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mercoledì 22 agosto 2012
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ikebana
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L’arte è, senza dubbio, l’ingrediente segreto e magico, dei lavori di Tarkovskij. Un’ikebana. Sacrificio si apre con un lungo primo piano dedicato ad un dipinto di Leonardo da Vinci \ Adorazione dei Magi /. Primo piano, che termina su di un albero. E’ un alloro che sovrasta i presenti, quasi a proteggere la trionfale, nativa sacralità. La stessa cam sorprende, appena dopo ed in riva al mare, Alexander un po’ in affanno ed alle prese con un albero da piantare. Alexsander \ Erland Josephson / è il protagonista del film. Perché Tarkovskij sceglie questo dipinto? A parte lo sviscerato amore per l’Arte; mi par di capire, che il profondo meditare, gli innumerevoli studi, le vicissitudini che precedono l’inizio dei lavori del famoso dipinto, ben si accostano al carattere di Alexander.
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L’arte è, senza dubbio, l’ingrediente segreto e magico, dei lavori di Tarkovskij. Un’ikebana. Sacrificio si apre con un lungo primo piano dedicato ad un dipinto di Leonardo da Vinci \ Adorazione dei Magi /. Primo piano, che termina su di un albero. E’ un alloro che sovrasta i presenti, quasi a proteggere la trionfale, nativa sacralità. La stessa cam sorprende, appena dopo ed in riva al mare, Alexander un po’ in affanno ed alle prese con un albero da piantare. Alexsander \ Erland Josephson / è il protagonista del film. Perché Tarkovskij sceglie questo dipinto? A parte lo sviscerato amore per l’Arte; mi par di capire, che il profondo meditare, gli innumerevoli studi, le vicissitudini che precedono l’inizio dei lavori del famoso dipinto, ben si accostano al carattere di Alexander. Il nostro, è professore di Estetica, giornalista, saggista, attore, sceneggiatore e critico teatrale. Le incessanti riflessioni finiscono col togliergli il piacere del sorriso.
Alex si rivolge al figlioletto, che non può rispondergli per i postumi di un intervento alla gola, raccontandogli … “C’era una volta, molto tempo fa, un vecchio monaco che viveva in un monastero ortodosso. Si chiamava Pamve, e un giorno piantò un albero secco sul pendio di una montagna. Così, di punto in bianco; e poi disse al suo giovane allievo, un monaco di nome Ioann Kolov, di innaffiare l’albero, tutti i giorni, finché non fosse diventato verde. Comunque, ogni mattina presto, Ioann riempiva un secchio d’acqua e usciva. Si arrampicava su per il pendio della montagna, e innaffiava l’albero secco. E poi la sera, quando era già scesa l’oscurità, faceva ritorno al monastero. Continuò a fare così per tre anni; finché un bel giorno, salendo sulla montagna, non vide che tutto l’albero era ricoperto di gemme fiorite. Dì pure quello che vuoi, ma, un metodo, un sistema, ha il suo valore. Sai, a volte, io mi dico… che se ogni giorno, esattamente alla stessa ora, uno compisse la stessa azione, come un rituale, nello stesso identico modo, sistematicamente, ogni giorno alla stessa identica ora, il mondo cambierebbe. Si, qualcosa cambierebbe, senz’altro cambierebbe. Uno, potrebbe alzarsi al mattino diciamo… alle sette in punto, andare in bagno, prendere un bicchiere d’acqua dal rubinetto, e gettarlo nella tazza del water, soltanto questo.
Dopo il passaggio di un aereo supersonico e le news di radio e televisione che annunciano la guerra nucleare, la paura lo schiaccerà fino al “crack intellettuale”, e l'atto votivo, sacrificale, descritto dal titolo ne è l’estrema esasperazione. All’interno della “casa sacrificale”, l’angoscia, il terrore, prendono il sopravvento a dimostrazione di quanto l’uomo sia lontano dal cercare la pace vera, interiore, spirituale, oltre che materiale. Devi proprio Amarlo Tarkovskij per stare dietro alla sua “lenta” espressività, ai suoi segni o simboli che volutamente lasciano lo spettatore a combattere con la propria ratio. Un film amorevolmente geopolitico che invia alla casta russa e non solo, sottili e questa volta velocissimi, segnali d’amore. Un Amore, per la Patria e rivolto all’Eterno, che il politico proprio non sa che farsene.
Il messaggio, nonostante gli anni trascorsi, è senz'altro contemporaneo. Chi ha orecchi per intendere, non si immerga nel solo “tempo politico e attuariale”, quello “Tarkovskijano”, è, non solo prezioso, la sua vita ne è testimonianza, ma stipato di Umanità.
