laurence316
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giovedì 7 dicembre 2017
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la perfetta conclusione di un'ottima trilogia...
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... assolutamente inedita e inusuale per il panorama cinematografico italiano
Degna conclusione di una trilogia avvincente, appassionante, inaspettata e inedita nel panorama cinematografico italiano, Smetto quando voglio – Ad Honorem, superando i limiti del secondo capitolo, ritorna pienamente ai livelli del primo film.
Certo, la sorpresa e l’originalità di quell’opera del 2014 si sono un po’ perse per strada, ma il regista e i suoi collaboratori sono riusciti ancora una volta brillantemente a reinventarsi e, dopo la satira corrosiva e tagliente del primo film, l’action “all’americana” e la comicità del secondo, in questo terzo atto hanno pensato bene di unire queste due componenti, integrandovi prestiti dal genere thriller e carcerario, producendo un film dinamico, inarrestabile e trascinante, che non manca anche di gettare uno sguardo lucidamente critico sul desolante stato economico e sociale del paese.
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... assolutamente inedita e inusuale per il panorama cinematografico italiano
Degna conclusione di una trilogia avvincente, appassionante, inaspettata e inedita nel panorama cinematografico italiano, Smetto quando voglio – Ad Honorem, superando i limiti del secondo capitolo, ritorna pienamente ai livelli del primo film.
Certo, la sorpresa e l’originalità di quell’opera del 2014 si sono un po’ perse per strada, ma il regista e i suoi collaboratori sono riusciti ancora una volta brillantemente a reinventarsi e, dopo la satira corrosiva e tagliente del primo film, l’action “all’americana” e la comicità del secondo, in questo terzo atto hanno pensato bene di unire queste due componenti, integrandovi prestiti dal genere thriller e carcerario, producendo un film dinamico, inarrestabile e trascinante, che non manca anche di gettare uno sguardo lucidamente critico sul desolante stato economico e sociale del paese.
Il giovane regista è ormai praticamente un autore fatto e finito. Ha dimostrato di essere in grado di dirigere scene d’azione come non se ne sono mai viste in Italia (solo la scena iniziale è un evidente dichiarazione d’intenti, volontà di confrontarsi con il cinema d’azione straniero), di essere in grado, insieme ai suoi sceneggiatori, di costruire una piccola, grande trama orizzontale che collega strettamente e perfettamente i tre episodi, di saper dare vita a dialoghi e situazioni esilaranti e a personaggi memorabili, non mancando di inserire nel tutto un mucchio di succose e mai invadenti citazioni (dai serial americani e dal cinema di Tarantino in particolare) e una ricca e gustosa serie di brani nella colonna sonora.
Ad Honorem è la perfetta chiusura del cerchio, e grazie ad una manciata di scene di grande impatto, oltreché divertentissime (non solo quella iniziale, ma anche quella all’interno del carcere durante l’Opera, quella della processione di frati e quella clou conclusiva), si mantiene sempre su un ottimo livello, non cedendo mai, nemmeno sul finale, che è semplicemente geniale, e coronando definitivamente un’impresa mai vista, riuscita e da sostenere.
Eccellenti, come sempre, le interpretazioni (Lo Cascio poteva forse dare di più, ma Marcorè e il sempre esilarante Fresi [che rivela “sorprendenti doti da tenore”] sono impareggiabili e valgono da soli la visione) e bella la fotografia, meno iper-satura che in passato.
Girato in contemporanea con il precedente Masterclass, Ad Honorem, nonostante non sia un completo insuccesso, difficilmente recupererà il budget di 12 milioni condiviso con il secondo capitolo. Un vero peccato, si meritava di più, che un numero molto maggiore di spettatori lo vedesse, invece che andare al cinema solo per sovraffollare le sale ad ogni nuova uscita di una commedietta qualsiasi di uno Zalone qualsiasi.
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stella_85
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venerdì 8 dicembre 2017
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un diverso modo di fare cinema è possibile
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Il primo film era stato a dir poco dirompente. Geniale, dal punto di vista della scrittura, della messa in opera e per il significato che ha assunto nella storia del cinema italiano degli ultimi anni. Il secondo capitolo risultava un po' lento e didascalico nella prima parte ma si riprendeva alla grande sul finale, con la scena dell'assalto al treno che è già un cult.
