fabrizio friuli
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giovedì 10 agosto 2023
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la vita di un regista spagnolo
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Il regista spagnolo Salvador Molla continua a non dedicarsi al suo lavoro, per via di numerose problematiche fisiche che lo affliggono, in particolare, egli non riesce ad ingerire adeguatamente i liquidi da bere perché in alcune occasioni sembra che egli si stia strangolando. Tuttavia, egli cerca come può di andare avanti, e dopo aver incontrato un attore noto come Alberto Crespo che lui non vede da molto tempo, egli scopre le sostanze stupefacenti ed incontra un tale di nome Federico, un uomo con il quale lo stesso Salvador ha avuto una relazione. In seguito ad una tac, Salvador scopre la vera causa di uno dei suoi malesseri fisici, ossia quel malessere che gli impedisce di bere ( e di mangiare ) e con gioia non è un tumore, ma una rara malattia che può essere curata grazie ad un intervento.
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Il regista spagnolo Salvador Molla continua a non dedicarsi al suo lavoro, per via di numerose problematiche fisiche che lo affliggono, in particolare, egli non riesce ad ingerire adeguatamente i liquidi da bere perché in alcune occasioni sembra che egli si stia strangolando. Tuttavia, egli cerca come può di andare avanti, e dopo aver incontrato un attore noto come Alberto Crespo che lui non vede da molto tempo, egli scopre le sostanze stupefacenti ed incontra un tale di nome Federico, un uomo con il quale lo stesso Salvador ha avuto una relazione. In seguito ad una tac, Salvador scopre la vera causa di uno dei suoi malesseri fisici, ossia quel malessere che gli impedisce di bere ( e di mangiare ) e con gioia non è un tumore, ma una rara malattia che può essere curata grazie ad un intervento.
Il film drammatico ( e in un certo senso biografico ) del noto e apprezzato regista spagnolo Pedro Almodovar ha come attore principale il celebre Antonio Banderas che ha interpretato una rappresentazione cinematografica dello stesso Almodovar e alcune scene mostrano la complessa infanzia del personaggio principale ( Salvador Molla ), grazie a queste scene si comprende che lui da bambino aveva un' intelligenza prodigiosa, tanto da aver insegnato ad un giovane muratore analfabeta a leggere e anche a scrivere, amava la lettura ed era portato per il canto e proveniva da una famiglia non abbiente, infatti lui è i suoi genitori hanno vissuto all' interno di una grotta adibita ad abitazione, e sua madre Jacinta ( impersonata dalla leggendaria Penelope Cruz ) è stata accanto a suo figlio nel corso della sua infanzia. È possibile constatare che questa pellicola somiglia ad un altro film intitolato È Stata La Mano Di Dio , del regista italiano Paolo Sorrentino : I due protagonisti sono delle " rappresentazioni " dei registi stessi e i due lungometraggi trattano le loro vite , però, nel film di Almodovar il personaggio principale è molto simile al regista ( perché Antonio Banderas ha gli stessi capelli e una barba di pochi giorni che fanno parte dell' aspetto di Pedro Almodovar ) ed anche il suo abbigliamento variopinto e originale è un tratto distintivo del personaggio principale e del regista stesso, tra l'altro, nel film di Paolo Sorrentino il personaggio principale è decisamente più giovane e non ci sono delle scene dove viene mostrata la sua infanzia, i due lungometraggi, pur avendo delle caratteristiche che li rendono simili tra di loro , ci sono delle differenze palesi, a cominciare dallo stile del regista Pedro Almodovar : anche in questo film sono presenti le abitazioni i cui interni sono colorati, per giunta, il film si conclude felicemente , perché l' intervento riesce e il regista Salvador Molla scrive un film che tratterà la sua storia : El Primo Deseo.
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loretta fusco
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giovedì 27 maggio 2021
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poeticamente crudo
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Nomadland è uno spettacolare movie on the road, dove la strada non è quella di Kerouac che sperimenta la conoscenza attraverso l’andare, ma l’andare diventa antidoto al dolore, il raggiungimento di un confine immaginario che non è mai un punto di arrivo, ma un luogo da cui ripartire. E Frances McDormand, la superba interprete di questo viaggio non solo chilometrico ma intimo, apparentemente statico ma in realtà uno sconquasso esistenziale, non poteva essere più giusta e convincente nei panni di Fern, la sessantenne che improvvisamente ha perso tutto, marito e lavoro in un luogo avaro di mezzi e prospettive.
