juri moretti
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domenica 1 dicembre 2019
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cetto c’è ma questa volta è il re
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Giulio Manfredonia porta al cinema un’altro film su Cetto la Qualunque. Un personaggio grottesco che fa semplicemente quello che vuole lui e non rispetta mai la legge, però ha sempre fatto il politico, infatti nel primo film ”Qualunquemente” lo abbiamo visto fare il sindaco, nel secondo film invece lo abbiamo visto entrare in parlamento come deputato e qui lo vedremo in veste di re. Il personaggio come ben sapete è interpretato da Antonio Albanese che riesce a dare uno stile al personaggio, rendendolo comico ma anche drammatico in certe situazioni e certe volte ci fa addirittura riflettere.
Cetto questa volta scopre di essere figlio di un principio e se in Italia oramai la repubblica sta andando a rotoli questa è l’occas buona per ritornare alla monarchia.
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Giulio Manfredonia porta al cinema un’altro film su Cetto la Qualunque. Un personaggio grottesco che fa semplicemente quello che vuole lui e non rispetta mai la legge, però ha sempre fatto il politico, infatti nel primo film ”Qualunquemente” lo abbiamo visto fare il sindaco, nel secondo film invece lo abbiamo visto entrare in parlamento come deputato e qui lo vedremo in veste di re. Il personaggio come ben sapete è interpretato da Antonio Albanese che riesce a dare uno stile al personaggio, rendendolo comico ma anche drammatico in certe situazioni e certe volte ci fa addirittura riflettere.
Cetto questa volta scopre di essere figlio di un principio e se in Italia oramai la repubblica sta andando a rotoli questa è l’occas buona per ritornare alla monarchia. Un film quasi trash ma comico che mantiene bene il filo dei precedenti capitoli, con un Antonio Albanese che da sempre un tocco d’arte al suo personaggio.
Se avete amato i precedenti capitoli non potete non amare anche questo terzo capitolo. Ma una domanda sorge spontanea ci sarà un’alro film su Cetto?
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enzo70
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mercoledì 25 marzo 2020
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il peggior albanese di sempre
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Albanese ha il dovere di fermarsi con il suo Cetto La Qualunque. Straordinario nelle gag televisive, modesto nel primo film, molto modesto nel secondo, diventa impresentabile nel terzo. La parodia della politica di Albanese è vecchia, la politica stessa è andata oltre ogni parodia, funziona ancora Crozza perché li imita, anche se sempre più fanno ridere gli originali. Ma non è questo il punto. Lo schema cinematografico di Albanese è vecchio e non c’è nessuna ragione non solo per andare al cinema; ma neanche per vederlo a casa, come ho fatto io. La stima per Albanese è stata la ragione; non mi aspettavo un gran film, ma almeno di passare un paio di ore serene per distrarsi dalla catastrofe del CoVid19.
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Albanese ha il dovere di fermarsi con il suo Cetto La Qualunque. Straordinario nelle gag televisive, modesto nel primo film, molto modesto nel secondo, diventa impresentabile nel terzo. La parodia della politica di Albanese è vecchia, la politica stessa è andata oltre ogni parodia, funziona ancora Crozza perché li imita, anche se sempre più fanno ridere gli originali. Ma non è questo il punto. Lo schema cinematografico di Albanese è vecchio e non c’è nessuna ragione non solo per andare al cinema; ma neanche per vederlo a casa, come ho fatto io. La stima per Albanese è stata la ragione; non mi aspettavo un gran film, ma almeno di passare un paio di ore serene per distrarsi dalla catastrofe del CoVid19. Una ripetizione continua, ossessiva, di vecchie gag che non fanno più ridere. Fermate Albanese. E’ un grande artista, non si deve perdere in un bicchiere d’acqua.
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felicity
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mercoledì 3 febbraio 2021
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poco efficace perché superato dalla realtà
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Invece di farsi specchio riflettente di un sentimento, di criticarne con la spocchia del personaggio le ingiustizie e i paradossi, Cetto c’è, senzadubbiamente incanala tanta confusione al punto da renderla parte integrante della propria struttura narrativa.
La commedia di Giulio Manfredonia, ma ancor più il Cetto stesso di Antonio Albanese, sembrano accusare un assente entusiasmo per il terzo capitolo della “trilogia d’u pilu”, che partendo come la favola di un giovane nato da una relazione incresciosa e scopertosi poi principe, finisce per non essere più né analisi della situazione pubblica nostrana, né rimprovero verso una condizione di sconsideratezza che era contraltare per l’auto-valutazione di noi stessi come persone, ma, soprattutto, come cittadini.
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Invece di farsi specchio riflettente di un sentimento, di criticarne con la spocchia del personaggio le ingiustizie e i paradossi, Cetto c’è, senzadubbiamente incanala tanta confusione al punto da renderla parte integrante della propria struttura narrativa.
La commedia di Giulio Manfredonia, ma ancor più il Cetto stesso di Antonio Albanese, sembrano accusare un assente entusiasmo per il terzo capitolo della “trilogia d’u pilu”, che partendo come la favola di un giovane nato da una relazione incresciosa e scopertosi poi principe, finisce per non essere più né analisi della situazione pubblica nostrana, né rimprovero verso una condizione di sconsideratezza che era contraltare per l’auto-valutazione di noi stessi come persone, ma, soprattutto, come cittadini.
Per quanto il parodistico modo di fare del leader Cetto possa incontrare, ogni qualvolta, il favore o l’astiosità del pubblico, in questa occasione il suo ripetere se stesso non tocca mai picchi di assurdità o turpitudine tale da far pendere l’asticella da una delle due parti, lasciando piuttosto spazio alla piattezza di un personaggio che, mai nella sua intera esistenza, lo era stato, indebolendo ulteriormente la pellicola e rendendo il futuro re statico come la trama in cui deve andare ad integrarsi.
Se il tema della sovranità e della corona sul territorio italiano potevano rivelarsi fonte zampillante di idee con cui esaminare le contraddizioni della contemporaneità, il film sfrutta l’escamotage fiabesco per cadere nelle solite consuetudini di un racconto a corte, non riuscendo ad esplorare ciò che, veramente, avrebbe potuto portare alla nazione, limitandosi alla rozzezza spicciola del protagonista e al suo essere inadeguato in qualsiasi contesto. Perdendo, inoltre, quella palette cromatica sempre evidente nella messinscena dei precedenti film di Cetto La Qualunque, conformandosi così a qualsiasi altra commedia.
Nell’universo di Cetto c’è, senzadubbiamente non è solo la democrazia a non aver funzionato, ma anche la storia, le intuizioni, i personaggi di contorno, il presupposto che fa credere di poter procedere alla realizzazione di un film avendo solo come punto di partenza un trono da dover occupare. Il fallimento della Repubblica che è anche fallimento della pellicola, per un monarca da cui si sarebbe aspettato ben altro. Assolutissimamente.
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