Questo terzo capitolo, diverso dai due precedenti, unisce la comicità dei primi capitoli ad una narrazione più empatica. Si ride (forse un po' meno) ma ci si emoziona, ci si commuove e ci si arrabbia. Torna infatti molto più presente la critica sociale che, anche se nascosta da gag e situazioni surreali, rimane un filo rosso importante che unisce i tre capitoli e che fa sì che il lieto fine lasci comunque un po' di realistico amaro in bocca.
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Il primo film era stato a dir poco dirompente. Geniale, dal punto di vista della scrittura, della messa in opera e per il significato che ha assunto nella storia del cinema italiano degli ultimi anni. Il secondo capitolo risultava un po' lento e didascalico nella prima parte ma si riprendeva alla grande sul finale, con la scena dell'assalto al treno che è già un cult.
Questo terzo capitolo, diverso dai due precedenti, unisce la comicità dei primi capitoli ad una narrazione più empatica. Si ride (forse un po' meno) ma ci si emoziona, ci si commuove e ci si arrabbia. Torna infatti molto più presente la critica sociale che, anche se nascosta da gag e situazioni surreali, rimane un filo rosso importante che unisce i tre capitoli e che fa sì che il lieto fine lasci comunque un po' di realistico amaro in bocca.
E poi ci sono loro: la Banda. Perché per quanto qualcuno di loro a volte rimanga, per forza di cose un po' in disparte, non si può non amarli, tutti insieme e ognuno a sé.
Ho letto che non so quale critico ha definito questa saga un Unicum nel panorama cinematografico italiano ebbene, facciamo in modo che non lo rimanga per sempre. Sosteniamo le idee e un modo di fare cinema che non siano i cinepanettoni o peggio ancora, il collage di cinepanettoni. Un cinema italiano diverso è possibile, anche in Italia. E questa saga, anche con le sue imperfezioni, ne è la prova.
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flyanto
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lunedì 4 dicembre 2017
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la banda alla sua terza avventura
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"Smetto Quando Voglio - Ad Honorem", costituisce il terzo ed ultimo capitolo dei precedenti "Smetto Quando Voglio" e "Smetto Quando Voglio - Masterclass" del regista Sydney Sibilia. I protagonisti sono ovviamente gli stessi e, cioè, la banda composta dalle menti eccellenti dei laureati disoccupati che nei due episodi antecedenti si sono ingegnati ad ideare un nuovo tipo di droga da spacciare e poi a trovare quelle illegali per conto della Polizia. In questa loro terza avventura essi, rinchiusi in carcere, escogitano un piano ingegnoso al fine di evadere dalla prigione di Stato per fermare un pazzo che intende compiere una strage di morti, spargendo un letale gas nervino, presso l'Università "la Sapienza" di Roma.
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"Smetto Quando Voglio - Ad Honorem", costituisce il terzo ed ultimo capitolo dei precedenti "Smetto Quando Voglio" e "Smetto Quando Voglio - Masterclass" del regista Sydney Sibilia. I protagonisti sono ovviamente gli stessi e, cioè, la banda composta dalle menti eccellenti dei laureati disoccupati che nei due episodi antecedenti si sono ingegnati ad ideare un nuovo tipo di droga da spacciare e poi a trovare quelle illegali per conto della Polizia. In questa loro terza avventura essi, rinchiusi in carcere, escogitano un piano ingegnoso al fine di evadere dalla prigione di Stato per fermare un pazzo che intende compiere una strage di morti, spargendo un letale gas nervino, presso l'Università "la Sapienza" di Roma. Dopo innumerevoli avventure e problematiche di ogni sorta, il gruppo riuscirà perfettamente nel suo intento.
Sydney Sibilia ancora per la terza volta fa pienamente centro con la sua pellicola che risulta affatto inferiore alle altre, bensì perfettamente conseguente ed in linea con lo spirito e l'avventura delle due precedenti. Il suo è un esempio di buon cinema, ironico, mai volgare, divertente ed accattivante per ciò che concerne la trama. Un successo raggiunto anche grazie alla presenza di bravi e simpatici attori comici italiani,quali Edoardo Leo, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, ecc., che Sibilia ha accuratamente e sapientemente scelto, facendoli interagire nella più perfetta sintonia. Pertanto, il film risulta quanto mai spontaneo, scorrevole in tutta la sua durata, provvisto di dialoghi ironicamente e, soprattutto, intelligentemente costruiti che lo rendono di un certo valore ed, in sè, anche originale.