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Nomadland è uno spettacolare movie on the road, dove la strada non è quella di Kerouac che sperimenta la conoscenza attraverso l’andare, ma l’andare diventa antidoto al dolore, il raggiungimento di un confine immaginario che non è mai un punto di arrivo, ma un luogo da cui ripartire. E Frances McDormand, la superba interprete di questo viaggio non solo chilometrico ma intimo, apparentemente statico ma in realtà uno sconquasso esistenziale, non poteva essere più giusta e convincente nei panni di Fern, la sessantenne che improvvisamente ha perso tutto, marito e lavoro in un luogo avaro di mezzi e prospettive. Empire, la città del Nevada, dopo la chiusura dell’unica fabbrica che sosteneva l’economia urbana viene cancellata e lei si ritrova, sopravvissuta, troppo vecchia per trovare un lavoro, troppo giovane per aspirare a una qualche forma di sussidio statale. Decide quindi di caricare il proprio furgone malandato e andare alla ricerca di una vita migliore. Nel suo girovagare, Fern si troverà a fare un’infinità di lavori, da quelli a tempo presso Amazon, alla pulizia delle aree di parcheggio per i camper, alla raccolta delle barbabietole, al servizio di ristorazione.
Un dramma americano che non si discosta nella sostanza da quello nostro, acuito dalla pandemia, dove l’incubo della povertà rischia di abbruttire e stroncare non solo il fisico ma qualsiasi forma di idea di cambiamento.
La strada di questa anti eroina per necessità è irta di ostacoli, di bruttezza palpabile ma anche di attimi di vera poesia che permea brevi ma indelebili sequenze di vita. Gli incontri che farà lungo la strada delineano la sua personalità, dove più delle parole contano gli slanci, gli abbracci tra lei e i veri “nomadi” che la regista Chloé Zhao,ha fortemente vouto per dare un crisma di verità a questo spaccato di umanità ferita ma mai prona. Linda May, Swankie, Bob Wells sono volti che rimangono incisi nella memoria, come gli sconfinati spazi che sono sempre un modo per guardare oltre. La comunità nomade insediata ai bordi del deserto roccioso tra il Nord Dakota e Mexico, novelli pionieri senza più l’incanto degli antenati, saranno per Fern ancora un modo per leggersi dentro, alla ricerca di quel senso che riuscirà a trovare soltanto nella libertà da ogni vincolo, nella sceltà di sé.
Il vero cinema è tornato con una tematica che rispecchia la realtà che stiamo vivendo, dove il freddo spettrale della natura del Nevada rimane negli occhi dello spettatore come la figura della McDormand, splendida protagonista di un film giustamente premiato con il Leone D’oro e con numerosi Oscar.
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ginger snaps
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giovedì 8 aprile 2021
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eterno almodovar
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Inizialmente un po' delusa perché questo film è privo del ritmo incalzante e perverso che caratterizzano i suoi film ma verso la fine si evince un autoritratto del grandioso Almodovar. Commovente Ma davvero coraggioso ho apprezzato lo sforzo di Banderas di interpretare un regista per me mito, In ogni caso anche la scelta di mettere un attore come Banderas già protagonista di altre pellicole penso che sia davvero azzeccato perché si respira nel film l'amicizia che lega l'attore e il regista e fa di questo film Un inno anche a un sentimento di amicizia .
I ritmi sono teatrali come in quasi tutti i suoi film ma a tratti davvero lenti.
Riconisco i colori ma non i dialoghi.
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Inizialmente un po' delusa perché questo film è privo del ritmo incalzante e perverso che caratterizzano i suoi film ma verso la fine si evince un autoritratto del grandioso Almodovar. Commovente Ma davvero coraggioso ho apprezzato lo sforzo di Banderas di interpretare un regista per me mito, In ogni caso anche la scelta di mettere un attore come Banderas già protagonista di altre pellicole penso che sia davvero azzeccato perché si respira nel film l'amicizia che lega l'attore e il regista e fa di questo film Un inno anche a un sentimento di amicizia .