хорошее зрение
buona visione
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sabato 24 settembre 2016
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tarkovskij: un genio sottovalutato
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Definire "Sacrificio" un "film" è riduttivo; diciamo meglio: opera d'arte.
Tarkovskij è un genio ancora troppo sottovalutato, soprattutto dalle nostre parti.
Un professore di filosofia ed ex attore sulla sessantina vive su una sperduta isola con la sua famiglia, la moglie e il figlioletto reduce da una delicata operazione in gola che gli impedisce di parlare. Per festeggiare il compleanno si radunano nella sua casa anche il medico di famiglia e un suo vecchio amico, anch'egli ex professore e ora postino a tempo perso. E' evidente che la trama (come in tutte le opere come questa) è un contorno per ritrarre sullo schermo ben più di un sempice intreccio a fini d'intrattenimento.
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Definire "Sacrificio" un "film" è riduttivo; diciamo meglio: opera d'arte.
Tarkovskij è un genio ancora troppo sottovalutato, soprattutto dalle nostre parti.
Un professore di filosofia ed ex attore sulla sessantina vive su una sperduta isola con la sua famiglia, la moglie e il figlioletto reduce da una delicata operazione in gola che gli impedisce di parlare. Per festeggiare il compleanno si radunano nella sua casa anche il medico di famiglia e un suo vecchio amico, anch'egli ex professore e ora postino a tempo perso. E' evidente che la trama (come in tutte le opere come questa) è un contorno per ritrarre sullo schermo ben più di un sempice intreccio a fini d'intrattenimento.
I monologhi di Alexander sono splendide espressioni del genio del regista russo, che mette in mostra citazioni altissime (Nietzsche su tutti ma anche Leonardo nella sequenza iniziale che mostra il dipinto "L' Adorazione dei magi") e una profondità spirituale riscontrabile forse solo in Bergman.
Quella di "Sacrificio" è una parabola che culmina nella critica ad una società tecnocratico/capitalistica persa nell'omologazione e desolatamente priva di spiritualità e povera di pensiero (discorso iniziale di Alexander con il figlioletto "muto"), che prosegue nella preghiera a Gesù Cristo, ormai il solo in grado di consolare un uomo che ha fatto della ratio la sua occupazione di vita ma che comprende che essa, se non è trascesa, (mai abbandonata tuttavia) resta miseramente imprigionata in una passività insopportabile di fronte agli eventi drammatici del mondo (la guerra nucleare imminente annunciata dalla televisione); passività sottolineata anche dalla moglie di Alexander in un raptus di apparente follia ( "perchè voi uomini non fate mai niente" esclama la donna). Egli decide così, ormai disperato, di rivolgersi a Cristo e si dice disposto a rinunciare a tutto, la moglie, il figlioletto , la sua casa e i suoi più cari ricordi purchè tale tragedia abbia fine. Così farà: lascia il figlioletto e la moglie, brucia la sua casa e, creduto pazzo, viene portato via dall'ambulanza.
Quest' opera, pur difficilissima da descrivere degnamente in poche righe, è una meravigliosa riflessione sulla religione e sul pensiero, sul mondo e sull'uomo che solo affidandosi allo spirito, ad una dimensione veramente libera e più alta della sola razionalità può trovare il modo di cambiare una società sempre più inautentica e cieca di fronte alla parte più viva e vera dell'essere, una pace che non può essere raggiunta dall'umanità se ognuno non la trova prima in se stesso.
Da sottolineare, infine, anche lo stile della fotografia, bianco e nero che si alterna a uno straordinario uso del colore in chiaro scuro che aumenta la drammaticità delle scene più intense e spirituali e che rende benissimo la desolazione e l'austerità del paesaggio in molti scorci. Solamente nella sequenza finale i colori si fanno decisi e lucenti, proprio quando Alexander viene "sacrificato" e portato via e il bambino riacquista la voce sotto l'albero regalatogli dal padre e si chiede "in principio era il verbo, perchè papà?". Opera maestosa.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 3 parte
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“Boris Godunov” non è un film. Era stato messo in scena in un teatro di Londra. Per l’autore di questo ritratto fu l’occasione di fare una confessione molto “russa”; e cioè, quella di aver rubato il binocoli da teatro, che fittavano a Covent Garden per un motivo che andava bene oltre il crimine. Sperava che un giorno, come per magia, potessero riprodurre le immagini che avevano visto. Stranamente non esiste traccia della rappresentazione londinese, solo una ricostruzione nel Teatro Kirov di Leningrado (San Pietroburgo) che comunque ci fornisce almeno un’idea della scenografia. Come nel film, Boris si seppellisce nella terra russa; ma lui è lo Zar, quindi un simbolo e si seppellisce in un altro elemento simbolico, la Terra.
