sassolino
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domenica 1 febbraio 2009
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l'impotenza
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L'ambientazione scarna, l'attore che tanto somiglia a un novello Al Pacino e in linea di massima l'assoluto minimalismo della messinscena ci restituiscono il clima da coprifuoco che serpeggiava in Cile ai tempi di Pinochet.
Tony Manero incarna in sé tutta la vitalità, la speranza, il disarmante bisogno di uscire da una situazione di morte apparente in cui sembrano galleggiare inerti i protagonisti.
Quello che colpisce in questo film d'autore è soprattutto la forza eversiva della regia, la mancanza di fronzoli nel tratteggiare una società al disarmo, che ha come unica via di fuga la modernità, la speranza di uno sviluppo umano. Fa riflettere anche una certa esibitezza nelle scene di sesso e maggiormente l'impotenza erettile del protagonista, goccia scavante di un'impotenza vitale che lo stato ha travasato sul singolo cittadino.
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L'ambientazione scarna, l'attore che tanto somiglia a un novello Al Pacino e in linea di massima l'assoluto minimalismo della messinscena ci restituiscono il clima da coprifuoco che serpeggiava in Cile ai tempi di Pinochet.
Tony Manero incarna in sé tutta la vitalità, la speranza, il disarmante bisogno di uscire da una situazione di morte apparente in cui sembrano galleggiare inerti i protagonisti.
Quello che colpisce in questo film d'autore è soprattutto la forza eversiva della regia, la mancanza di fronzoli nel tratteggiare una società al disarmo, che ha come unica via di fuga la modernità, la speranza di uno sviluppo umano. Fa riflettere anche una certa esibitezza nelle scene di sesso e maggiormente l'impotenza erettile del protagonista, goccia scavante di un'impotenza vitale che lo stato ha travasato sul singolo cittadino.
Santiago resta ai margini, ci sembra un grosso villaggio sforacchiato in cui decrepiti televisori ammuffiti trasmettono i soporiferi e obbligati canali di stato. Memorabile
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capitan blackgallows
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mercoledì 24 marzo 2010
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tony manero: quando la morte balla
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Ambientato nel Cile inchiodato dalla dittatura di Pinochet, il regista Pablo larrain ci racconta la storia di Raùl Peralta un patetico uomo di 52 anni ossessionato dal successo de La febbre del sabato sera e dal personaggio di cui John Travolta nel film veste i panni. Tutti i comprimari che gravitano intorno al protagonista e lo stesso protagonista, colonizzati da un danzante, "libero" americanismo che fa a pugni con la condizione del paese sudamericano, sembrano essere una metafora della decadenza dei regimi totalitari: le strade sporche e vuote e gli ambienti periferici sono, paradossalmente, dei luoghi claustrofobici in cui per tutta la durata della vicenda si respira un aria di solitudine e squallida desolazione.
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Ambientato nel Cile inchiodato dalla dittatura di Pinochet, il regista Pablo larrain ci racconta la storia di Raùl Peralta un patetico uomo di 52 anni ossessionato dal successo de La febbre del sabato sera e dal personaggio di cui John Travolta nel film veste i panni. Tutti i comprimari che gravitano intorno al protagonista e lo stesso protagonista, colonizzati da un danzante, "libero" americanismo che fa a pugni con la condizione del paese sudamericano, sembrano essere una metafora della decadenza dei regimi totalitari: le strade sporche e vuote e gli ambienti periferici sono, paradossalmente, dei luoghi claustrofobici in cui per tutta la durata della vicenda si respira un aria di solitudine e squallida desolazione. Raul vede come unica possibilità di riscatto alla sua condizione, danzare e vincere, partecipando, ad un concorso televisivo come emulo, appunto, di Tony Manero. Nonostante il regista abbia dedicato poche scene alla brutale condizione politica del Cile nel 1978, questa brutalità si percepisce nell'indole e nelle azioni del protagonista che pur di perseguire il suo scopo non esita a commettere bassezze e crimini di cui nessuno sembra accorgersi, sottolineando la mancanza di identità e di personalità dell'aspirante ballerino. Anche lo spazio dedicato alle relazioni è pervaso da un desolante senso di vuoto e promiscuità che si manifesta nell' incapacità, da parte di Raul, di comunicare ( quando danza è solo una buffa e inespressiva parodia, un burattino incapace di esprimere vitalità e sentimento) o riuscire ad avere rapporti sessuali completi. Il regista, Pablo Larrain, costruisce un film anedonico dove anche l'opposizione al predominio assoluto del regime, da parte di alcuni amici di Raul, sa di depressiva fatalità, sottolineando che senza libertà si è prigionieri anche dentro se stessi, si è privi di orientamento e, nel terrore dittatoriale, tutto perde significato.