I ritmi sono teatrali come in quasi tutti i suoi film ma a tratti davvero lenti.
Riconisco i colori ma non i dialoghi. Malinconico e reale si spengono le luci ed è trionfo. Voto assolutamente 10++++++++
Il film oltre a essere un autoritratto è anche un inno ad altri suoi film, Infatti qua e la ci sono degli scorci che vogliono ricordare. Spero proprio non sia un addio. Grazie Almodovar
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enzo70
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domenica 20 settembre 2020
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almodovar alla ricerca del regista perduto
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Quanto è difficile vivere, anche se sei un regista di successo, ricercato, vincente. E così Salvador Mallo, interpretato da Antonio Banderas, in piena crisi creativa prova a trovare nei ricordi dell’infanzia le ragioni del suo malessere. Una giovinezza da povero, cresciuto in una grotta in un paesino della Spagna rurale, sotto le gonne della madre, sempre bellissima Penelope Cruz. Almodovar si mette a nudo, in un film un po' manierista, in cui la sovrapposizione temporale dei fatti spesso disorienta lo spettatore. Un film dai ritmi teatrali in cui gli indugi del regista su sé stesso rientrano nella gestione dei tempi del palcoscenico. La dipendenza dall’eroina, le difficoltà a vivere le relazioni rientrano in un’attività di autoanalisi che, a prescindere da tutto, va apprezzata.
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Quanto è difficile vivere, anche se sei un regista di successo, ricercato, vincente. E così Salvador Mallo, interpretato da Antonio Banderas, in piena crisi creativa prova a trovare nei ricordi dell’infanzia le ragioni del suo malessere. Una giovinezza da povero, cresciuto in una grotta in un paesino della Spagna rurale, sotto le gonne della madre, sempre bellissima Penelope Cruz. Almodovar si mette a nudo, in un film un po' manierista, in cui la sovrapposizione temporale dei fatti spesso disorienta lo spettatore. Un film dai ritmi teatrali in cui gli indugi del regista su sé stesso rientrano nella gestione dei tempi del palcoscenico. La dipendenza dall’eroina, le difficoltà a vivere le relazioni rientrano in un’attività di autoanalisi che, a prescindere da tutto, va apprezzata. Ma è un film per appassionati del regista spagnolo.
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daniele fanin
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martedì 21 aprile 2020
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il presente del dolore, il ricordo della gloria
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Dopo un silenzio cinematografico di circa tre anni, alle soglie del settantesimo compleanno, Pedro Almodovar esce con Dolor y Gloria, ventunesimo lungometraggio del pluridecorato regista spagnolo. Nessuno, neppure i più acerrimi denigratori di Almodovar, potrebbe negare l’enorme successo che i suoi film hanno avuto, sia a livello commerciale che di critica: Palme, Goya, Oscar, BAFTA, David, Leoni, Cesar, nessun trofeo cinematografico manca nella bacheca del regista nato nel piccolo paese di Calzada de Calatrava, a cui si ispira il villaggio di Paterna nel film, che non ha fatto eccezione, ottenendo tre Goya come miglior film, regia e sceneggiatura originale.
Il successo domestico del film non si però ripetuto all’estero e, verrebbe da dire, per validi motivi.
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Dopo un silenzio cinematografico di circa tre anni, alle soglie del settantesimo compleanno, Pedro Almodovar esce con Dolor y Gloria, ventunesimo lungometraggio del pluridecorato regista spagnolo. Nessuno, neppure i più acerrimi denigratori di Almodovar, potrebbe negare l’enorme successo che i suoi film hanno avuto, sia a livello commerciale che di critica: Palme, Goya, Oscar, BAFTA, David, Leoni, Cesar, nessun trofeo cinematografico manca nella bacheca del regista nato nel piccolo paese di Calzada de Calatrava, a cui si ispira il villaggio di Paterna nel film, che non ha fatto eccezione, ottenendo tre Goya come miglior film, regia e sceneggiatura originale.