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“Boris Godunov” non è un film. Era stato messo in scena in un teatro di Londra. Per l’autore di questo ritratto fu l’occasione di fare una confessione molto “russa”; e cioè, quella di aver rubato il binocoli da teatro, che fittavano a Covent Garden per un motivo che andava bene oltre il crimine. Sperava che un giorno, come per magia, potessero riprodurre le immagini che avevano visto. Stranamente non esiste traccia della rappresentazione londinese, solo una ricostruzione nel Teatro Kirov di Leningrado (San Pietroburgo) che comunque ci fornisce almeno un’idea della scenografia. Come nel film, Boris si seppellisce nella terra russa; ma lui è lo Zar, quindi un simbolo e si seppellisce in un altro elemento simbolico, la Terra. Un tappeto su cui sono impressi i segni dell’Impero. Si seppellisce in Russia, la cartina diventa il territorio e la storia è, a sua volta, un elemento.
Sette mesi prima, Tarkovskij girava in Svezia una delle ultime scene di “Il sacrificio”; probabilmente una delle più difficili nella storia del cinema. 6’ di riprese ininterrotte, in cui la telecamera segue un personaggio, che ha appena appiccato fuoco alla propria casa. La famiglia che lo rincorre disperata, l’ambulanza che arriva. E tutto con lo stesso peso nelle riprese, scandito dal solo movimento avanti/indietro della macchina da presa. L’allegria con cui Andreij prepara le riprese, va oltre il limite umano. La natura della scena, con la casa in fiamme e i personaggi che corrono, richiede ovviamente un’unica ripresa. Ma la stessa ripresa era stata girata una volta e niente era andato bene. Gli effetti speciali non avevano funzionato, la macchina da presa si era bloccata. La troupe era riuscita a ricostruire l’esterno della casa, ma non ci sarebbe stata una terza possibilità.
La ripresa unica, non è semplicemente la fissazione di un regista eccentrico, c’è l’interazione dei quattro elementi. Terra e Acqua che si sovrappongono, un mare liberatorio all’orizzonte, il Fuoco causato dall’uomo, l’Aria negli spazi tra gli oggetti, che avvolge e delimita ogni cosa. Una regia classica con primi piani, inquadrature incrociate, insert dell’incendio, avrebbe rovinato tutto. Tutta l’azione deve rientrare in un unico fotogramma; dove le carrellate, perdono il carattere morale, per assumere quello metafisico.
Il Direttore della fotografia è Sven Vilhem Nykvist, l’operatore di fiducia di Ingmar Bergman. All’inizio Sven è turbato dal modo in cui Andreij compone le scene dietro la macchina da presa; in pratica, gli sta rubando il mestiere. Poi, diventano complici e il gioco si trasforma in una gara al perfezionismo.
Durante le riprese si parlavano contemporaneamente quattro lingue, talvolta sei. Con l’italiano imparato in esilio, Andreij comunica con Sven, che ha lavorato a Cinecittà. Si aggiungono poi Russo, Svedese, Inglese tutto orchestrato alla perfezione dalla Ila Alexander che traduce persino la gestualità.
Andreij, ripassa pazientemente ogni passaggio con tutti; un solo errore nella posizione o nei movimenti, porterebbe un nuovo fallimento, stavolta irreparabile. La preparazione continua per tutto il pomeriggio, tra un centinaio di gesti stravaganti, ce n’era uno che avrebbe dovuto preoccuparci, ma non lo sapevamo ancora.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 5 parte
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E mentre i lavori procedono, la macchina da presa non riprende soltanto la scena, ma spazia nell’aria e finisce con una inquadratura a immersione che tutti i cristiani ortodossi conoscono bene. Il modo di guardare del Cristo Creatore di tutto l’Universo, che ci osserva e ci giudica dall’alto della sua Dimora. La stessa visione e immersione, si ripete nei momenti chiave di altri film. Nella scena apocalittica di “The Sacrifice”; al termine di “Solaris”. Dopo la stazione spaziale sull’oceano misterioso che emetteva onde allucinanti, modellate sui ricordi dei cosmonauti, il protagonista viene riportato sulla terra, nella casa della sua infanzia.
