TUTTO QUELLO CHE VUOI (IT, 2017) diretto da FRANCESCO BRUNI. Interpretato da GIULIANO MONTALDO, ANDREA CARPENZANO, ARTURO BRUNI, EMANUELE PROPIZIO, RICCARDO VITIELLO, DONATELLA FINOCCHIARO, ANTONIO GERARDI, RAFFAELLA LEBBORONI
Alessandro è un ventiduenne trasteverino ignorante e turbolento, che ha abbandonato gli studi senza esser arrivato al diploma, inviso (reciprocamente) al burbero padre vedovo che ora s’è accompagnato con una donna di servizio slovacca, e vivacchia da vitellone sfaccendato coi tre amici in tutto e per tutto identici a lui Leo, Riccardo e Tommi. Giorgio Ghilarducci è un ottantacinquenne poeta ormai dimenticato, trasferitosi in gioventù da Pisa a Roma, nella fase iniziale di un preoccupante Alzheimer, che ha residenza in una vetusta casa e vive ormai solo nei ricordi del passato, contraddistinto dai militari americani che, durante il 2° Conflitto Mondiale, gli salvarono la vita, la prima fidanzatina Costanza, la moglie Serena e il defunto fratello Carlo. I due abitano a pochi palazzi di distanza l’uno dall’altro, ma non si conoscono: hanno l’occasione per farlo quando il padre di Alessandro lo obbliga, pena il taglio dei soldi per i tatuaggi e i gozzovigli vari, a prender posto al servizio di Giorgio, per tramite della collaboratrice domestica Laura, il quale ha bisogno d’un badante che lo porti a passeggio alcune ore al giorno per non farlo rimanere nell’aria viziata del domicilio. Alessandro accetta malvolentieri, sopportando senza troppa pazienza i continui andirivieni tra passato e presente che sono l’imperitura afflizione della mente del letterato. A un certo punto, anche i tre amici di Alessandro arrivano in casa di Giorgio, e la occupano con la loro consueta balordaggine per giocare alla Play o a poker. Tuttavia, man mano che il compito prosegue, quello che prima sembrava un incarico oneroso e avaro di soddisfazioni, si trasforma in un rapporto di reciproca stima e amicizia fra due persone estremamente differenti per età, cultura, pensieri e opinioni, ma capaci di trovare un linguaggio e un crisma comuni per conversare e aiutarsi a vicenda. In mezzo c’è anche la ricerca di un misterioso tesoro sepolto in Toscana, nella foresta montuosa pistoiese, da Giorgio stesso, alla cui notizia i quattro ragazzi si ingegnano per portare il poeta con sé in una gita scriteriata ed individuare l’ubicazione di una promettente cassa che poi rivela di contenere soltanto un paio di scarponi infangati, ai quali però il letterato sembra tenere molto. Infine il papà di Alessandro gli impone di venire a lavorar con lui, e il ragazzo è costretto a salutare l’affezionato amico anziano, ma arriva troppo tardi: Giorgio è morto. Ma il ricordo (e gli insegnamenti) di quello strampalato quanto elegante signore dai modi raffinati rimarranno per sempre nel cuore e nella testa di colui che meglio di nessun altro poteva prendersi cura di una persona tanto speciale. Alla seconda regia dopo Scialla! (2011), Bruni imperversa nella narrazione dei borghi romani svelandone le inoperosità, la quasi malavita, le esistenze dei giovanissimi (disoccupati, demotivati, violenti) e la frustrazione di ambienti che paiono non proporre prospettive allettanti, ma la realtà ad essa opposta dell’ambito culturale incarnata nella figura di Giorgio (uno splendido Montaldo, premiato col David 2018 al miglior attore non protagonista), nonostante le apparenze, non le muove contro, ma la completa. Detto diversamente, abbiamo a che fare con due strutture che si muovono su binari paralleli senza avere dapprincipio consapevolezza della vicendevole esistenza, ma al loro incontro/scontro parte una lenta ma effettiva armonizzazione. Lo stesso dicasi per gli universi maschile e femminile, che in questa pellicola ricoprono un ruolo di appagamento davvero considerevole: gli uomini o abbondano di vanità ridicola e involontaria buffoneria aggressiva – Alessandro (un Carpenzano ormai sulla via della notorietà per la sua recitazione senza veli), suo padre, il terzetto degli amici perdigiorno – o sono provvisti di metodi forbiti e signorile presenza (Montaldo), mentre le donne si mescolano in un modus operandi più variegato, passando dalla silenziosa compassione della madre adottiva di Alessandro al senso di saggia responsabilità della madre di Riccardo e sua segreta amante non consenziente (una strepitosa Finocchiaro), dalla responsabilità di una che affida mansioni da portar a termine (Lebboroni) e all’allegria giocosa e sempre più compiaciuta della bibliotecaria che aiuta il protagonista nella ricerca dei cataloghi librari quando egli deve erudirsi sulle scorribande statunitensi sull’Appennino. Nel complesso, colpiscono la morbidezza e l’accento più sorvegliante che drammatico con cui gli sceneggiatori costruiscono una plausibile storia che trova come sua morale il bisogno degli esseri umani di conoscersi, approfondirsi, amarsi, godere insieme dei momenti positivi.
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