tiziano1963
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mercoledì 25 aprile 2007
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uno dei miglior film della storia del cinema
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Pensavo che il film capolavoro di Olmi fosse "L'albero degli zoccoli" ma evidentemente Ermanno ha superato sè stesso. E' raro che un film al cinema riesca contemporaneamente a suscitare grandi riflessioni e grande commozione, eppure Olmi è riuscito a comporre un capolavoro, vorrei che vincesse tutti i premi possibili: miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, migliori comparse, fotografia eccezionale, colonna sonora, sceneggiatura, ecc., in sintesi ogni aspetto di questo film merita 10 e lode.
Di solito ogni storia può essere riassunta da una morale...in questo caso di morali ne possiamo trovare una quantità industriale ed il fatto sorprendente è che il film in sostanza esprime delle grandi verità che sono sempre rimaste inespresse per convenienza e/o ignoranza.
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Pensavo che il film capolavoro di Olmi fosse "L'albero degli zoccoli" ma evidentemente Ermanno ha superato sè stesso. E' raro che un film al cinema riesca contemporaneamente a suscitare grandi riflessioni e grande commozione, eppure Olmi è riuscito a comporre un capolavoro, vorrei che vincesse tutti i premi possibili: miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, migliori comparse, fotografia eccezionale, colonna sonora, sceneggiatura, ecc., in sintesi ogni aspetto di questo film merita 10 e lode.
Di solito ogni storia può essere riassunta da una morale...in questo caso di morali ne possiamo trovare una quantità industriale ed il fatto sorprendente è che il film in sostanza esprime delle grandi verità che sono sempre rimaste inespresse per convenienza e/o ignoranza.
Ogni elemento di questo film ha trasmesso sentimenti e nozioni vitali, non c'è stata immagine o parola di qualsiasi attore senza significato; purtroppo siamo abituati dai programmi televisivi ad ascoltare il nulla ed a subire la perdita di tempo causata da contenitori vuoti, media senza quid; improvvisamente questo memorabile, eccezionale, sorprendente film ci ha donato 92 minuti indimenticabili.
Grazie Ermanno, sento la grande felicità di aver potuto ammirare questo film-capolavoro ma sento anche una profonda tristezza perchè hai detto che sarà il tuo ultimo film.
Ho ancora viva in memoria l'ultima sequenza dove gli amici del professore avevano preparato la festa per il suo ritorno, le candeline accese lungo i bordi della stradicciola, i fiori sulla lunga tavolata, le lacrime della ragazza panettiera...
Come non ricordare poi l'immagine iniziale dei libri inchiodati, la disperazione del custode, il dialogo tra il professore e la ragazza indiana, i dialoghi tra il professore e la panettiera, il dialogo tra il professore ed il maresciallo dei carabinieri, l'incontro con le persone semplici e schiette del paese, il battello sul Po nella notte col sottofondo musicale "Non ti scordar di me", l'immagine del Po con la luna enorme sullo sfondo, l'aiuto delle persone del paese per sistemare il rudere scelto come nuova residenza dal professore, il dialogo tra il professore in cella ed il prete...e mille altre immagini e dialoghi che resteranno sempre vive nella memoria di tutte le persone che avranno visto questo film.
Questo film insegna tra le altre cose che non è necessario per confezionare un buon film, inserire obbligatoriamente: violenza, sesso, orrore, scene demenziali e costosissime, è sufficiente avere buon gusto e mostrare la natura e la realtà così come sono evidenziando aspetti inediti che aspettano solo di essere colti con garbo e determinazione.
Grazie Ermanno! Ad oggi posso dirti che è uno dei miglior film che abbia mai visto ed il messaggio sulla cultura fine a sè stessa è un messaggio vero e sacrosanto che non potrà non far riflettere le persone di buon senso.
Per coloro i quali non hanno ancora visto il film posso solo dire di recarsi appena possibile a vederlo lasciando da parte pregiudizi, convinzioni politiche o religiose, preoccupazioni o altri pensieri che possano distogliere dalla completa visione e completa comprensione di tutti i messaggi e contenuti del film. Osservate il film con gli occhi di un bambino che si appresta ad osservare una realtà nuova che gli servirà per tutta la vita.
Buona visione e se possibile andate a vedere questo film con i vostri genitori, fidanzate, amici, conoscenti ovvero con tutte quelle persone che amate.