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E mentre i lavori procedono, la macchina da presa non riprende soltanto la scena, ma spazia nell’aria e finisce con una inquadratura a immersione che tutti i cristiani ortodossi conoscono bene. Il modo di guardare del Cristo Creatore di tutto l’Universo, che ci osserva e ci giudica dall’alto della sua Dimora. La stessa visione e immersione, si ripete nei momenti chiave di altri film. Nella scena apocalittica di “The Sacrifice”; al termine di “Solaris”. Dopo la stazione spaziale sull’oceano misterioso che emetteva onde allucinanti, modellate sui ricordi dei cosmonauti, il protagonista viene riportato sulla terra, nella casa della sua infanzia. Ma la macchina da presa ci rivela che si tratta di una nuova illusione; che l’Oceano secerne isole di ricordi sulla superficie, è stato detto spesso che questo Oceano simboleggiasse Dio, ma se lo fosse davvero chi potrebbe guardarlo dall’alto in basso? Per Andreij, l’occultismo rappresentava talvolta una scorciatoia per l’aldilà. E’ stato nel corso di una seduta spiritica, che ha stabilito la comunicazione con Boris Pasternak, il quale gli ha predetto che avrebbe girato sette film. “Soltanto?” ; “Ottimi film” rispose Boris Leonidovic. E se non contiamo le opere scolastiche Tarkovskij, ha effettivamente girato sette film. \ L’infanzia di Ivan / – \ Andreij Rublev / – \ Solaris / – \ Lo specchio / – \ Stolker / – \ Nostalghia / e \The Sacrifice /.
Fin dal primo film, “L’infanzia di Ivan” è presente lo stesso tema: - l’altra sponda – un luogo da raggiungere anche a costo di commettere trasgressioni. – Qui i canoni sono chiari; in un film di guerra, il campo da esplorare per raccogliere informazioni, è un riferimento di tutto rispetto. In “Stolker”, i canoni vengono invertiti. Sempre le classiche immagini dei campi di concentramento, ma in un ambiente fantastico. La libertà, è all’interno del filo spinato, la fuga è per entrarvi. Il quesito rimane senza risposta, tre personaggi: lo scrittore, il professore, il cacciatore, che li conduce nella stanza della zona, in cui si dice che i desideri si avverino. Il cacciatore stesso, sembra un deportato, ma è un falso indizio.
Anatoli Solonitsyn \ Lo scrittore /: - La Zona è un sistema molto complicato di trappole mortali. Non so cosa succede qui quando l’uomo è assente. Ma non appena arrivano delle persone, tutto si mette in movimento. Le vecchie trappole scompaiono e ne compaiono di nuove. Luoghi sicuri diventano impenetrabili e il cammino diventa ora facile e semplice, e ora di fa confondere con incredibile facilità. La zona è questa. Si ha addirittura l’impressione che essa sia capricciosa ma essa è in ogni momento come noi stessi la creiamo, con la nostra coscienza.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 6 parte
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Anche l’Oceano di “Solaris” era in comunicazione con la coscienza dei protagonisti. Mandava loro delle visite, una specie di clone di una donna amata e perduta. Il tutto avveniva nell’ambito della fantascienza, con una serie di cause ed effetti. Una stazione spaziale, uno strano pianeta di cui si dovevano studiare i fenomeni. La scena di levitazione veniva spiegata e annunciata, da un movimento a gravità zero. In “Lo specchio”, in “The sacrifice”, la levitazione avviene per proprio conto, senza bisogno di alibi. Con il procedere dell’opera, ci si libera definitivamente di ogni scusa o pretesto, persino il regista si libera dei propri pretesti.
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Anche l’Oceano di “Solaris” era in comunicazione con la coscienza dei protagonisti. Mandava loro delle visite, una specie di clone di una donna amata e perduta. Il tutto avveniva nell’ambito della fantascienza, con una serie di cause ed effetti. Una stazione spaziale, uno strano pianeta di cui si dovevano studiare i fenomeni. La scena di levitazione veniva spiegata e annunciata, da un movimento a gravità zero. In “Lo specchio”, in “The sacrifice”, la levitazione avviene per proprio conto, senza bisogno di alibi. Con il procedere dell’opera, ci si libera definitivamente di ogni scusa o pretesto, persino il regista si libera dei propri pretesti. Il vortice di erba all’inizio di “Lo specchio”, serviva ad evitare il cliché dell’uomo che si volta a guardare la donna che ha appena conosciuto. Doveva accadere qualcosa di insolito. In “Stolker” è la finzione della zolla che fa muovere l’erba, non c’è niente da spiegare è un movimento indipendente.
In un intervista, Andreij disse che probabilmente la “Zona”, non esisteva. Forse l’aveva inventata il cacciatore, perché gli uomini fossero meno infelici.
Se tu sapessi come sono stanco. Solo Dio lo sa. E per di più ti reputi una persona intelligente, uno scrittore, uno studioso!
