fomentare pericolose illusioni. Ci passai 6 mesi e, ovviamente, non servì assolutamente a nulla. Mi vennero dati dei consigli come "evita le parole killer come CV", mi insegnarono a fare le telefonate, i recall e via di questo passo. L'atmosfera di questi "para uffici" è resa perfettamente nel film, secondo me è una delle parti migliori. Trovo invece inutilmente caricata la discesa agli inferi del protagonista che si ostina a non vendere la Porsche e poi si mette a fare il manovale, se perdi il lavoro a 50 anni dopo avere passato 20 anni in una grande azienda quello che realisticamente ti aspetta è una vita di lavoretti precari e sottopagati (o, talvolta, non pagati) quasi sempre da libero professionista, tanto negli USA quanto qui da noi, ma in campi simili a quelli a cui hai già lavorato perchè se sei abituato da 20 o 30 anni a pigiare sui tasti di un computer non puoi certo pensare di metterti a sollevare sacchi di sabbia a 50 anni, se non altro perchè anche in quel campo c'è concorrenza e chi fa da anni quel tipo di attività non sta certo ad aspettare te. Così il film che è tanto realista per alcune cose (anche la reazione della famiglia del protagonista è assai convincente) lo trovo inutilmente retorico nell'impianto generale. Insomma si poteva fare di meglio ma forse raccontare di lavoretti consulenziali avrebbe fattio meno scena che vedere il protagonista a spalare. In compenso mi è molto piaciuto Kevin Costner, molto convincente nel ruolo di ruvido capomastro.
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molenga
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giovedì 12 gennaio 2012
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un'ambizione che non finisce mai
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L'unico personaggio che susciti un po' di simpatia umana, in questo peraltro ben fatto film, è quello di kevin costner. Un'azienda si trova in cattive acque(ma no! che tema originale9 e chiude due cantiere. vanno a picco i lavoratori( non si vedono, naturalmente) ma anche alcuni pezzi"medi": homo homini lupus. Il pesce piccolo mangia quello grande. Mors tua vita mea. uno di questi pesci medi è ben affleck, orgoglioso e incapace di ammettere il suo fallimento, che presto diventa il fallimento di molti altri: si troverà a lavorare per il cognato-appunto, costner- che costruisce case: ma niente paura: presto un suo ex superiore, anch'egli saganato dalla casa madre, rimetterà in gioco il nostro uomo d'affari, e vissero tutti felici e contenti( non è vero, il finale è aperto).
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L'unico personaggio che susciti un po' di simpatia umana, in questo peraltro ben fatto film, è quello di kevin costner. Un'azienda si trova in cattive acque(ma no! che tema originale9 e chiude due cantiere. vanno a picco i lavoratori( non si vedono, naturalmente) ma anche alcuni pezzi"medi": homo homini lupus. Il pesce piccolo mangia quello grande. Mors tua vita mea. uno di questi pesci medi è ben affleck, orgoglioso e incapace di ammettere il suo fallimento, che presto diventa il fallimento di molti altri: si troverà a lavorare per il cognato-appunto, costner- che costruisce case: ma niente paura: presto un suo ex superiore, anch'egli saganato dalla casa madre, rimetterà in gioco il nostro uomo d'affari, e vissero tutti felici e contenti( non è vero, il finale è aperto).
Bel film, ottimi attori, regia all'altezza ma fuori dall'america, dove i cammelli passano per le crune d'ago, anche molto diseducativo. da guardare senza riflettere
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