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(di mauro 56)
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(di pippo)
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(di pippo)
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goldy milano
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sabato 31 marzo 2007
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un olmo di nome e di fatto
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La metafora è coraggiosa, tanto grande è il rischio del fraintendimento! Il libro cone strumento come utensile: un aratro, un martello, Srumenti per costruire la propria realtà, un proprio percorso che ognuno ha il dovere di perseguire nel rispetto delle proprie capacità e dei propri limiti. Sbagliando se occorre purchè nel rifiuto della falsariga di prescrizioni elaborate da altri.
Un libro bello da gioia ma il senso della vita lo si può cogliere anche senza averne mai letto uno. Le regole della natura in questo senso sono davvero un esempio di democrazia suprema. Davvero abbiamo bisogno di bibliotecari idolatri che proteggono un sapere che il più delle volte è servito e serve per opprimere ? Siamo davvero stati creati per compiere grandiose imprese? Davvero quello che si compie è più importante di come lo si compie? .
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La metafora è coraggiosa, tanto grande è il rischio del fraintendimento! Il libro cone strumento come utensile: un aratro, un martello, Srumenti per costruire la propria realtà, un proprio percorso che ognuno ha il dovere di perseguire nel rispetto delle proprie capacità e dei propri limiti. Sbagliando se occorre purchè nel rifiuto della falsariga di prescrizioni elaborate da altri.
Un libro bello da gioia ma il senso della vita lo si può cogliere anche senza averne mai letto uno. Le regole della natura in questo senso sono davvero un esempio di democrazia suprema. Davvero abbiamo bisogno di bibliotecari idolatri che proteggono un sapere che il più delle volte è servito e serve per opprimere ? Siamo davvero stati creati per compiere grandiose imprese? Davvero quello che si compie è più importante di come lo si compie? .Olmi che di libri ne avrà letti tanti non si è lasciato incantare dalle lusinghe dell'erudizione. E quando arriva a dire che un libro non è paragonabile al piacere di un caffè con un amico si sbarazza con la semplicità dei grandi di miliardi di parole inutili
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katua
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venerdì 6 aprile 2007
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controproducente
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Un film imbarazzante. Sorprende che un bravo regista come Olmi abbia confezionato una favoletta così traballante e melensa, con personaggi e narrazione sviluppati in modo così rozzo da risultare inverosimili anche per gli standard dei cartoni animati.
Non funziona niente: il protagonista si esprime esclusivamente per frasi fatte, talmente retoriche da sfiorare il ridicolo; gli abitanti del villaggio sembrano spietate parodie dei contadini dell'Albero degli Zoccoli; il monsignore bibliofilo è la caricatura dei monaci deformi del Nome della Rosa. La parte migliore del film sono le sequenze prive di dialoghi (belle le inquadrature del Po), ma solo perché non appena i personaggi aprono bocca ci si sente immediatamente catapultati a una specie di lezione di catechismo delle elementari.
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Un film imbarazzante. Sorprende che un bravo regista come Olmi abbia confezionato una favoletta così traballante e melensa, con personaggi e narrazione sviluppati in modo così rozzo da risultare inverosimili anche per gli standard dei cartoni animati.
Non funziona niente: il protagonista si esprime esclusivamente per frasi fatte, talmente retoriche da sfiorare il ridicolo; gli abitanti del villaggio sembrano spietate parodie dei contadini dell'Albero degli Zoccoli; il monsignore bibliofilo è la caricatura dei monaci deformi del Nome della Rosa. La parte migliore del film sono le sequenze prive di dialoghi (belle le inquadrature del Po), ma solo perché non appena i personaggi aprono bocca ci si sente immediatamente catapultati a una specie di lezione di catechismo delle elementari.
Centochiodi è uno di quei casi cinematografici incresciosi in cui la realizzazione del film è talmente maldestra da risultare controproducente ai fini del messaggio o dell'idea che il regista (stando alle interviste) intendeva trasmettere. Distaccarsi da una falsa cultura vuota e arida e aprirsi alla semplicità delle relazioni con gli altri è un proposito senz'altro positivo. Ma perché rappresentare le relazioni in questione in modo così retorico, irreale e didascalico? Perché inventarsi questo paesino da fiaba, i cui abitanti sembrano aspettare da sempre l'ex-professore ed esistere soltanto per accoglierlo con sorrisi e bicchieri di vino? E perché mettere in bocca al protagonista quelle sentenze pesanti come palle di cannone, che finiscono per farlo apparire molto più fanatico e perentorio del suo antagonista in abito talare?