Calmati! Non crede in niente. La fede si è atrofizzata per mancanza d’uso.
Calmati!.
- Lasciami Nastja.
- Cerca di riposare. Ora dormi.
- E nessuno crede, non solamente loro due. E chi devo accompagnare là? Dio mio! La cosa più terribile è che questa stanza non serve a nessuno e tutti questi sforzi sono inutili.
Voce narrante – Immaginate l’effetto di tali parole sulle autorità russe. “Stolker” fu indicato come l’esempio perfetto di livello mediocre, dei film prodotti dalla Mosfilm.
ALEXANDRE MEDVEDKINE, 1988
Sono rimasto molto addolorato per la perdita di Andrej Tarkovsky. Tutti noi siamo stati addolorati. All’interno del nostro gruppo di registi, era l’uomo che più amavo. So quanto dolore ti ha arrecato la sua morte. Devo dirti che il nostro gruppo non condivide la condanna delle sue azioni. Con il tuo stesso dolore abbiamo descritto la morte di questo uomo meraviglioso e di grande spessore. Adesso è passata l’epoca in cui poteva accadere tutto questo.
Voce narrante – Purtroppo era accaduto e il commovente omaggio di un vecchio bolscevico, non può cancellare vent’anni di tormenti di tutti i generi. “L’infanzia di Ivan”, buttato via per l’individualismo e la fantasticheria da piccola borghesia. “Solaris”, onorato da un elenco di trentacinque osservazioni, che suggerivano una serie di tagli, a partire dall’eliminazione del concetto di Dio, fino al taglio delle scene che mostrano Cristo, che cammina nudo; benché non sappiamo quale delle due infrazioni fosse la peggiore. “Andreij Rublev” e “Lo Specchio”, sabotati al debutto. Una persecuzione continua, che lo portò a preferire l’esilio, lui che era così profondamente russo.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 7 parte
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Andreij non era un dissidente, a quanti lo invitarono a partecipare ad un film sui dissidenti rispose – E perché non sul colcos?– I suoi eroi non erano ribelli, erano stranieri sulla terra, come “l’idiota” di Dostoevskij che sognava di riuscire ad adattarvisi. Idioti, pazzi e alieni popolano tutti i suoi film il cui archetipo e Iurodivj che per mancanza d’altro traduciamo come “L’innocente” in Boris Gorinov.
Per spiegare che cos’è un Iurodivj, ha inserito nel programma la storia della leggendaria pianista Maria Yudina e Stalin. Una sera, Stalin sentì il 23esimo concerto di Mozart eseguito dalla Yudina e ordinò che gliene fosse portato il disco il giorno dopo, in modo da poterlo riascoltare.
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Andreij non era un dissidente, a quanti lo invitarono a partecipare ad un film sui dissidenti rispose – E perché non sul colcos?– I suoi eroi non erano ribelli, erano stranieri sulla terra, come “l’idiota” di Dostoevskij che sognava di riuscire ad adattarvisi. Idioti, pazzi e alieni popolano tutti i suoi film il cui archetipo e Iurodivj che per mancanza d’altro traduciamo come “L’innocente” in Boris Gorinov.
Per spiegare che cos’è un Iurodivj, ha inserito nel programma la storia della leggendaria pianista Maria Yudina e Stalin. Una sera, Stalin sentì il 23esimo concerto di Mozart eseguito dalla Yudina e ordinò che gliene fosse portato il disco il giorno dopo, in modo da poterlo riascoltare. Costernazione, era stata un’esecuzione dal vivo; il disco non esisteva. Fu convocato un primo direttore d’orchestra, ma non si presentò. Un secondo si sentì male; mentre finalmente il terzo, coraggiosamente accettò. In pratica, tutti si erano fatti prendere dal panico, tranne l’intrepida Yudina, una donna amante dei gatti che tracciava il segno della croce, prima di ogni esibizione. All’alba il disco era pronto, e Stalin inviò in premio 20.000 rubli alla pianista che rispose –
“Offrirò il denaro alla mia Chiesa e pregherò per il perdono dei peccati, contro il nostro popolo”.Fu preparato un mandato d’arresto, ma Stalin non lo firmò. Yudina fu sala e divenne Yurodivaja. Vedi nota 1 –
Incredibile? E pure la scena è contenuta in Boris, dove migliaia di russi vittime delle tirannie, lo hanno decifrato per un secolo.
