Boyhood

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Un film di Richard Linklater. Con Ethan Hawke, Patricia Arquette, Ellar Coltrane, Lorelei Linklater, Steven Chester Prince.
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Drammatico, durata 165 min. - USA 2014. - Universal Pictures uscita giovedì 23 ottobre 2014. MYMONETRO Boyhood * * * 1/2 - valutazione media: 3,96 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Boyhood: film umano, sincero e reale. Valutazione 4 stelle su cinque

di ClaudioFedele93


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lunedì 19 gennaio 2015

Il 2014 è stato un anno particolarmente interessante dal punto di vista cinematografico ed al suo interno possiamo cercare e trovare pellicole di un certo valore capaci di rimanere impresse nell’immaginazione di chi le guarda e rivelarsi quali migliori lungometraggi dell’annata appena passata. Tra queste, tuttavia, ben poche, a loro volta potremmo etichettarle come memorabili, forti di una potenza narrativa e visiva senza pari, fiore all’occhiello dell’industria cinematografica recente, film indipendenti ma carichi di un grande potenziale artistico. Se ne è accorta, in parte, l’Academy, ma ancor prima noi, il pubblico che ha accolto con gran fervore lavori quali Grand Budapest HotelBirdman o in questo caso Boyhood.

L’ultimo lavoro di Richard Linklater, presentato ed osannato alla scorsa Mostra del Cinema di Berlino, conquistatore dell’Orso d’Argento quale miglior regista, è un esperimento riuscito che ha coinvolto per un decennio un numero considerevole di persone che con costanza hanno lavorato per tanti anni al progetto.

Se vi è infatti una cosa che il cinema riesce a fare è quella di enfatizzare in modo estremo un qualunque elemento, renderlo epica e suggestivo, dandogli a volte un rilievo tale da farlo apparire irreale, tanto da rimarcare ancora più profondamente quel solco che separa la settima arte dalla realtà, dimostrando che essa non è altro che una visione distorta, o uno specchio puramente soggettivo, dei fatti che accadono nella vita di ognuno di noi. Linklater con Boyhood fa l’opposto di quanto detto finora, annientando la concezione di Cinema sia fisicamente che metaforicamente, mostrandoci una storia così complessa ed umana da diventare immediatamente un cristallino riflesso della realtà che ci circonda.

La fanciullezza, o adolescenza che dir si voglia, del giovane Mason è narrata con ingegnosa maestria, portata a raccontare per tutta la durata della pellicola una vita ordinaria e priva di eccessivi picchi emotivi, ove le gioie ed i dolori non sono mai veramente o particolarmente atroci o appaganti, ma che nel loro microcosmo vogliono innalzarsi quale modello genuino dell’esistenza umana e piccole soddisfazioni. Boyhood è dunque un film magnifico, sensibile e sincero che pur mostrando una cerca ambizione tra le righe, analizza in modo umile, quasi come un romanzo di formazione e dai tratti sociali, l’età che per antonomasia dovrebbe rappresentare il momento migliore di ogni essere umano, ma che qui invece viene messa in scena come una continua ricerca di benessere ed una pacata voglia di serenità ricercata dai protagonisti in modo quasi apatico e sconsolato, fatta più di errori che di vittorie.

Eppure, dietro alle tante sfumature psicologiche, più o meno ben orchestrate e curate, la pellicola è un potente affresco non solo antropologico, ma anche politico dell’America degli anni 2000, di una nazione che passa dalla guerra in Iraq, alla campagna democratica di Obama che molte persone (persino nel Texas) hanno visto come leader ideale per combattere le scelte di un presidente, George W. Bush, che ha portato alla luce ed alla realizzazione di un conflitto che dietro ai tanti ideali patriottici post 11 Settembre nascondeva, purtroppo, motivi puramente economici.