Il risultato di tutto ciò è precisamente l'opposto dell'intenzione del regista: una rappresentazione così fasulla e inverosimile dei rapporti umani "veri" finisce cioè per suscitare cinismo e sarcasmo. "Sarebbe bello mollare tutto e andarsene tra i vecchietti che ballano il liscio; peccato che non esistono".
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maria diaco
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giovedì 20 settembre 2007
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100 chiodi
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Il film di Olmi appare una solida invettiva contro la cristallizzazione del sapere e la sua consequenziale catalizzazione da parte del potere Dominante.L'atto quasi blasfemo di inchiodare dei libri custoditi in maniera sacrale si contrappone magistralmente alla semplicità dei volti anonimi di chi adagiato sulle rive del Po, rischia di perdere la sua dimora, la sua terra, la sua casa. Sconvolge inchiodare delle pagine più dello schiodamento forzato di case seppur abusive??Fin dalle prime scene la dialettica affiora: il custode Libero viene trafitto dall'amara scoperta eppure quei libri non gli appartangono,Libero è forse schiavo di uno scialbo senso del dovere? Il prelato si inginocchia di fronte allo scempio che gli si impone dinnanzi eppure quei libri non gli appartengono.
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Il film di Olmi appare una solida invettiva contro la cristallizzazione del sapere e la sua consequenziale catalizzazione da parte del potere Dominante.L'atto quasi blasfemo di inchiodare dei libri custoditi in maniera sacrale si contrappone magistralmente alla semplicità dei volti anonimi di chi adagiato sulle rive del Po, rischia di perdere la sua dimora, la sua terra, la sua casa. Sconvolge inchiodare delle pagine più dello schiodamento forzato di case seppur abusive??Fin dalle prime scene la dialettica affiora: il custode Libero viene trafitto dall'amara scoperta eppure quei libri non gli appartangono,Libero è forse schiavo di uno scialbo senso del dovere? Il prelato si inginocchia di fronte allo scempio che gli si impone dinnanzi eppure quei libri non gli appartengono.Con la stessa enfasi si piega dinnanzi al Crocifisso? O sovente si china espletando semplicemente il dovuto?? La dignità di chi non ha saputo eseguire al meglio il proprio dovere: custodire. L'arroganza di chi sente il proprio possesso oltraggiato.
IL PROFESSORE,una visione, UOMO DI SCIENZA E DI INDISCUTIBILE FASCINO, un uomo che rappresenta al meglio la Verità, una verità che talvola si mostra integra nella sua unità con la Bellezza.Una verià che si fa ricerca,continua reintegrazione del Senso. Il professore apparentemente al culmine della sua carriera universitaria,vive in realtà lo spaesamento di chi dubita riconoscendosi drammaticamente pura presenza già sempre in cerca dell'essenza. Egli com-prende di non essere com-preso tra quelle pagine,eppure vi ha inchiodato gran parte della sua vita trascorsa come tra-scorrono le acque del Pò. Fra gli argini di quel fiume infatti getterà la sua identità cercando un nuovo approdo di Esistenza, un nuovo sodalizio fra teoresi prassi. Il pragmatismo sorgerà dal quotidiano sopravvivere e conoscerà anime nuove, mondi lontani dove imperversa una natura brulla., difficile da contemplare.All'Università il professore parlava fluentemente diverse lingue nel piccolo paesino viene sovrastato da un dialetto ostico che fiero si schiude contro la globalizzazione che impone di sbaraccare, di smantellare dimenticando.E noi filosofi senza dimori ringraziamo
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riccardo-87
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lunedì 11 gennaio 2010
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una lezione d'apertura alla vita
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Uno dei film meglio pensati e più importanti del nuovo millennio, che si incentra su una filosofia di pura apertura alla vita, contro il sacro ma soprattutto contro la chiusura delle porte della vita a favore del “libro”. “Centochiodi” di Olmi è l’annullamento della parvenza di presenza del libro come sostituto del contatto diretto con gli altri, è una critica radicale al modo di vedere questo come “un fedele compagno”, come lo definisce il “prete” –utilizzo volutamente questo termine dispregiativo alla maniera in cui lo utilizzava Nietzsche -, mentore del professore di filosofia (Raz Degan) protagonista del film. Il professore invece, nonostante in apparenza abbia confidato al suo mentore di voler prendere i voti, viene presentato in chiave tutta opposta: la sua ribellione alla vuotezza della cultura presa senza un vissuto concreto inizia con le parole rivolte ad una sua studentessa, a cui dice, sfiorandole il viso con la mano: “c’è più verità in una carezza che in tutti i libri che ci circondano”.