Ed ecco perché Andreij insisteva per riproporlo nel cartellone del Covent Garden. L’innocente proclama i crimini dello zar, le guardie corrono in avanti, ma Boris le ferma e chiede a Yurodivj di pregare per lui. A differena di Yudina, l’innocente si rifiuta di pregare per il tiranno. Ma la parte più affascinante della storia, è sicuramente il fatto che Stalin abbia chiesto di ascoltare il 23esimo concerto di Mozart.
“Assomiglio a un pirata”diceva Andreij. La malattia avanzava e questo video cominciato a Gotland con sole e serenità aveva cambiato colore. Tuttavia, l’energia Tarkovskijana, spazzò via tutto non appena fu in gioco il film. Stando a letto, ne diresse il montaggio, realizzato a Stoccolma. Sven era venuto a Parigi con l’indispensabile Leila per perfezionare le tonalità di colore.
Tarkovskij – “Non ci sono corretti rapporti matematici tra le ombre. Ma c’è uno stato d’animo, un’atmosfera veramente meravigliosa. Sarà così, sinistro. Deve essere come un sogno. Qui non deve esserci né il bianco e nemmeno alcuna gradazione. E sarà molto pauroso.”
Sven - “ Sì, le ho tolto il colore dalla faccia. Adesso la faccia è bianca.”
Tarkovskij – “Capisci? O il quadro generale oppure un dettaglio. ”
Se non ci sono lampade…
Tarkovskij – “E più ci si allontanerà dal soggetto più si affievolisce la luce. Dobbiamo trovare la gradazione giusta. Forse facendo filtrare una luce dalla finestra. Contrastandola con un’altra luce è necessario trovare la giusta gradazione. La luce è tutto. ”
Il 23 gennaio 1986 arriva arriva il tecnico del montaggio Michel Efiloskij con una versione del film quasi definitiva.
Efiloskij – “Ecco forse ci siamo.”
Tarkovskij – “Al contrario. Poi non riuscirai ad avvicinare la merce. Questi polacchi sono proprio brava gente, ma hanno…”
Efiloskij – “Non preoccuparti.”
Tarkovskij – “Ecco, va bene così.”
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tarantinofan96
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domenica 5 luglio 2015
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offret
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Una metafora sull'esistenza, sul male che contamina il mondo, sulla cecità dell'uomo, sulla religione, sull'importanza di ciascun essere umano nel corso della storia.
Un connubio di immagini sublimi che fanno da allegorie e dialoghi che rendono perfettamente il dolore, la sofferenza e i dubbi che affliggono i protagonisti, ma in generale tutta l'umanità.
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Una metafora sull'esistenza, sul male che contamina il mondo, sulla cecità dell'uomo, sulla religione, sull'importanza di ciascun essere umano nel corso della storia.
Un connubio di immagini sublimi che fanno da allegorie e dialoghi che rendono perfettamente il dolore, la sofferenza e i dubbi che affliggono i protagonisti, ma in generale tutta l'umanità.
Cinematograficamente parlando, "bastano" il piano sequenza iniziale e quello finale per definire questo film un capolavoro.
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rongiu
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 4 parte
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Alla fine della giornata, eravamo tutti di buon umore. Ma, quando la mattina dopo Andreij disse – Azione! Doveva sentirsi come il giovane campanaro di Rublevquando dice – Dvai! –
La scena era venuta bene. Ciò che colpiva il visitatore, era il fatto che Andreij riservasse la stessa intensità e concentrazione alla preparazione di una carrellata e alla ripresa di un dipinto. Un genere di cose che molti dei registi lasciano ai responsabili dell’animazione. Leonardo da Vinci, viene spesso nominato durante il film, con un significato preciso. L’uomo che vediamo qui, teso come una corda di violino per una delle riprese minori, ha dichiarato un centinaio di volte - Il mio obiettivo è quello di elevare il Cinema a livello delle altre forme artistiche.
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Alla fine della giornata, eravamo tutti di buon umore. Ma, quando la mattina dopo Andreij disse – Azione! Doveva sentirsi come il giovane campanaro di Rublevquando dice – Dvai! –
La scena era venuta bene. Ciò che colpiva il visitatore, era il fatto che Andreij riservasse la stessa intensità e concentrazione alla preparazione di una carrellata e alla ripresa di un dipinto. Un genere di cose che molti dei registi lasciano ai responsabili dell’animazione. Leonardo da Vinci, viene spesso nominato durante il film, con un significato preciso. L’uomo che vediamo qui, teso come una corda di violino per una delle riprese minori, ha dichiarato un centinaio di volte - Il mio obiettivo è quello di elevare il Cinema a livello delle altre forme artistiche.- Non c’è un solo film in cui manchi la pittura, in genere, nelle pagine di un libro che viene sfogliato. In “L’infanzia di Ivan” perfino nel vortice della guerra. Queste immagini, sono punti di riferimento, sfide. Lo stesso film “Andreij Rublev” non è che una lunga meditazione sul significato dell’arte, dove la confusione dei nomi di battesimo, tradisce l’angoscia di un Creatore mai soddisfatto.