Il successo domestico del film non si però ripetuto all’estero e, verrebbe da dire, per validi motivi. Il film infatti, sebbene presenti alcuni aspetti interessanti, quali l’ottimo utilizzo del flash-back, la composta e delicata interpretazione di Antonio Banderas ed il positivo, sebbene non inaspettato, finale di cinema nel cinema, non riesce ad elevarsi oltre il livello di un buon esercizio stilistico di introspezione nostalgica, che francamente delude in un regista che aveva abituato il pubblico e la critica ad un approccio alla narrazione cinematografica sicuramente innovativo e talvolta perfino iconoclasta, sebbene alternando film di assoluto rilievo come Matador, La Legge del Desiderio, Donne sull’Orlo di una Crisi di Nervi, Parla con Lei ad altri di più modesto, o normale, livello.
E Dolor y Gloria e’ purtroppo da ascrivere a quest’ultimo gruppo. L’onestà con cui Almodovar si identifica nel reclusivo e quasi anagrammatico regista Salvador Mello e’ evidente ma rimane distaccata, non riesce a coinvolgere lo spettatore, a bucare lo schermo come si diceva una volta. Si lascia guardare, annotare, supportata da una raffinata colonna sonora e dagli attesi arredamenti d'interni “made in Almodovar” ma appare entropica, troppo autoreferenziata ed ancorata a luoghi comuni falsamente alternativi (l’eroina, l’auto-reclusione, gli psicofarmaci, il blocco narrativo) per entrare nel cuore e nella mente di cui guarda il film, che si rivela in ultima istanza un esercizio stilistico e narrativo quasi “dovuto”: della serie regista-di-successo-riflette-su-se-stesso! Almodovar e’ bravo, senz’altro, e la miscela di ricordi dell’infanzia di Salvador Mello e’ ben amalgamata con il suo presente di distaccata ed ipocondriaca deriva, ma il percorso verso la luce, o le luci del set ritrovato, non convince appieno. Novello Ulisse che naviga i procellosi mari della mente e gli insidiosi scogli dei ricordi, Salvador Mallo necessita di trentadue anni per ritornare all’isola della creazione, mentre Ulisse impiegò solo dieci anni per coprire i circa 1000 chilometri che separavano Troia da Itaca!
Il titolo e’ accattivante, presagio di un doloroso percorso che porta alla gloria, ma quello che rimane alla fine del film nello spettatore e’ solo il piccolo dolore di vedere un regista molto apprezzato allontanarsi dalle glorie della vera creazione cinematografica in favore di un onesto ma blando impasto di piccole, stantie, madelaine che lasciano il sapore più di un tempo perduto che ritrovato.
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psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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"d" come dolore e gloria dalla a alla z!
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Dolor y gloria”, ventiduesimo film di Pedro Almodóvar presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 è forse l’opera più autobiografica del regista madrileno. Come lui stesso ha dichiarato: “Tutti i miei film mi rappresentano. È vero che questo mi rappresenta di più…”
Il regista (anche sceneggiatore e produttore cinematografico) che era diventato famoso in tutto il mondo raccontando le donne, per la prima volta ci parla di sé, lasciandosi andare sul piano emotivo, raccontando la sua vita, ma anche e soprattutto il proprio malessere.
Dolor y Gloriaè uno dei suoi rari film con al centro un uomo, e per essere precisi sé stesso.
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Dolor y gloria”, ventiduesimo film di Pedro Almodóvar presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 è forse l’opera più autobiografica del regista madrileno. Come lui stesso ha dichiarato: “Tutti i miei film mi rappresentano. È vero che questo mi rappresenta di più…”
Il regista (anche sceneggiatore e produttore cinematografico) che era diventato famoso in tutto il mondo raccontando le donne, per la prima volta ci parla di sé, lasciandosi andare sul piano emotivo, raccontando la sua vita, ma anche e soprattutto il proprio malessere.
Dolor y Gloriaè uno dei suoi rari film con al centro un uomo, e per essere precisi sé stesso.
E’ l’opera con cui l’autore, con sincerità e spudoratezza mette in scena autobiograficamente la sua vita, con l'aiuto del giusto alter ego.
Il giusto alter ego è Antonio Banderas, (premiato a Cannes per la Migliore interpretazione maschile) che interpreta Salvador Mallo un regista cinematografico che ha avuto molto successo nella sua vita, ma che da lungo tempo non scrive e non progetta più.