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paolorol
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giovedì 17 settembre 2009
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sognare aiuta a vivere ma può far morire
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Il regista descrive in modo crudo e crudele, col distacco di un entomologo, la vita e le aspirazioni di un perdente, immerso in una durissima realtà che non gli permette di esistere se non aggrappandosi strenuamente all'unico progetto che sente per sè salvifico: diventare ricco e soprattutto famoso grazie alla sola cosa che si illude di saper e poter fare. La realtà, quella dell'oppressione della dittatura di Pinochet, gli scivola addosso ma non lo tocca mai profondamente, difeso com'è da uno scudo difensivo che lo rende invincibile. Commette crimini efferati con indifferenza e senza sperimentare nessun senso di colpa, il fine giustifica i mezzi ed il suo fine è troppo importante per permettergli il lusso di porsi scrupoli.
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Il regista descrive in modo crudo e crudele, col distacco di un entomologo, la vita e le aspirazioni di un perdente, immerso in una durissima realtà che non gli permette di esistere se non aggrappandosi strenuamente all'unico progetto che sente per sè salvifico: diventare ricco e soprattutto famoso grazie alla sola cosa che si illude di saper e poter fare. La realtà, quella dell'oppressione della dittatura di Pinochet, gli scivola addosso ma non lo tocca mai profondamente, difeso com'è da uno scudo difensivo che lo rende invincibile. Commette crimini efferati con indifferenza e senza sperimentare nessun senso di colpa, il fine giustifica i mezzi ed il suo fine è troppo importante per permettergli il lusso di porsi scrupoli. E'ormai vecchio ed impotente su tutta la linea, non sa fare niente, meno che mai ballare, il suo fisico è in pieno decadimento, i capelli hanno bisogno di tinture.. Il suo atout massimalista è un candido abito bianco, una sorta di divisa da superman che gli conferirà poteri speciali.Il fallimento è dietro l'angolo ed i suoi sogni sono pronti ad infrangersi al primo collaudo, dove viene sconfitto da un altro disperato un pò più giovane ed un pò più abile. Scenario non dissimile, fatte le opportune proporzioni, da quello degli infiniti casting per il Grande Fratello o delle selezioni per diventare Veline, che affollano il nostro beneamato paese, in balia di un friendly fascism videocratico dove la sola cosa che conta e che permette un riscatto sociale è sperare in un ipotetico ed immeritato successo , potenzialmente accessibile anche a chi non sa fare assolutamente nulla. Il regista non si propone di divertire lo spettatore ed il suo lavoro risulta indigeribile per chi sa cercare in un film soltanto l'evasione. La sceneggiatura è minimalista ma molto efficace, così come la fotografia buia, cupa e desolata. L'interpretazione del protagonista è rigorosa, senza sbavature e compiacimenti. Un buon film, ma non per tutti.Come sempre chi lo dovrebbe vedere lo eviterà come la peste, peccato.