Senza alcun dubbio consigliabile.
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onufrio
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martedì 9 aprile 2019
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sibilia ad honorem
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"Ad Honorem" è il naturale proseguimento del capitolo secondo (Masterclass). Pietro Zinni è convinto che Walter (Luigi Lo Cascio) voglia fare un attentato usando il gas nervino; tramite l'aiuto del temibile (ma non troppo) Murena, Zinni architetta la fuga dal carcere di Rebibbia assieme a tutta la banda, pronta a sventare l'attentato. Degno capitolo conclusivo della saga di Sibilia che porta una ventata di novità nel panorama del cinema italiano.
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felicity
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venerdì 16 novembre 2018
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un unicum nel panorama del cinema italiano
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Questo terzo capitolo è migliore del secondo, ma inevitabilmente meno innovativo del primo.
E' l'ultimo atto della trilogia che fa dell'evasione una necessità per i suoi protagonisti e per gli spettatori.
Raccoglie i frutti dei precedenti film e riesce in pochi minuti a riportare gli spettatori (anche se il film può essere visto da solo senza problemi) nelle atmosfere dei primi due capitoli.
Atmosfere, colori saturi, musica, senso di leggerezza, azione e una mitologia del nerdismo che costituisce il vero e proprio carattere della trilogia.
Un unicum nel panorama del cinema italiano.
Da vedere.
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loland10
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domenica 17 dicembre 2017
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gas...poco nervino
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“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
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“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
Un film ordinario dove al vezzo goliardico della prima parte, e non certamente sorrisi altisonanti con corrosività minima o assente, va verso una seconda diluita,alquanto volgarotta e distinta nel cambio di registro dei personaggi non certamente ben scritti e poco incisivi.
Legionari del popolo facilmente corruttibile ma cambi idea per la tribù giovanilistica r non tanto da salvare la cultura e i palazzi della intellighenzia umana. E il finalismo ultimo 'ma cosa dici....facciamo quest'esame'....e dopo ci inventeremo un lavoro. Quasi il passaggio delle consegne tra chi va via quasi soddisfatto e chi pensa al proprio futuro quasi insoddisfatto. Ciò che non affonda nel film è il vero graffio, il vero sarcasmo. Il vero dibattito sociale verrebbe da dire. Forse tutto questo non è nell’intenzione del regista ma solo un piacevole passatempo...,s il film scivola via senza veri scossoni e non si ricorda qualche vera scena madre. Forse i sedici metri. ...iniziali ma alla fin fine la pistola puntata appare inutile e quasi priva di dramma o significato e neppure la metafora del doppio personaggio da struttura narrativa al tutto.
La simpatia di Edoardo Leo (Pietro) e di Stefano Fresi (Alberto) fanno da traino al minimo in un gruppo che vorrebbe copiare quello che è stato il cinema italiano in certi f argenti: per carità niente vere cadute in basso ma certo è che il racconto si perde e il risaputo diventa logico e alquanto piatto.
Certo è che un po’ sopra di tanta roba 'natalizia' italiota (siamo nei trailer a tutto spiano e vederli prima della proiezione si prova un certo fastidio perché uguali a se stessi e senza vera risata...se ne contano il palmo di una mano …) ma questo non fa che ingannare o trovare l'alibi del cinema cosiddetto intelligente e distinguibile. Per il penultimo aggiungerei non molto ...non si sfonda ogni luogo comune, per il secondo si devono aspettare tempi migliori...chi sa quali....Il cinema italiano cerca in tutti i modi nuovi itinerari o scorciatoie veritiere ma, per chi scrive, è nel solito circolo vizioso. Novità vere, film ben scritti e recitazione congrue latitano abbastanza.
