francesco gatti
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martedì 15 febbraio 2011
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una bella e leggera epopea
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Monicelli dirige alla grande questa leggera epopea dei nostri soldati nel deserto della libia nel 1942. una commedia a metà tra la armata brancaleone e i cari fottutissimi amici, che appassiona e commuove.
I nostri militari di un ospedale da campo, comandati da un romantico haber e da un razionale e democratico pasotti si mettono in marcia, verso non si sa bene dove. a questi si aggrega un fratozzo molto rude (placido), ma buono.
La guerra è lontana, e i problemi sono quelli di tutti i giorni. i dialetti si mischiano, e le culture del manipolo si sovrappongono. scorre via lieve. qualche pecca di montaggio, ma è tutto assai perdonabile.
Da non perdere.
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amandagriss
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venerdì 19 aprile 2013
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...per il bene che ti voglio...
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Seconda guerra mondiale: la I sezione sanitaria dell'Esercito Italiano viene spedita nel cuore della Libia in missione umanitaria per l'arco di tempo di quella che tutti pensano sia una guerra lampo.Qui assistiamo alle vicissitudini di un gruppo di giovani soldati (tra cui Giorgio Pasotti),del loro comandante (un grande Alessandro Haber) e di un frate missionario compatriota (il bravo Michele Placido).Spaesati,frastornati, impreparati,con l'aria di chi si trova lì per caso,i 'difensori della patria' sono perennemente assorti nei loro pensieri,sogni,preoccupazioni private,assolutamente estranei al conflitto in atto.La guerra la vivono per forza e di riflesso: non gli appartiene come loro sentono di non appartenerle.
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Seconda guerra mondiale: la I sezione sanitaria dell'Esercito Italiano viene spedita nel cuore della Libia in missione umanitaria per l'arco di tempo di quella che tutti pensano sia una guerra lampo.Qui assistiamo alle vicissitudini di un gruppo di giovani soldati (tra cui Giorgio Pasotti),del loro comandante (un grande Alessandro Haber) e di un frate missionario compatriota (il bravo Michele Placido).Spaesati,frastornati, impreparati,con l'aria di chi si trova lì per caso,i 'difensori della patria' sono perennemente assorti nei loro pensieri,sogni,preoccupazioni private,assolutamente estranei al conflitto in atto.La guerra la vivono per forza e di riflesso: non gli appartiene come loro sentono di non appartenerle.Complici i frequentissimi tempi morti,passano le giornate sotto il sole cocente dell'Africa in un clima di quasi vacanza e in un'atmosfera generale d'indolenza.Rari,improvvisi attacchi pugnacei li riportano alla realtà,spingendoli ad abbandonare di fretta e furia,col camioncino della Croce Rossa,i luoghi dove hanno piacevolmente soggiornato.I soldati di Monicelli sono antieori compresi e giustificati,che non intendono perire per la gloria nazionale,sono uomini le cui vite nulla hanno a che fare con la belligeranza.Perfino le morti non recano il marchio del valore eroico sul campo: chi cade 'col ferro in mano' è per pura casualità,per ragioni estranee alla ragion di Stato.Dissacrazione della guerra.Sberleffo al ‘memorabile’ imperialismo fascista.Alla soglia dei 90 anni Monicelli firma il suo ultimo lavoro senza lasciare per strada lo spirito iconoclasta,beffardo,sagace,ironico,tagliente ma dal forte retrogusto amaro che da sempre lo ha contraddistinto,esprimendo ancora una volta il suo punto di vista,insofferente ai dogmi del potere.L'ultimo grande vecchio del cinema di casa nostra,con questo piccolo gioiello grezzo -come le rose del titolo,pietre che il vento del deserto intaglia naturalmente conferendole la tipica forma di tali delicatissimi fiori- dal finale memorabile,fa leva sulla conoscenza e memoria storica,riuscendo a divertire e commuovere con egual intensità.
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corrado
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domenica 10 dicembre 2006
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una prova infelice non cancella un genio...però...
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Quando si parla di mostri sacri del cinema c'è sempre una certa reticenza a esprimere giudizi poco lusinghieri, forse perchè sotto sotto ci si sente inadeguati a criticare chi ha così tanto, e per così tanti anni dato a quella che viene definita la settima arte. Tuttavia, in questo caso, non sarebbe giusto esprimere ammirazione per un film come "Le rose del deserto" solo perchè il regista si chiama Mario Monicelli e perchè la Supercazzola fa ridere nel 2006 tanto quanto nel 1975. Certo una prova discutibile non cancella una carriera strepitosa, tuttavia sono ben lontane le geniali battute di spirito e le mille invenzioni degli zingari di Amici Miei, che sapevano coniugare la sapida ironia alla drammaticità della condizione di chi non è pienamente soddisfatto della sua vita e, nonostante i ripetuti tentativi di modificarla, si accorge poi che la sua impresa è destinata a fallire.