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fueilles
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giovedì 12 marzo 2009
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realtà cruda,non molto lontana da noi
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La dittatura militare in Cile è solo un tenue(anche se inquietante)sfondo,e tutto ciò che essa porta,la violenza,la negazione della libertà,è solo uno dei tanti elementi che contribuiscono a "cronicizzare" una condizione esistenziale delle più tragiche:la spersonalizzazione.Il protagonista è un morto che cammina,non riesce più a provare pietà,affetti, a fare l'amore e forse nemmeno a masturbarsi,non è con gli altri nè con se stesso,ha un corpo di carne e sangue ma senz'anima o, meglio, con un'anima che non gli appartiene:quella di tony manero,che impazza nei cinema di quegli anni.Il cinismo con cui poi miete vittime per realizzare il suo unico pseudo-sogno,quello di diventare almeno l'ombra dell'eroe della febbre de sabato sera(partecipare ad un concorso televisivo per l'elezione del sosia perfetto),è un cinismo che appartiene anche ad altri protagonisti,frutto di quel terrore,di quel panico seminati dalla dittatura.
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La dittatura militare in Cile è solo un tenue(anche se inquietante)sfondo,e tutto ciò che essa porta,la violenza,la negazione della libertà,è solo uno dei tanti elementi che contribuiscono a "cronicizzare" una condizione esistenziale delle più tragiche:la spersonalizzazione.Il protagonista è un morto che cammina,non riesce più a provare pietà,affetti, a fare l'amore e forse nemmeno a masturbarsi,non è con gli altri nè con se stesso,ha un corpo di carne e sangue ma senz'anima o, meglio, con un'anima che non gli appartiene:quella di tony manero,che impazza nei cinema di quegli anni.Il cinismo con cui poi miete vittime per realizzare il suo unico pseudo-sogno,quello di diventare almeno l'ombra dell'eroe della febbre de sabato sera(partecipare ad un concorso televisivo per l'elezione del sosia perfetto),è un cinismo che appartiene anche ad altri protagonisti,frutto di quel terrore,di quel panico seminati dalla dittatura.Ma ciò che distingue dagli altri il protagonista è la perdita completa di sè,la caduta nella rete dei mass media,di un mondo in cui esite solo chi appare...dittatura ben più pericolosa e diffusa ormai come un morbo dappertutto...la smania di essere altro da sè,di apparire,lo porterà allo show televisivo tanto agognato ma anche alla delusione(arriverà solo secondo),con la scoperta di un tony "più tony" di lui...dramma che rimane in sospeso:un tram(e la cruda assenza di musiche nei titoli di coda)lo porterà o all'ennesimo omicidio(del vincitore del concorso)o alla definitiva e reale autodistruzione.Struggente.
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luca scialò
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lunedì 11 ottobre 2010
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evadere dalla realtà a tutti i costi
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In una Santiago del Cile logorata dalla dittatura di Pinochet, Raul Peralta è un quarantenne che ha una grande passione per il ballo, ma soprattutto, per Tony Manero, personaggio che rese popolare John Travolta. Guarda il film in cui è protagonista "La febbre del sabato sera" praticamente tutti i giorni, imparando a memoria le movenze dell'attore americano ma anche le sue battute. Cerca così di mettere in piedi un corpo di ballo con la sua compagna, la figlia di lei della quale nutre una forte attrazione e un altro giovane ballerino.
La sua più grande ambizione è però vincere la puntata di un programma di imitatori, ovviamente quella dedicata ai sosia del suo mito: Tony Manero.
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In una Santiago del Cile logorata dalla dittatura di Pinochet, Raul Peralta è un quarantenne che ha una grande passione per il ballo, ma soprattutto, per Tony Manero, personaggio che rese popolare John Travolta. Guarda il film in cui è protagonista "La febbre del sabato sera" praticamente tutti i giorni, imparando a memoria le movenze dell'attore americano ma anche le sue battute. Cerca così di mettere in piedi un corpo di ballo con la sua compagna, la figlia di lei della quale nutre una forte attrazione e un altro giovane ballerino.