I volti di Pietro (neurobiologo), Mattia (latinista), Arturo (archeologo), Bartolomeo (economista), Alberto (chimico), Giorgio (latinista), Andrea (antropologo), Giulio (dottore), Lucio (professore) e Vittorio (avvocato) insieme a (‘Er’) Murena (ingegnere navale e boss) e Walter (stragista) sono lì uno dietro l’altro con vezzi e stralunati modi di ricordi e memorie della commedia di ieri. Onirici e cattedradici, scazzati e inverecondi, spenti e stralunati: vogliono dare una scossa ad una piattezza odierna ribaltando ogni volta il destino dello studio inutile e delle ingegnose (non fatiscenti) peripezie linguistiche di un mondo culturale con la bava alla bocca da più lustri. Si spogliano pure, danno il lustro alle spalle e il di dietro a chi no s’avvede che le inquadrature quando sono reiteranti non danno il gusto vero di uno sberleffo (alla giustizia) e di un sedere (improvvisato) alle maestranze (del set con messa in scena impoverita). Mentre Pietro Zinni ci guarda davanti coperto senza ritegno …
Il gas nervino e la strage chimica manifestano l’entusiasmo incontrollato (si fa per dire) dei nostri eroi con studi e idee da intenzioni serie pensando alla sala che sganascia in risate fragorose… Tutto in relax e senza una compattezza da ricordare. Comunque ‘Er Murena’ (Neri Marcorè) come ‘Er Pantera’ (Vittorio Gassman ne ‘I soliti ignoti’, 1958) sono lontani, ma il volto camuffato del Neri è solo un lascito della voce inconfondibile (balbuzie) e delle movenze da perdente del ‘mattatore’.
Edoardo Leoe Stefano Fresi riescono a superare bene lo schermo: non bastano ad un gruppo sciolto con caratteri vaghi e scrittura non ben ‘ordinata’. Forse una trilogia è troppo per dire la stessa cosa.
Regia senza segni particolari. Pause di denso mormorio tra il pubblico. Si esce senza applausi e con poche avvisaglie per aver assistito ad un film ‘epico’.
Voto: 6-/10 (**½).
“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
Un film ordinario dove al vezzo goliardico della prima parte, e non certamente sorrisi altisonanti con corrosività minima o assente, va verso una seconda diluita,alquanto volgarotta e distinta nel cambio di registro dei personaggi non certamente ben scritti e poco incisivi.
Legionari del popolo facilmente corruttibile ma cambi idea per la tribù giovanilistica r non tanto da salvare la cultura e i palazzi della intellighenzia umana. E il finalismo ultimo 'ma cosa dici....facciamo quest'esame'....e dopo ci inventeremo un lavoro. Quasi il passaggio delle consegne tra chi va via quasi soddisfatto e chi pensa al proprio futuro quasi insoddisfatto. Ciò che non affonda nel film è il vero graffio, il vero sarcasmo. Il vero dibattito sociale verrebbe da dire. Forse tutto questo non è nell’intenzione del regista ma solo un piacevole passatempo...,s il film scivola via senza veri scossoni e non si ricorda qualche vera scena madre. Forse i sedici metri. ...iniziali ma alla fin fine la pistola puntata appare inutile e quasi priva di dramma o significato e neppure la metafora del doppio personaggio da struttura narrativa al tutto.
La simpatia di Edoardo Leo (Pietro) e di Stefano Fresi (Alberto) fanno da traino al minimo in un gruppo che vorrebbe copiare quello che è stato il cinema italiano in certi f argenti: per carità niente vere cadute in basso ma certo è che il racconto si perde e il risaputo diventa logico e alquanto piatto.
Certo è che un po’ sopra di tanta roba 'natalizia' italiota (siamo nei trailer a tutto spiano e vederli prima della proiezione si prova un certo fastidio perché uguali a se stessi e senza vera risata...se ne contano il palmo di una mano …) ma questo non fa che ingannare o trovare l'alibi del cinema cosiddetto intelligente e distinguibile. Per il penultimo aggiungerei non molto ...non si sfonda ogni luogo comune, per il secondo si devono aspettare tempi migliori...chi sa quali....Il cinema italiano cerca in tutti i modi nuovi itinerari o scorciatoie veritiere ma, per chi scrive, è nel solito circolo vizioso. Novità vere, film ben scritti e recitazione congrue latitano abbastanza.