Dolor y Gloriaracconta più di cinquant’anni della vita del regista Salvador Mallo: da quando, giovanissimo, cantava solista nel coro della scuola, alla scoperta delle sue prime pulsioni sessuali, a quando era un brillante giovane che nella scrittura e nella produzione artistica trovava la sua salvezza, fino ad arrivare all’uomo adulto (ma pur sempre figlio), pieno di malanni (fisici e psicologici) e terapie fin troppo analgesiche (anche a base di eroina).
Salvador Malloha il volto di Banderas ma è in tutto e per tutto Almodóvar: i due si assomigliano come due gocce d’acqua: stessa malinconia nello sguardo, camicie coloratissime, capelli dritti in testa, i mille dolori fisici e mentali acuiti dall'età. Ma non solo: la casa in cui vive Salvador riproduce la vera casa del regista cha ha fatto costruire per il film un set identico al proprio appartamento, a Madrid di fronte al Parque del Oeste, in qualche caso completando la scenografia con alcuni oggetti provenienti da casa sua. I quadri, appartengono quasi tutti alla sua collezione.
A ricreare la casa di Almodovar-Mallo è Antxon Gómez production designer già autore delle scenografie di Tutto su mia madre, La mala educación, Parla con lei e Carne Tremula.
In ogni ambiente, in ogni tempo e in ogni spazio il colore è tutto, come da sempre lo è in tutta la sua filmografia.
L’esigenza di rappresentare così vivacemente i colori (che nel regista fu preponderante nel dopo-dittatura, della Spagna) torna spesso in questo film; torna il Rosso, colore di passioni sanguigne, che rimanda alla terra di Spagna, mediterranea, vivace, con la sua musica ed i suoi profumi.
I luoghi di Dolor y Gloria sono diversi: mentre il presente (di Mallo) si sviluppa quasi tutto in ambienti interni, (la bella dimora, gli studi medici, l’abitacolo dell’auto), il passato è solare, all’aperto, non oppressivo persino nella casa-grotta di Paterna, illuminata da un lucernario, dal quale è comunque possibile osservare il cielo e sognare un futuro.
La Locandina del film – intrigante ed innovativa - presenta il cast praticamente al completo, come in un collage di fotografie: un collage che va a rappresentare un unico filo conduttore che è poi la vita intera del regista. La memoria è dunque il tema fondamentale: la memoria della madre, la memoria dell'amico perduto, la memoria di se stessi da bambini, la memoria della propria carriera, anche quando si invecchia e il meglio sembra perduto. Presente e passato che si tendono la mano.
Al centro di questo collage, c’è il titolo del film: “dolor Y gloria”, scritto in blu ed in minuscolo. La gloria in effetti è tacitata nel film, è una gloria che allude ad un periodo d’oro ma che in effetti non ce lo mostra mai. E’ un vano ricordo. Il regista non ha alcuna intenzione di parlarne.
Lo si capisce bene dalla scena in cui il regista e il protagonista di un vecchio film restaurato, “Sabor”, non si presentano alla proiezione, dando vita tra l’altro ad una esilarante conferenza stampa telefonica…
Alberto Crespoe Salvador Mallo non vanno a prendersi la gloria.
L’attenzione del regista si sofferma in tutto il film più sul dolor che sulla gloria. C'è un passaggio bellissimo in Dolor Y Gloria in cui Banderas/Mallo elenca tutti i dolori che lo affliggono. E’ il dolore fisico incessante che perseguita Almodovar ormai da anni. Il regista è preda di acciacchi d'età ma anche di una moltitudine di patologie croniche, che vengono esposte senza vergogna nel suo film più personale e intimo.
Il colore della scritta rimanda al colore del mare. E non a caso l’incipit del film (così come il trailer) si apre con una scena ‘sommersa’: si vede Antonio Banderas (nei panni di Salvador), sott’acqua che sta meditando o ricordando, oppure sta solo restituendo un po’ di pace al suo corpo dolorante: sott’acqua, non sente il peso dei suoi affanni, non sente dolore, non sente niente.
Ma ricorda. E’ come se l’assoluto silenzio del sott’acqua e l’assenza di gravità aiutasse i ricordi a venire a galla. Torna il filo conduttore della memoria, la memoria sott’acqua, nel mare dei ricordi, e torna il valore simbolico dell’acqua, come ritorno alle origini.