La sua più grande ambizione è però vincere la puntata di un programma di imitatori, ovviamente quella dedicata ai sosia del suo mito: Tony Manero. Fino a quel giorno è pronto a rimuovere dal suo percorso chiunque tenti, anche involontariamente, di intralciarlo.
Primo film di Pablo Larrain, sui sogni e sulla voglia di evadere la realtà che circonda, anche al costo di mettere in secondo piano le persone che ci circondano. Molto ben accolto dalla critica e vincitore di alcuni premi e riconoscimenti in diversi Festival, tra cui quello di Cannes e quello di Torino. Molto bravo Alfredo Castro, nel ruolo enigmatico ed inquieto di Raul.
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dandy
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lunedì 4 aprile 2011
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la febbre del sabato di pinochet.
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Larraìn,che sceneggia assieme col protagonista,mette sullo stesso piano la dittatura di Pinochet con gli effetti della follia dei personaggi che ha provocato,nonchè la riflessione sull'influenza negativa della cultura americana(oltre ai concorsi per il sosia di Tony Manero,ci sono anche quelli per il sosia di Chuck Norris!).Il "sogno americano"è un'ennesimo prodotto da esportazione,e il protagonista ne diventa vittima,privo di ideali e morale.Pronto ad approfittarsi della repressione mentre tutti intorno a lui la subiscono(non esita a derubare i militanti massacrati dalla polizia)per ottenere ciò che vuole.Ma senza riuscire a risultare meno patetico o squallido di chi lo circonda.
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Larraìn,che sceneggia assieme col protagonista,mette sullo stesso piano la dittatura di Pinochet con gli effetti della follia dei personaggi che ha provocato,nonchè la riflessione sull'influenza negativa della cultura americana(oltre ai concorsi per il sosia di Tony Manero,ci sono anche quelli per il sosia di Chuck Norris!).Il "sogno americano"è un'ennesimo prodotto da esportazione,e il protagonista ne diventa vittima,privo di ideali e morale.Pronto ad approfittarsi della repressione mentre tutti intorno a lui la subiscono(non esita a derubare i militanti massacrati dalla polizia)per ottenere ciò che vuole.Ma senza riuscire a risultare meno patetico o squallido di chi lo circonda.Ne esce un ritratto del Cile lucido e sconvolgente,non privo di un certo humor nero,specie nel finale.Forse un pò ridondante nel rappresentare il degrado,e soprattutto l'impotenza di Raùl con fulminei dettagli hard e fotografia fuori fuoco.Ottima la prova di Castro,davvero simile ad Al Pacino(peccato che Pacino nel'78 fosse troppo giovane rispetto a lui per poter fare un concorso di suoi sosia,magari di Tony Montana o Carlito Brigante).Un Al pacino allucinante e stoico,nella sua amoralità.
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gianleo67
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mercoledì 26 marzo 2014
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il sonno della ragione genera...l'emulazione
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Sordido e male in arnese ballerino di mezza età nella Santiago della dittatura militare degli anni '70, coltiva con lucida e bieca determinazione il sogno di una ribalta televisiva nella emulazione del personaggio che rese famose al cinema l'immagine e le coreografie del Tony Manero di John Travolta. Circondanto da un piccolo gruppo di amici adoranti con cui condivide il palco di una bettola di periferia, finirà per esibirsi in un concorso di sosia piazzandosi mestamente al secondo posto...
Primo di una trilogia sugli anni della dittatura militare di Augusto Pinochet (Post Mortem -2010 e No - I giorni dell'arcobaleno -2012 chiudono idealmente il ciclo) e sicuramente il più riuscito dei tre, Pablo Larrain coglie nel segno con questo dramma asciutto e amaro sulla figura di un personaggio senza etica e senza identità, prototipo ideale di una ignavia civile quale sottoprodotto sociale di un governo autocratico e violento nella sua opera di inesorabile annullamento della coscienza collettiva di un intero popolo (quello cileno) braccato nelle strade e martellato dai modelli televisivi di un irraggiungibile e vacuo sogno americano.