I volti di Pietro (neurobiologo), Mattia (latinista), Arturo (archeologo), Bartolomeo (economista), Alberto (chimico), Giorgio (latinista), Andrea (antropologo), Giulio (dottore), Lucio (professore) e Vittorio (avvocato) insieme a (‘Er’) Murena (ingegnere navale e boss) e Walter (stragista) sono lì uno dietro l’altro con vezzi e stralunati modi di ricordi e memorie della commedia di ieri. Onirici e cattedradici, scazzati e inverecondi, spenti e stralunati: vogliono dare una scossa ad una piattezza odierna ribaltando ogni volta il destino dello studio inutile e delle ingegnose (non fatiscenti) peripezie linguistiche di un mondo culturale con la bava alla bocca da più lustri. Si spogliano pure, danno il lustro alle spalle e il di dietro a chi no s’avvede che le inquadrature quando sono reiteranti non danno il gusto vero di uno sberleffo (alla giustizia) e di un sedere (improvvisato) alle maestranze (del set con messa in scena impoverita). Mentre Pietro Zinni ci guarda davanti coperto senza ritegno …
Il gas nervino e la strage chimica manifestano l’entusiasmo incontrollato (si fa per dire) dei nostri eroi con studi e idee da intenzioni serie pensando alla sala che sganascia in risate fragorose… Tutto in relax e senza una compattezza da ricordare. Comunque ‘Er Murena’ (Neri Marcorè) come ‘Er Pantera’ (Vittorio Gassman ne ‘I soliti ignoti’, 1958) sono lontani, ma il volto camuffato del Neri è solo un lascito della voce inconfondibile (balbuzie) e delle movenze da perdente del ‘mattatore’.
Edoardo Leoe Stefano Fresi riescono a superare bene lo schermo: non bastano ad un gruppo sciolto con caratteri vaghi e scrittura non ben ‘ordinata’. Forse una trilogia è troppo per dire la stessa cosa.
Regia senza segni particolari. Pause di denso mormorio tra il pubblico. Si esce senza applausi e con poche avvisaglie nell'aver assistito ad un film ‘epico’.
Voto: 6-/10 (**½).
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paolp78
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domenica 3 dicembre 2017
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al terzo stanca
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Sebbene la trovata iniziale sia azzeccata e divertente, tanto da dare vita ad una trilogia (la prima del cinema italiano), al terzo capitolo la riproposizione delle medesime dinamiche e degli stessi meccanismi comici non funziona più in modo pieno e dirompente.
I dialoghi logorroici che costituivano una chiave comica esilarante, adesso rischiano di annoiare.
I personaggi strampalati che costituivano la forza dei primi due capitoli, alla terza riproposizione perdono molto.
Ci sarebbe voluta l'introduzione di alcune novità di peso per dare nuovo slancio alla pellicola (ne è riprova che l'unico personaggio nuovo, il direttore del carcere di Rebibbia, risulta be riuscito).
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Sebbene la trovata iniziale sia azzeccata e divertente, tanto da dare vita ad una trilogia (la prima del cinema italiano), al terzo capitolo la riproposizione delle medesime dinamiche e degli stessi meccanismi comici non funziona più in modo pieno e dirompente.
I dialoghi logorroici che costituivano una chiave comica esilarante, adesso rischiano di annoiare.
I personaggi strampalati che costituivano la forza dei primi due capitoli, alla terza riproposizione perdono molto.
Ci sarebbe voluta l'introduzione di alcune novità di peso per dare nuovo slancio alla pellicola (ne è riprova che l'unico personaggio nuovo, il direttore del carcere di Rebibbia, risulta be riuscito).
Inoltre mi pare che questo terzo film sia volutamente molto meno comico degli altri (scelta decisamente sbagliata); in alcune parti diventa persino serioso e comunque prende molto spazio la parte dedicata allo sviluppo della storia "poliziesca", che lascia il tempo che trova; quanto poi alla sorte che tocca ai personaggi, questa risulta ben poco appassionante.
Il risultato è che francamente si ride troppo poco rispetto alle attese.
Questa trilogia di "Smetto quando voglio" resta comunque un prodotto di eccellenza in mezzo alla mediocrità del cinema italiano di cassetta degli ultimi anni, che propina solitamente commediole stupide e prive di spunti originali.
La visione nella sala cinematografica non aggiunge pressochè niente a quella sul piccolo schermo, pertanto consiglio di attenderne l'uscita in DVD.
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