“La bellezza è la base della fede”, scriveva padre Florenskij. La fine di Andreij Rublev si allontana
definitivamente dalla narrativa, e diventa una poesia sulle immagini; le esalta, le esamina, ne esplora le forme, nello stesso modo in cui riprendeva la terra a livello delle radici. E poiché questo film sulla Russia medievale, è in realtà l’unico vero film sulla nostra epoca, Tarkovskij ci mostra l’ origine di quelle forme che ci colpirono all’alba del ventesimo secolo. E come Malevič, era già presente in Rublev.
Spesso, è il personaggio stesso a trattare il tema dell’arte. specchio irreale, bellezza inaccessibile, con cui egli deve comunque misurarsi. Il riflesso in un dipinto, è il secondo confronto con lo specchio. Poi, lo specchio, diventa una metafora della pittura. Intitolando il suo film più personale, “Lo specchio”, Tarkovskij s’innalza senza rete per lottare con l’angelo. Ora tocca al cinema, reso più forte da quanto appreso dalla pittura e dal fedele alleato, la suprema arte della musica. Provare a raggiungere la bellezza pura, unicamente con i propri mezzi. L’inquadratura prediletta dai grandi classici del cinema, in armonia con i canoni fissati ad Hollywood, è il taglio angolato dall’alto. Inquadratura che da risalto alle figure contro il celo. Nei film di Tarkovskij, in genere è il contrario. La macchina da presa si trova leggermente sopra le persone, che sono ben piantate per terra. L’americano ingenuo, contempla il cielo. Il Russo o almeno quel Russo, sale in Celo a contemplare la Terra. Talvolta, l’angolatura si allarga e la macchina da presa domina interamente l’azione. Ma, ammirare la perfezione formale di questa inquadratura, è come scendere al piano sbagliato. E’ una visione, con un significato. E’ il momento in “Andreij Rublev” in cui il ragazzino che dice di conoscere il segreto per forgiare le campane, riesce a convincere una folla di lavoratori, a seguire il suo progetto. Alla fine, apprendiamo, che non ne aveva la minima idea; ma la sua bugia, poteva rappresentare la presenza occulta della Fede.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” 8 parte
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Inizia la proiezione. Era la prima volta che Andreij vedeva veramente il film; Sven prendeva appunti.
Tarkovskij – “Forse è meglio aggiungere un po’ di colore...”
In “The Sacrifice”, la protagonista era la casa. Ma se pensiamo agli altri film, si può credere che anche nel momento in cui Andreij stava costruendo una casa vera, magari con le sue stesse mani, per lui era una casa immaginaria; una casa unica, con le finestre che si aprono una sull’altra e danno sullo stesso corridoio. Aprendo una porta a caso, gli attori di “Lo specchio” potevano incrociare il cammino di quelli di “Nostalghia”.
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Inizia la proiezione. Era la prima volta che Andreij vedeva veramente il film; Sven prendeva appunti.
Tarkovskij – “Forse è meglio aggiungere un po’ di colore...”
In “The Sacrifice”, la protagonista era la casa. Ma se pensiamo agli altri film, si può credere che anche nel momento in cui Andreij stava costruendo una casa vera, magari con le sue stesse mani, per lui era una casa immaginaria; una casa unica, con le finestre che si aprono una sull’altra e danno sullo stesso corridoio. Aprendo una porta a caso, gli attori di “Lo specchio” potevano incrociare il cammino di quelli di “Nostalghia”. La casa costruita in Russia era irrimediabilmente persa. Quella nuova, in Italia, era lontana. E Tarkovskij ha dovuto guardare la casa del film da un’altra casa temporanea al bordo della strada, come già tante altre che aveva avuto. E forse questo è il motivo per cui l’oggetto finale di “The Sacrifice” , doveva essere una casa. La proiezione era finita, qualcuno applaudiva, Andreij gridò: - Luci. Stava pensando alla profezia di Pasternak? Andreij Tarkovskij morì alla clinicaHartmann di Neuilly-sur-Seine il 29 Dicembre del 1986. Era capodanno, come nel vecchio cinema espressionista in cui un funerale passa attraverso il carnevale, attraversammo una foresta di pini addobbati, per arrivare alla cattedrale che porta il nome di un film, “Sant'Alessandro Nevskij”.