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Sordido e male in arnese ballerino di mezza età nella Santiago della dittatura militare degli anni '70, coltiva con lucida e bieca determinazione il sogno di una ribalta televisiva nella emulazione del personaggio che rese famose al cinema l'immagine e le coreografie del Tony Manero di John Travolta. Circondanto da un piccolo gruppo di amici adoranti con cui condivide il palco di una bettola di periferia, finirà per esibirsi in un concorso di sosia piazzandosi mestamente al secondo posto...
Primo di una trilogia sugli anni della dittatura militare di Augusto Pinochet (Post Mortem -2010 e No - I giorni dell'arcobaleno -2012 chiudono idealmente il ciclo) e sicuramente il più riuscito dei tre, Pablo Larrain coglie nel segno con questo dramma asciutto e amaro sulla figura di un personaggio senza etica e senza identità, prototipo ideale di una ignavia civile quale sottoprodotto sociale di un governo autocratico e violento nella sua opera di inesorabile annullamento della coscienza collettiva di un intero popolo (quello cileno) braccato nelle strade e martellato dai modelli televisivi di un irraggiungibile e vacuo sogno americano. Muovendosi insieme al suo personaggio (uno straordinario e semi-sconosciuto Alfredo Castro) attraverso le devastazioni e le macerie materiali e morali di una Santiago sotto l'assedio della polizia politica e dell'esercito del generalissimo 'mapuche', Larrain asseconda la folle ossessione di uno sorta di 'sciacallo di regime' non già ossequioso verso il potere ma piuttosto mosso da un cinico opportunismo, la scheggia impazzita di un generalizzato clima di violenza ed impunità dove solo la sovversione è preclusa e non mai il delitto comune (una donna uccisa per il suo televisore a colori, un artigiano martellato nel sonno per le sue piastrelle 'high density', una coppia di anziani esercenti cinematografici massacrati per i negativi della sua 'pizza' preferita). Figura simbolica e insieme ritratto di uno sconcertante realismo sociale, il personaggio di Larrain è il figlio degenere e sconosciuto di una società alla deriva dove i mostri generati dal sonno della ragione rassomigliano alla folle e squallida parodia di una compulsione emulativa che studia mosse e coreografie, musiche e costumi di scena, dialoghi e pettinature finendo per smarrirne (come in tutte le compulsioni) valori e significati, fino allo straordinario epilogo sospeso su cui aleggia, ancora interdetta, la promessa di una incombente e devastante violenza repressa. Attraverso la scrittura asciutta e rigorosa di una sceneggiatura dove la potenza delle immagini sovrasta la scarna essenzialità dei dialoghi, l'autore ci restituisce il senso di un tempo e di un luogo dove la libertà è un miraggio e l'arte si riduce al feroce carosello di una triste pantomima del potere. Miglior film e miglior attore al Torino Film Festival del 2008, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al 61º Festival di Cannes a quanto pare tra la visione distratta di addetti ai lavori poco qualificati; ed è un vero peccato.
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davidestanzione
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martedì 7 settembre 2010
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larraìn e il mimetico simbolismo "di piombo"
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Santiago, Cile, fine anni ’70 e un'aleggiante cappa di degrado. Raùl è un uomo di mezz’età che rincorre spasmodicamente, tra il grottesco e il mimetico, l'estetica del suo idolo Tony Manero, il personaggio “cult pop” interpretato da John Travolta ne “La febbre del sabato sera”, film che Raùl va a (ri)vedere in sala di continuo, cogliendone in maniera sempre più dettagliata le magnetiche movenze, mandandone a memoria i dialoghi, alla ricerca dell’anima e dell’essenza di un idolo di cartapesta. Un’icona fruibile per smettere i propri consunti, logori panni di uomo (stra)comune immerso in una realtà ancor più caustica e tragicamente inflazionata, anni luce regressa oltre che, nel trionfo delle doppie ‘s’, oppressa dalla spettralità incombente della dittatura Pinochet, che "inquina", penetra sottopelle, nelle case, nelle strade, nelle anime girovaghe di un paese marginalmente ondivago.
