JIMMY'S HALL – UNA STORIA D'AMORE E LIBERTà (UK/FR/IRL/BELG/GIAP, 2014) di KEN LOACH. Con BARRY WARD, SIMONE KIRBY, ANDREW SCOTT, JIM NORTON, BRIAN F. O'BYRNE
Irlanda, 1932. Sullo scenario della Grande Depressione, va al governo il partito repubblicano di sinistra (Fianna Fáil). Jimmy Gralton, piccolo proprietario di idee socialiste fuggito a New York perché malvisto aspramente dalla destra durante la guerra civile del 1922, può tornare a casa. I nuovi giovani, per i quali è un eroe, gli chiedono di riaprire il capannone-balera dove organizzava feste da ballo, ma che costituiva anche una specie di scuola popolare con corsi di letteratura, pittura, pugilato e danze folkloristiche. Jimmy li accontenta volentieri, così la sua hall diventa anche una "camera del lavoro" dei contadini affittuari, sfrattati dai potenti latifondisti. È nuovamente preso di mira dai notabili di destra e soprattutto dal temuto parroco che, nonostante lo stimi, lo considera a ragione un pericolo mortale per la Chiesa cattolica. Venticinquesimo film di Loach, ricavato, almeno parzialmente, da una ricerca documentaria su un personaggio reale, è forse il più riuscito frutto della ventennale collaborazione alla sceneggiatura con Paul Laverty: 1) perché sublima l’ideologia nell’ideale, innalza l’impegno politico a impegno esistenziale, estende la lotta di classe a lotta di cultura, di modo di vivere, di umanità, coniugando il pane con le rose, il politico e il privato; 2) perché, in forme classiche, rende a meraviglia la bellezza dell’Irlanda, quella naturale – nelle mille sfumature del suo profondo, prorompente e vitale verde (fotografia di Robbie Ryan) – e quella storico-sociale, attraverso le architetture, gli arredi, le vesti, gli ornamenti della sua civiltà contadina del primo ‘900 (scene di Fergus Clegg, costumi di Eimer Ni Mhaoldomhnaigh). Loach torna nell’Irlanda che aveva messo al centro del suo cinema con Il vento che accarezza l’erba e lo fa in modo apparentemente inusuale, in quanto questa storia vede protagonisti uomini e donne che difendono quello che un tempo avremmo denominato dancing. La musica che accompagna le dure immagini della Depressione americana descrive il contesto più adorato dal regista britannico: la vita di individui maschili e femminili che cercano nella condivisione di idee spazi quel senso della socialità su cui terzi vorrebbero legiferare per potervi avere sopra un controllo rigorosissimo. Quello che Gralton edifica per due volte è di fatto un centro sociale avanti lettera in cui ci si possono scambiare pareri insieme alla voglia di stare uniti. Definire "peccaminose" le danze che vi si praticano è, per l’autorità clericale locale e per gli esponenti della destra, soltanto un pretesto per non autorizzare la circolazione di un pensiero ritenuto sovversivo. Chi frequenta la Pearse-Connolly Hall è spesso anche un cristiano di tutto rispetto che si reca alla messa domenicale. È proprio questo che va colpito e debellato da quel potere ecclesiastico che, comunque, a differenza dei reazionari più retrivi, ancora comprende l’onestà degli intenti dell’avversario. La distinzione fra migliori e peggiori emerge netta, ma senza manicheismi: la figura del sacerdote tiene onorevolmente testa a quella di Jimmy – B. Ward eccellente nel rendergli una credibilità d’azione che trascende la sua nobiltà d’animo e il suo implacabile furore combattivo –, quasi come nelle vere tragedie, in cui si scontrano due verità equivalenti. Storicamente fornisce un’immagine icastica della pervasività del controllo sociale esercitato dalla Chiesa Cattolica. Ci si emoziona alquanto nelle scene in cui i passi di danza accompagnati dalla tradizione folkloristica vengono interrotti bruscamente dagli spari dei fucili, quasi a sottolineare la contrapposizione fra il gaudio della festa e l’ignoranza arrogante dei suoi imperterriti calunniatori. Splendida la cura ambientale, supportata da una girandola di interpretazioni assai convincenti. Distribuisce BiM. Presentato a Cannes 2014, dove ha ottenuto l’applauso più lungo di tutto il Festival.
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