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Uno dei film meglio pensati e più importanti del nuovo millennio, che si incentra su una filosofia di pura apertura alla vita, contro il sacro ma soprattutto contro la chiusura delle porte della vita a favore del “libro”. “Centochiodi” di Olmi è l’annullamento della parvenza di presenza del libro come sostituto del contatto diretto con gli altri, è una critica radicale al modo di vedere questo come “un fedele compagno”, come lo definisce il “prete” –utilizzo volutamente questo termine dispregiativo alla maniera in cui lo utilizzava Nietzsche -, mentore del professore di filosofia (Raz Degan) protagonista del film. Il professore invece, nonostante in apparenza abbia confidato al suo mentore di voler prendere i voti, viene presentato in chiave tutta opposta: la sua ribellione alla vuotezza della cultura presa senza un vissuto concreto inizia con le parole rivolte ad una sua studentessa, a cui dice, sfiorandole il viso con la mano: “c’è più verità in una carezza che in tutti i libri che ci circondano”. In seguito il professore manifesta la sua ribellione in modo più radicale: dopo aver inchiodato i libri della biblioteca sul suolo e sulle cattedre di questa, da cui il titolo “Centochiodi”, Degan decide di fuoriuscire dalla sua stessa vita; a questo scopo si trova una casa abbandonata in collina vicino ad un paesino e la ristruttura con l’aiuto di alcuni paesani; intanto conosce una panettiera (Luna Bendandi) con la quale inizia una relazione. La semplice vitalità che avvolge il paese portano il professore a decidere di restare lì, ma, dovendo usare la sua carta di credito per aiutare gli abitanti del paese multati pesantemente per le loro case abusive, viene rintracciato dai carabinieri e riportato a Bologna. Il finale è un crescendo continuo: prima l’incontro con il maresciallo dei carabinieri che gli domanda il perché di ciò che ha fatto, al ché lui risponde “un dovere morale. I libri mi avevano deluso. (…) lei se si volta indietro cosa vede? Una casa, una moglie, una vita vissuta. Io se mi volto indietro vedo solo pagine di libri” e ancora la celebre frase “tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. Poi l’incontro finale tra lui e il suo vecchio mentore, che lo accusa di un atto sacrilego contro la verità del libro,in cui “Dio ha rinchiuso parole di vita eterna, per la salvezza di tutti i suoi figli”, a cui Degan risponde “è Dio è il massacratore del mondo. Non ha salvato nemmeno suo figlio dalla croce”. Poi il professore, all’accusa “nel giorno del giudizio, dovrai renderne conto” conclude la sua condanna al cristianesimo – che, si badi bene, non appare come una condanna della teologia per intero, ne del sacro, visto solo nella vita però- dicendo “nel giorno del giudizio sarà lui a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo”. In conclusione ritengo che il film si proponga un obbiettivo di vitale importanza ma forse troppo grande per esservi contenuto, e la sua realizzazione non sempre è ottimale: parte come meglio non potrebbe e finisce con un dialoghi spettacolosi; però la quasi identificazione del professore con Gesù mi pare proprio fuori luogo, e anche la semplicità della vita di paese, nella quale tuttavia si ritrova il vero senso della vita, non credo sia trattata in maniera sufficiente. È comunque un film importante per l’idea di fondo e che va visto per cercare di fare proprie alcune frasi che ridanno centralità all’uomo e alla semplicità come stile essenziale di vita.