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Santiago, Cile, fine anni ’70 e un'aleggiante cappa di degrado. Raùl è un uomo di mezz’età che rincorre spasmodicamente, tra il grottesco e il mimetico, l'estetica del suo idolo Tony Manero, il personaggio “cult pop” interpretato da John Travolta ne “La febbre del sabato sera”, film che Raùl va a (ri)vedere in sala di continuo, cogliendone in maniera sempre più dettagliata le magnetiche movenze, mandandone a memoria i dialoghi, alla ricerca dell’anima e dell’essenza di un idolo di cartapesta. Un’icona fruibile per smettere i propri consunti, logori panni di uomo (stra)comune immerso in una realtà ancor più caustica e tragicamente inflazionata, anni luce regressa oltre che, nel trionfo delle doppie ‘s’, oppressa dalla spettralità incombente della dittatura Pinochet, che "inquina", penetra sottopelle, nelle case, nelle strade, nelle anime girovaghe di un paese marginalmente ondivago. E Tony Manero è una di loro, incarnazione dello sguardo propulsivo che il suo alterego Raùl (e non viceversa) e il Sudamerica rivolgono all’America e ad un futuro lontano, utopicamente auspicabile ma (di fatto) inarrivabile/inafferabile. Un futuro idilliaco, dorato e dalle tonalità “spensieratamente peso piuma”, ma che si dissolve, fulmineo e opaco, se immesso in un brusco, selvaggio confronto con la tangibile realtà cilena di quegli anni, fotografata da Larraìn con implacabile spietatezza e con cipiglio quasi appiccicosamente documentaristico (con la macchina da presa ravvicinatamente tout court, volta ad alitare funerea sui profili impalpabili del protagonista e dei simulacri altrettanto svuotati-altresì detti, personaggi-che gli gravitano intorno). Opalescente é poi la maschera incarnata dall’ottimo protagonista Alfredo Castro (anche co-sceneggiatore, premiato al Torino Film del 2008 insieme al film), che dall’ambiguo Raùl, dai suoi silenzi implosi e dai lineamenti solcati, finisce con l’essere irrimediabilmente “travolto”. Tanto da restituirne sullo schermo l’essenza disgustosamente macabra, tra vecchiette fatte fuori gratuitamente, seppur immerse nei loro ambienti sicuri e inviolabili, incontri sessuali sovraesposti & posticci e scorticanti esplosioni d’irosa intemperanza a partire dalle più futili situazioni, che il pretesto sia il parquet inadeguato di un night di quart'ordine o delle futili scatolette di tonno é in fin dei conti completamente indifferente. Il tutto in prospettiva dell'ultimo, più importante appuntamento: un concorso di sosia per Tony Manero. Quello di Larraìn è un film che fa retorica di piombo, assimilabile e comprendibile a pieno solo se accompagnato da un’apposita riflessione a posteriori. Larraìn usa infatti il simbolismo allegorizzante non come semplice “sottochiave”, ma in luogo del linguaggio cinematografico stesso, che si riduce, rifugiandosi remissivo in un cantuccio di mero esercizio stilistico, a semplice cornice "subalterna" all’affresco complessivo. Un ipertesto infarcito di rimandi, una rarefatta foresta di simboli e simbolo essa stessa di un paese brutalizzato dalla vacua, falsamente illusoria, farisaica immagine di una dittatura (sempre di Sudamerica parliamo, e dunque “una” delle tante). Un tipologie di “sovrastruttura” che insieme appesantisce e libera il film: da un lato infatti ne compromette la scioltezza narrativa che annega (spesso) nella compiaciutamente disgustata contemplazione, dall’altro ne sublima la vaporosa funzionalità di sulfureo manifesto artistico, oltre che di documento storico-sociologico.
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