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lunedì 27 agosto 2012
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“une journée d’andrei arsenevich” parte 1
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Il piacere della lettura.
Una giornata di Andrej Tarkovskij \ documentario / regia di Chris Marker. Titolo originale “Une journée d’Andrei Arsenevich” – Un giorno nella vita di Andrei Arsenevich.
La trascrizione che segue, è dedicata ai lettori di Mymovies non dimenticando il grande regista francese recentemente scomparso, 29 luglio 2012, Chris Marker. Tarkovskij e Marker regalano, siamo nel 1999, alla Storia del Cinema, un documentario dal valore inestimabile.
Voce narrante
Larissa cercava in cielo l’aereo da Mosca. A guardarla dalla finestra, faceva pensare alla madre nelle prime scene de “Lo specchio”. Uno chignon visto da dietro è un chiaro segno di attesa. Larissa non vedeva suo figlio da 5 anni e neppure sua madre.
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Il piacere della lettura.
Una giornata di Andrej Tarkovskij \ documentario / regia di Chris Marker. Titolo originale “Une journée d’Andrei Arsenevich” – Un giorno nella vita di Andrei Arsenevich.
La trascrizione che segue, è dedicata ai lettori di Mymovies non dimenticando il grande regista francese recentemente scomparso, 29 luglio 2012, Chris Marker. Tarkovskij e Marker regalano, siamo nel 1999, alla Storia del Cinema, un documentario dal valore inestimabile.
Voce narrante
Larissa cercava in cielo l’aereo da Mosca. A guardarla dalla finestra, faceva pensare alla madre nelle prime scene de “Lo specchio”. Uno chignon visto da dietro è un chiaro segno di attesa. Larissa non vedeva suo figlio da 5 anni e neppure sua madre. Quando Tarkovskij e sua moglie decisero di trasferirsi a ovest, le autorità russe fedeli alla propria politica, negarono il visto al resto della famiglia. Appena il tempo di lasciare l’aeroporto per fare esperienza della straordinaria capacità dei giornalisti, di fare le domande giuste. E Andreuscia, si ritrova di colpo, su di un altro pianeta. Un’immagine che ne richiamava altre, altri film, come se tutti i bambini che popolano la sua opera, si fossero dato appuntamento intorno al letto, in cui Andrej Tarkovskij stava morendo.
L’incontro col figlio. Tarkovskij è a letto.
– Ciao, come va? Vieni qui siediti. Dio mio, come sei cambiato. Some sei bello. Ankina non è affatto cambiata. Dammi un bacio. Spogliati. Dio mio! Avvicinati alla mamma. Bene, Anna. Credo che tu abbia fatto tutto. Leon, vieni qui, con un calice di champagne.
Voce narrante
– Dopo cinque anni di richieste inoltrate ad una burocrazia sorda, le autorità sovietiche erano state informate da fonti mediche, sulle gravi condizioni di salute di Tarkovskij, prima di consentire finalmente ad Andreuscia di partire. Quando i due inviati dell’ambasciata vennero a comunicarglielo, Andreij credeva che fossero dei killer del KGB. “Sono venuti a farmi fuori”, un pensiero assurdo adesso. Un’immagine concreta ed eloquente di altri periodi. Un’immagine che viene direttamente dal passato.
Dal film…. (esercitazione studentesca di Tarkovskij)
“C’è qualcosa da bere?”
“Limonata o Ginger Ale”
“Ho chiesto da bere”
“Appunto. Vi ho appena detto quello che abbiamo”
“Una cittadina allegra. E come si chiama?”
“Simmit”
Voce narrante
Per il suo primo film quando ancora era uno studente della leggendaria Scuola Cinematografica di Mosca, aveva ripreso non due killer qualsiasi, ma due amici nei panni di killer.
“Vorremo mangiare”.
“Veramente?”
“Secondo te?”
“Certamente”
“Tu credi di essere un duro, eh?”
“Desiderate?”
“Beh, ti sbagli"
Voce narrante
Un dialogo che sembra familiare, forse Andreij non aveva mai visto il film di Robert Siodmak, ma entrambi avevano adattato la stessa storia di Emighway.
“Però, che razza di intelligentone, vero Max?Questa città è proprio una grande locanda”
“Ecco quello che avete ordinato”
“ E tu non telo ricordi?”
“Frittata con prosciutto”
“Però che intelligentone!
Voce narrante
Ma questa esercitazione studentesca, riservava un’altra sorpresa. La partecipazione dell’autore stesso in una piccola parte. Nella sua prima apparizione sullo schermo, Tarkovskij fischiettava … “Lullaby of Birdland”.
continua...
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