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piernelweb
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mercoledì 17 ottobre 2007
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la parabola dei cento chiodi
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L'incipt iniziale è folgorante: la visione di una intera biblioteca di libri sacri crocifissi al pavimento da pesanti chiodi evoca sensazioni dissacranti dal grande impatto emotivo. Il valore dei libri è nullo se il loro contenuto viene disatteso: una perfetta sintesi metaforica da maestro quale è Ermanno Olmi qui al suo ultimo film di finzione prima di dedicarsi unicamente al genere documentaristico. Peccato che poi la "parabola" del regista stilizzata sulle gesta di un neo-cristo errante interpretato da un dignitoso Raz Degan conduca poco più in là di un affannato sospiro incartandosi su di un personaggio che non riesce mai ad essere completamente credibile. Il ritorno alla vita rurale, tanto amata da Olmi, e l'incontro con la povera gente di provincia emarginata dal mondo globale rimane quantomeno incompiuto, sconfinando spesso nell'imbarazzo per le pretenziose affermazioni e per le pillole di saggezza che questo messia del XXI secolo snocciola al suo pubblico.
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L'incipt iniziale è folgorante: la visione di una intera biblioteca di libri sacri crocifissi al pavimento da pesanti chiodi evoca sensazioni dissacranti dal grande impatto emotivo. Il valore dei libri è nullo se il loro contenuto viene disatteso: una perfetta sintesi metaforica da maestro quale è Ermanno Olmi qui al suo ultimo film di finzione prima di dedicarsi unicamente al genere documentaristico. Peccato che poi la "parabola" del regista stilizzata sulle gesta di un neo-cristo errante interpretato da un dignitoso Raz Degan conduca poco più in là di un affannato sospiro incartandosi su di un personaggio che non riesce mai ad essere completamente credibile. Il ritorno alla vita rurale, tanto amata da Olmi, e l'incontro con la povera gente di provincia emarginata dal mondo globale rimane quantomeno incompiuto, sconfinando spesso nell'imbarazzo per le pretenziose affermazioni e per le pillole di saggezza che questo messia del XXI secolo snocciola al suo pubblico. Un film troppo ambizioso che non si autosostiene vanificando un soggetto certamente interessante.
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(di ale)
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olga
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sabato 7 aprile 2007
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la magia del semplice
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CENTO CHIODI
Ermanno Olmi ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo film narrativo. D’ora in poi si dedicherà ai documentari dai quali era partito. Dispiace sentirlo, anche se sono sicura che il saper cambiare (genere o via) è proprio di un grande maestro che sa quando deve di nuovo sperimentare per non ripetersi, così come un grande pittore sa quando deve dare l’ultima pennellata. Per questo motivo Cento chiodi, da ultima creatura, è un concentrato di tutto il modo di pensare tipico di questo regista-poeta, risolto in una sintesi più che matura, quasi sapienziale, senza l’ombra della pesantezza o della pedanteria. E’ un’opera stupenda, di quella bellezza malinconica che hanno i testamenti spirituali, intessuta di immagini pittoriche e suggestive, di atmosfere rarefatte costruite con niente, di una quotidianità non banale, spesso un po’ magica.
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CENTO CHIODI
Ermanno Olmi ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo film narrativo. D’ora in poi si dedicherà ai documentari dai quali era partito. Dispiace sentirlo, anche se sono sicura che il saper cambiare (genere o via) è proprio di un grande maestro che sa quando deve di nuovo sperimentare per non ripetersi, così come un grande pittore sa quando deve dare l’ultima pennellata. Per questo motivo Cento chiodi, da ultima creatura, è un concentrato di tutto il modo di pensare tipico di questo regista-poeta, risolto in una sintesi più che matura, quasi sapienziale, senza l’ombra della pesantezza o della pedanteria. E’ un’opera stupenda, di quella bellezza malinconica che hanno i testamenti spirituali, intessuta di immagini pittoriche e suggestive, di atmosfere rarefatte costruite con niente, di una quotidianità non banale, spesso un po’ magica. Ma quello di Olmi è anche un discorso di rigore e purezza, sotteso da una vena polemica raddolcita e schietta, legata ai valori tradizionali, come l’autore, e diretta contro tutte le manipolazioni di tipo dottrinario. Ciò vale soprattutto per ogni fede, che