John Fitzgerald Kennedydisse a tal proposito: “Siamo legati all'oceano. E quando torniamo al mare, sia per navigarci che per guardarlo, torniamo da dove siamo venuti.”
Nella Locandina, come dicevamo, si osservano tutti i volti della memoria del regista Almodovar-Mallo: e qui possiamo cogliere un interessante parallelismo della Locandina con il progetto che sta a monte del film: per Dolor y Gloria il regista spagnolo ha radunato attorno a sé tutti i suoi collaboratori più cari: non parlo soltanto dei suoi attori feticcio (l’amico Banderas e la sua Musa Penelope Cruz).
Pedro ha voluto omaggiare Mina (da sempre una sua passione): è sua la voce che apre il trailer, con l’interpretazione di “Come sinfonia” firmata da Pino Donaggio nel 1961.
Sempre restando nella musica, il compositore spagnolo Alberto Iglesias ha composto tutte le musiche di questo film e di molti altri precedenti.
Per non parlare di Juan Gatti, da sempre grafico di fiducia di Pedro e autore di alcune delle più belle locandine dei film del regista madrileno. Gatti firma grafica e animazione del film, disegnando i titoli di testa di questo film semplici e magnetici, anche in questo caso basati su colori accesi e cangianti.
La scelta del regista di portare a sé le persone più care per raccontare la sua vita è quanto di più comprensibile e umano ci sia: quando ci si mette a nudo così profondamente, tenti di farlo in territorio amico, tra persone che hanno dimostrato in passato di conoscerti e accettarti per quello che sei. Perché non è facile parlare di sé dinanzi a milioni di persone raccontando il proprio periodo di dipendenza dall'eroina così come lo stretto legame con una figura materna (la cui perdita ancora si fa sentire in profondità), senza sentirsi circondati da figure di riferimento.
E’ la prima volta che accade che tutti i protagonisti del film siano presenti nella Locandina del film stesso. E’ giusto dunque rendere conto di ogni bellissimo volto: Antonio Banderas, attore prediletto dal regista fin dagli Ottanta è all’ottava collaborazione col regista (Labirintodi passioni, Matador (1986), La legge del desiderio (1987), Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988), Legami! (1990), La Pelle che abito (2011), e di nuovo nel 2013 con Gli Amanti passeggeri).
Penélope Cruz, alla quale il regista fa il dono di farle indossare i panni della madre Jacinta (da giovane). La vediamo sorridente in riva a un ruscello intenta a lavare i panni senza mai smettere di sorridere e di cantare.
Julieta Serranointerpreta Jacinta da anziana, santa cattolica e apostolica come la Spagna, la madre che si preoccupa di dare indicazioni a Salvador su come vuole lasciare la vita terrena (nel suo paese di origine), regala il suo rosario al figlio non prima di avergli ricordato di non essere stato un buon figlio.
Asier Etxeandía interpretaAlberto Crespo protagonista sia del “film-nel-film” Sabor, del 1987 (causa del litigio con Salvador) sia di un monologo teatrale autobiografico “Adicción” (dipendenza) molto bello che invece segnerà la riconciliazione tra i due. In quel monologo, che per Alberto Crespo diventa arma di riscatto professionale, è contenuta anche la doppia dipendenza, dalla scrittura e dalla droga, dei due giovani amanti che ne sono protagonisti, Salvador e Federico, quest’ultimo interpretato da Leonardo Sbaraglia.
Nora Navasanche se brevemente, interpreta il ruolo indovinato e calzante dell’assistente/accudente Mercedes.
César Vicenteè l’ultima straordinaria scoperta di Pedro Almodovar, che ha scovato questo giovane sconosciuto e l’ha voluto nel suo cast. Césarinterpreta Eduardo un giovane imbianchino con la passione per la pittura che ha l’unica colpa di essere di una bellezza disarmante. Almodóvar, in questo, credo sia l’unico a riuscire a scovare la forte caratterizzazione di certi volti, che sono bellissimi anche quando lievemente imperfetti (l’esempio più eclatante è l’attrice Rossy de Palma ed il suo caratteristico e naso sgraziato).
Nel caso di César, non bastano i denti imperfetti, a rendere meno eccezionale un volto, se hai due occhi ipnotici.
