La povertà non è tutta uguale ma tra le esistenti quella americana è la più riprovevole. Perché voluta, perché creata da un sistema economico sostenuto da leggi inaccettabili. Il tenace rifiuto a una qualsiasi proposta di welfare che invece caratterizza l’Europa, si fonda sulla convinzione che è il singolo che deve fare ricorso alle proprie risorse nel costruire il proprio destino in linea con la tradizione degli uomini che hanno conquistato il West e su questa convinzione si basa anche la difesa del possesso delle armi. .
Parlare di povertà diffusa nel paese più ricco del mondo ha davvero dell’incredibile e solo chi ha attraversato gli Stati Uniti la scopre con sgomento. Il cinema di Hollywood infatti se ne è sempre ben guardato dal dare spazio a problematiche sociali che affliggono il paese preferendo storie edificanti con inevitabile happy end. .E’ infatti un regista indipendente quello che ci propone il primo film che descrive la desolante condizione nella quale vivono più di 4 milioni di famiglie senza padri.
Una società, quella americana che crea sacche di povertà e, miseria morale a cui è sicuramente impedita qualsiasi via di fuga e di riscatto.
LaFlorida è per gli americani la terra promessa dove recarsi per godere del clima mite e per l’immaginario favolistico creato dai temi della Disney, mpensabile quindi ambientare il tema del degrado e della povertà in questo luogo fatato. Ed è invece proprio lì che il regista intende tirare il suo pugno allo stomaco alla pingue quanto immutabile borghesia USA. E lo fa con leggerezza ricorrendo al punto di vista dei bambini.
Senza riferimenti familiari positivi, lasciati liberi di scorazzare in assoluta libertà danno sfogo a tutte le loro fantasie di gioco quasi tutte riprovevoli. Senza una guida che ne fissi i limiti cresceranno perpetuando comportamenti difficili da sradicare e che li condannano a vite senza via di fuga e di riscatto. Così la libertà meravigliosa di cui godono che potrebbe rappresentare un’alternativa ai bambini cresciuti nelle nostre città modello “polli di allevamento” si trasforma in uno stile anarchico che li porterà sicuramente a sbattere. E qui si tratta dei loro bambini bianchi nati negli States, non neri o latinos, a essere oppressi da un sistema che crea povertà inconsulta. Il regista non da soluzioni, punta solo il dito e parla soprattutto ai propri connazionali confezionando un film di facile lettura e inequivocabile comprensibilità. La rabbia montante e il tasso di indignazione non diminuiscono grazie a un ambiente punteggiato da architetture sognanti e la disperazione per la sorte di Mooney e degli altri compagni di gioco ha il sopravvento. IL senso di impotenza per l’impossibilità di intravedere una speranza è definitiva e la certezza di assistere a una situazione così disperata non lascia spazio per apprezzamenti di tipo estetico.
Solo il manager dello squallido Motel, Daniel Dafoe oppone una fragile barriera al cinismo cieco e sordo di stato che ancora conserva un sentire empatico che stranamente non si è cancellato in lui. Un filo di speranza per un' America che ha bisogno di uscire da una paralisi centenaria non solo per il benessere dei propri cittadini ma per il mondo intero.
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