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Quando si parla di mostri sacri del cinema c'è sempre una certa reticenza a esprimere giudizi poco lusinghieri, forse perchè sotto sotto ci si sente inadeguati a criticare chi ha così tanto, e per così tanti anni dato a quella che viene definita la settima arte. Tuttavia, in questo caso, non sarebbe giusto esprimere ammirazione per un film come "Le rose del deserto" solo perchè il regista si chiama Mario Monicelli e perchè la Supercazzola fa ridere nel 2006 tanto quanto nel 1975. Certo una prova discutibile non cancella una carriera strepitosa, tuttavia sono ben lontane le geniali battute di spirito e le mille invenzioni degli zingari di Amici Miei, che sapevano coniugare la sapida ironia alla drammaticità della condizione di chi non è pienamente soddisfatto della sua vita e, nonostante i ripetuti tentativi di modificarla, si accorge poi che la sua impresa è destinata a fallire. I personaggi di "Le rose del deserto" sono caricature senza anima, fanno vagamente ridere solo perchè buffe e assolutamente poco credibili, ma non possono certo essere considerati come modelli umani demistificati in funzione di un messaggio, quale che sia la sua natura. Si limitano a fornirci una serie di gags mediocri e talora gratuite che gettano ancora più interrogativi sulla natura e sugli intenti della pellicola.
Non è un film contro o a favore della guerra, perchè non contiene satire o esaltazione del "miles gloriosus", non è una commedia perchè (eccezion fatta per il riuscitissimo personaggio di Placido, Frate Simeone) non fa ridere, né si può chiamare dramma, perchè di drammatico ha solo la recitazione di Haber e Pasotti. Lo sfondo della guerra mondiale viene ribadito qualche volta dalle bombe e dai radiogiornali, altrimenti potremmo tranquillamente essere dinanzi a una lieta scampagnata nel deserto libico, tra cammelli, palme e tanta sabbia.
In sostanza potremmo definire l'ultima fatica di Monicelli come un ritratto abbozzato e superficiale di un gruppo di soldati-infermieri dalla natura grottesca e poco credibile, filmati tuttavia dalla mano di un maestro al quale si può concedere, ogni tanto, un passo falso... o almeno noi sentimentali e nostalgici della Supercazzola prematurata e delle sottocoppe di peltro, ci sentiamo di concederglielo!
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gianluca stanzani
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domenica 5 ottobre 2008
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the end
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Nell'estate del 1940, a una sezione sanitaria dell'esercito italiano viene dato ordine di stazionare in una sperduta oasi del deserto libico. Deserto che avrebbe dovuto sancire, la vittoria lampo delle truppe dell'Asse su quelle Alleate. Deserto che vedrà la sconfitta dello scalcinato regio esercito, una sorta di armata brancaleone, in cui gli stereotipi si sprecano, senza per questo mancare di rispetto alla memoria dei caduti. Con un generale, interpretato da Tatti Sanguineti, la cui arroganza e ottusità è specchio fedele delle gerarchie militari. Il Maggiore Strucchi (Giorgio Haber), timido sognatore, desideroso di tornar presto a casa dalla sua amata. Il fresco tenentino, interpretato da Giorgio Pasotti, giovane avventuriero in cerca di gloria, oltre ad un bizzarro Michele Placido nelle vesti di un frate domenicano.
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Nell'estate del 1940, a una sezione sanitaria dell'esercito italiano viene dato ordine di stazionare in una sperduta oasi del deserto libico. Deserto che avrebbe dovuto sancire, la vittoria lampo delle truppe dell'Asse su quelle Alleate. Deserto che vedrà la sconfitta dello scalcinato regio esercito, una sorta di armata brancaleone, in cui gli stereotipi si sprecano, senza per questo mancare di rispetto alla memoria dei caduti. Con un generale, interpretato da Tatti Sanguineti, la cui arroganza e ottusità è specchio fedele delle gerarchie militari. Il Maggiore Strucchi (Giorgio Haber), timido sognatore, desideroso di tornar presto a casa dalla sua amata. Il fresco tenentino, interpretato da Giorgio Pasotti, giovane avventuriero in cerca di gloria, oltre ad un bizzarro Michele Placido nelle vesti di un frate domenicano. Tratto dal romanzo “Il deserto della Libia” di Mario Tobino, il film segna il ritorno di Mario Monicelli alla macchina da presa; ultimo dei giganti rimasti della cinematografia nostrana. Nel complesso, l'opera ricalca un cliché già visto; priva di qualsiasi slancio di originalità e scadente in una sorta di cinema elementare, più consono ad una regia esordiente. Finale incombente e deludente.
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