Eduardoè bello, evidentemente troppo bello agli occhi di Salvador bambino, che lo guarda fare una doccia e sviene! Ed è così che il regista decide di raccontare il sorgere dei primi desideri nell’orizzonte dell’omosessualità.
Personalmente credo che Dolor y Gloria sia il miglior film di Pedro Almodóvar. Per vari motivi: l’alto senso dell’estetica che pervade l’intero film, per quanto è intimo e profondo, per i colori, per la fotografia (di José Luis Alcaine) e la scelta degli attori.
Per il suggerimento che il cinema e la scrittura siano l’unica terapia per dimenticare l’indimenticabile.
“Si scrive per dimenticare il contenuto di ciò che si è scritto” dice Salvador Mallo in un momento del film. E in fondo Salvador è un artista che ha dato senso alla sua vita attraverso la scrittura e il cinema.
Il bisogno di scrivere, di narrare, è il bisogno di fermare le cose. Per archiviarle sostanzialmente.
Per chi come me ha amato ‘il primo’ Almodóvar degli eccessi e della provocazione, questo film - figlio di una maturità artistica conclamata - segna il ritorno alle origini con lo sguardo della maturità.
Non toglie nulla al personaggio ma aggiunge alla persona. Completa l’immagine del regista/uomo.
E’ un invito a considerare che si può mutare pelle più volte, restando sempre fedeli a se stessi.
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felicity
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venerdì 13 marzo 2020
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la catarsi di almodovar con un immenso banderas
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La storia di un uomo che, per colpa del dolore, è arrivato a muoversi il meno possibile, per non sentire dolore ha rinunciato a vivere.
Una storia di fantasia che affronta problemi reali: i dolori sono quelli veri del regista e la vera causa della fatica a fare bene il proprio lavoro negli ultimi anni, la depressione che hanno portato anche.
Gli intrecci del film invece sono inventati e sono quelli del suo cinema, romanzeschi e clamorosi, sempre esplicitamente finti, da film, ma terribilmente sentimentali.
Dolor y Gloria è privo delle scene madri tipiche di Almodovar, ha una quieta forza sentimentale, perfetta per raccontare le passioni di un uomo ormai anziano.
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La storia di un uomo che, per colpa del dolore, è arrivato a muoversi il meno possibile, per non sentire dolore ha rinunciato a vivere.
Una storia di fantasia che affronta problemi reali: i dolori sono quelli veri del regista e la vera causa della fatica a fare bene il proprio lavoro negli ultimi anni, la depressione che hanno portato anche.
Gli intrecci del film invece sono inventati e sono quelli del suo cinema, romanzeschi e clamorosi, sempre esplicitamente finti, da film, ma terribilmente sentimentali.
Dolor y Gloria è privo delle scene madri tipiche di Almodovar, ha una quieta forza sentimentale, perfetta per raccontare le passioni di un uomo ormai anziano. E tutto quello che così perde in apice lo guadagna in profondità.
Dolor y gloria è una seduta psicoanalitica e un diario di memorie e Pedro Almodóvar tramuta le più intime delle esperienze in fertile terreno riguardante noi tutti.
È un campo esperienziale che il regista presenta con esemplare chiarezza: nonostante sia quella del protagonista una ricognizione di anni e anni di vita vissuta, pochi sono i personaggi che ci vengono mostrati, pochi gli ambienti e pochi anche trucchi ed effetti scenici rispetto ad altri suoi film del passato.
Un film capace di avvolgerci, abbracciarci, invaderci, commuoverci e curarci con discrezione.
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efrem
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giovedì 12 marzo 2020
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l'8½ di almodovar.
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La vita, i pensieri, gli amori, i drammi, la salute di Almodóvar. Un film toccante, commovente, vitale ed estremamente autobiografico. È un po forse il suo 8½. Antonio Banderas è bravissimo.
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fabio
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venerdì 27 dicembre 2019
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modesto
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Un po' di stanchezza si avverte: non è l'Almodovar dei tempi migliori.
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brata
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lunedì 9 dicembre 2019
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dolor y gloria
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Aspettavo con trepidazione l'ultimo lavoro di Pedro ma, conme spesso accade, la troppa attesa si rivela una delusione.
In questo caso la delusione non è totale, in quanto il lavoro è buono anche se lontano ani luce dai lavori perfetti che il regista ci aveva abituati.
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