può essere colta nella sua essenza solo se la si pratica ogni giorno della vita, in ogni atteggiamento, in ogni gesto d’attenzione e comprensione del prossimo. In questo caso è possibile davvero imbattersi in un angelo o in un Cristo sotto mentite spoglie, che ci dà e chiede amicizia, che comunica serenità, che ama la natura, che sceglie l’amore e non la violenza. Questo rappresenta il giovane professore che inchioda i libri rari di un’antica biblioteca e poi fugge lungo gli argini del Po, scegliendo, dopo essersi privato di quasi tutto, come domicilio, una casupola diroccata. In mezzo a una natura che sembra intatta, ma non lo è più, presso la grande via d’acqua che scorre, vive una ristretta comunità di gente semplice, che non ha saputo e voluto abbandonare quelle rive. Queste umanità così diverse si incontrano, si intendono, si raccontano ognuna a suo modo, mentre il professore sempre più allude con i propri discorsi e spiegazioni alla figura di Cristo. Finché una ruspa, che vuole sfrattare gli abitanti superstiti accampati in capanne e roulotte, e un maresciallo dei carabinieri che identifica il professore ricercato, non rompono l’incantesimo dell’utopia quasi compiuta. L’insegnante, confessato il suo crimine culturale, andrà in carcere, pur restando convinto che “le religioni non hanno mai salvato il mondo” e che “nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto della sofferenza degli uomini”. Dopo la scarcerazione, gli amici del fiume ne attenderanno invano il ritorno. Cosa voglia dire il regista con questa attesa delusa può essere di duplice interpretazione. Il Cristo stesso rifiuta di tornare in un mondo divenuto così brutto e lontano da lui oppure è l’inesorabile scomparsa dell’utopia che cede alla realtà? Ognuno sceglierà la sua soluzione o ne immaginerà altre. Ermanno Olmi ha fatto la sua parte, invitandoci a guardarsi dentro, regalandoci immagini di un nitore alla Bresson, con un occhio ai Cenacoli o alle Predicazioni nel tempio della nostra pittura, ha fatto di un divo belloccio della tv un personaggio commovente, si è rimesso in gioco come credente. Cosa possiamo chiedergli d’altro?
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fabio
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martedì 15 maggio 2007
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ultima fermata paradiso...
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Olmi si muove all'interno di un canone quasi favolistico per narrare di un professore in crisi (Raz Degan)che abbandona il mondo e la sua cultura libresca per affrontare la vita degli umili alla ricerca di un reale senso della vita. L'abbandono sotto un ponte della potente BMW rappresenta tutto questo...il Po rappresenta il fiume della vita immutabile, la comunità che là vive diventa la sua famiglia. Gesù-Raz Degan (intensa la sua interpretazione) vive anche un amore leggero con la solare e folle Luna Bendandi...il richiamo alle parabole evangeliche riporta agli stilemi di V.Zurlini ("La prima notte di quiete"), anche lui sospeso tra Rimini ed il mare, come Olmi tra Bologna ed il suo Po, ma con una vena di reale malinconia da Gesù privato dal suo Padre.
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Olmi si muove all'interno di un canone quasi favolistico per narrare di un professore in crisi (Raz Degan)che abbandona il mondo e la sua cultura libresca per affrontare la vita degli umili alla ricerca di un reale senso della vita. L'abbandono sotto un ponte della potente BMW rappresenta tutto questo...il Po rappresenta il fiume della vita immutabile, la comunità che là vive diventa la sua famiglia. Gesù-Raz Degan (intensa la sua interpretazione) vive anche un amore leggero con la solare e folle Luna Bendandi...il richiamo alle parabole evangeliche riporta agli stilemi di V.Zurlini ("La prima notte di quiete"), anche lui sospeso tra Rimini ed il mare, come Olmi tra Bologna ed il suo Po, ma con una vena di reale malinconia da Gesù privato dal suo Padre.
Il contrasto tra il mondo moderno ed i suoi falsi idoli e la semplicità illetterata di quel piccolo mondo rurale risulta la tematica pregnante del film. La cultura ed i suoi prodotti non valgono una carezza ad una donna o un bicchiere di vino diviso tra veri amici. Neppure la religione aiuta il giovane professore ("sarà Dio un giorno a dover render conto della sofferenza degli uomini") a trovare la sua via...le ruspe minacciano la comunità come il mondo moderno uccide gli inermi con la sua avanzata inesorabile e Gesù-Raz scompare nel nulla così come è giunto in quella breve estate. Vanamente la bella Luna lo attende sullo sterrato illuminato dalle candele che si spengono al mattino seguente. "Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato"....
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maria
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martedì 17 marzo 2009
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un vangelo moderno
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si intravede l'immagine di Cristo nel personaggio principale del film , un Cristo che disprezza l'ipocrisia delle religioni codificate che non cambiano un mondo pieno di odio e distruzioni, che lascia tutto per vivere tra i semplici, che ascolta chi non ha mai attenzione, che racconta ciò in cui ognuno può riconoscersi. Un Cristo che si lascia arrestare e processare senza opporre resistenza e che alla fine sparisce lasciando l'eco della sua presenza. Ma a differenza del Cristo che conosciamo non viene "rinnegato" da quelli che lo circondano:Coloro che sono stati salvati , rischia la sua vita e la sua libertà per farlo, lo difendono, dicono di conoscerlo bene, vorrebbero proteggerlo, nessuno lo tradisce.
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si intravede l'immagine di Cristo nel personaggio principale del film , un Cristo che disprezza l'ipocrisia delle religioni codificate che non cambiano un mondo pieno di odio e distruzioni, che lascia tutto per vivere tra i semplici, che ascolta chi non ha mai attenzione, che racconta ciò in cui ognuno può riconoscersi. Un Cristo che si lascia arrestare e processare senza opporre resistenza e che alla fine sparisce lasciando l'eco della sua presenza. Ma a differenza del Cristo che conosciamo non viene "rinnegato" da quelli che lo circondano:Coloro che sono stati salvati , rischia la sua vita e la sua libertà per farlo, lo difendono, dicono di conoscerlo bene, vorrebbero proteggerlo, nessuno lo tradisce. I veri valori stanno in un momdo di semplicità, di autenticità, non nei libri se questi non diventano "vita".Semplici bisogna esserlo, lo si può anche diventare(il battello illuminato che percorre il Po ) ma non è la stessa cosa. Forse, come dice il professore riprendendo un pensiero di Jaspers, in questo mondo artificioso l'unica autenticità è quella della follia.
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lanacaprina
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lunedì 2 aprile 2007
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olmi si è scordato come si fa un film...
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Film testamento di Ermanno Olmi... nel senso che il regista mette la pietra tombale sul buon cinema! Un improbabile Raz Degan, inespressivo e doppiato in maniera imbarazzante, nei panni di un professore universitario di filosofia (i suoi bicipiti mostrano con evidenza gli anni passati sui libri!) che, afferrata la "verità della vita", compie un gesto eclatante e abbandona i suoi studi e tutti i suoi averi (tranne carta di credito con oltre 25.000 euro, computer portatile dalla batteria infinita e vestiti miracolosamente sempre puliti) per rifugiarsi in una capanna sulle rive del Po.
Dialoghi ridicoli e didascalici, inquadrature in cui sembra di sentire il ciack del regista, stereotipi allucinanti (dal vecchio monsignore semi-cieco ma ossessionato dai libri preso in prestito da Il nome della rosa, a personaggi vestiti sempre uguali che compaiono dal nulla pronti a dire una battuta della quale non si sentiva proprio il bisogno.
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Film testamento di Ermanno Olmi... nel senso che il regista mette la pietra tombale sul buon cinema! Un improbabile Raz Degan, inespressivo e doppiato in maniera imbarazzante, nei panni di un professore universitario di filosofia (i suoi bicipiti mostrano con evidenza gli anni passati sui libri!) che, afferrata la "verità della vita", compie un gesto eclatante e abbandona i suoi studi e tutti i suoi averi (tranne carta di credito con oltre 25.000 euro, computer portatile dalla batteria infinita e vestiti miracolosamente sempre puliti) per rifugiarsi in una capanna sulle rive del Po.
Dialoghi ridicoli e didascalici, inquadrature in cui sembra di sentire il ciack del regista, stereotipi allucinanti (dal vecchio monsignore semi-cieco ma ossessionato dai libri preso in prestito da Il nome della rosa, a personaggi vestiti sempre uguali che compaiono dal nulla pronti a dire una battuta della quale non si sentiva proprio il bisogno...).
Un film brutto che cerca di imboccare lo spettatore con frasi di una banalità sconcertante, da parrocchia di periferia. Su tutte, forse, vince la scena in cui il
maresciallo dei carabinieri interroga, come sostituto del magistrato!!, il degan-cristo chiedendo: "Fa parte di qualche organizzazione sovversiva o terroristica?"
Degan: "Sì, del corpo insegnante!" Mar: "Ma non è un'organizzazione terroristica!" Deg:"A volte lo è!"
...difficile rimanere seduti sulla poltrona e non distruggere il cinema!
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(di nonso)
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