Un decennio, quello ormai da cinque anni concluso, fatto di numerosi eventi, qui raccolti e legati al giovane protagonista, visti talvolta dal suo punto di vista, a partire dall’arrivo nelle case dei videogiochi, alla saga di Harry Potter o l’entrata in scena di Steve Jobs e della sua Apple con i suoi Ipad e Mac. Per questo motivo, grazie ad una incessante e instancabile voglia di raccontare, Boyhood si presenta a noi tutti come un unicum perché se pur muovendo delle critiche di natura politica talvolta di tanto in tanto mescolate ad una ironia o ad una sana voglia di voler mostrare ciò ce di buono c’è a questo mondo, questi è oggi la pellicola (e non “una” pellicola) che raccoglie in modo perfetto gran parte delle sfumature e dei particolari degli ultimi anni della nostra storia, un prodotto che riesce a parlare in modo universale colpendo e centrando i punti giusti, capace di apparire come un puzzle complesso, ma appagante ove ogni piccolo tassello trova perfettamente spazio all’interno del mosaico.

Tutto ciò, senza dubbio, è stato reso possibile grazie al cast, impegnato qui per ben 12 anni a fare, di anno in anno, un numero preciso di riprese, ove in esso è possibile cogliere i segni del tempo e della vecchiaia in modo, gioco forza, estremamente realistico e umano togliendo al Cinema, ancora una volta, quell’alone di mistero di cui molte volte ci fa vanto ed ci affascina, e conferendogli invece una luce di realtà e verosimiglianza assoluta. Assistere al progressivo naturale invecchiamento di Ethan Hawke e Patricia Arquette non fa che aumentare la credibilità del tutto, così come vedere la naturale crescita di Ellen Coltrane, rendendo il prodotto quasi un qualcosa dal taglio documentaristico, pur non riuscendo (volutamente) ad essere tale e rimanendo diretto in modo armonioso e mai invadente o eccessivamente pesante. Eppure Linklater ci parla anche attraverso i suoi e la musica, attraverso i numerosi “tormentoni estivi” ed i classici immortali dei Beatles, affiancando ad una storia umana anche un ritratto pop che Boyhood veste elegantemente.

 

Dodici anni di riprese, ecco cosa è stato questo film, ma tanto lavoro dietro alla macchina da presa alla fine, per quel che riguarda il sottoscritto, non può non essere ripagato con il massimo dei voti poiché l’impegno e la costanza di Richard Linklater è tanto esemplare ed unica da rappresentare una novità non solo dal punto di vista visivo, ma anche concettuale, rivelandosi sotto alcuni punti di vista una rivoluzione. Boyhood è in sé e per sé un grande esperimento, una prova, una scommessa ed al contempo, sopratutto, un azzardo che dopo un decennio tuttavia appare riuscito e vinto, perché di fronte ad una storia tanto semplice, e che parla in fondo di tutti noi, è un prodotto capace di saper andare affondo negli usi e costumi di un popolo, dandogli a questi anche una scintilla inedita, riciclando alcuni elementi dell’immaginario collettivo affiancandoli, però, ad una vicenda umana legata ad una famiglia imperfetta che vede una madre divorziata responsabile della vita dei suoi due figli. Boyhood per certi aspetti vuole cogliere il senso della nostra vita, che ci sussurra essere un attimo costante, che di tanto in tanto ci coglie, impreparati o meno, e ci invita a fare delle scelte, ma sotto un discorso puramente cinematografico Richard Linklater è riuscito a rompere le barriere del cinema, innalzando in tal modo la settima arte ad un livello che pochi nella loro carriera talvolta hanno raggiunto poiché raramente si assiste ad un film che riesca a parlare di noi tutti, ad essere tanto verosimile da apparire reale. Boyhood, infatti, non è solo un lungometraggio, è un alchimia di elementi, è il lavoro di un uomo durato ben dodici anni, che sa commuovere, emozionare, annoiare, divertire come ben poche cose riescono a fare, riuscendo a toccare il nostro animo come solo la vita vera sa fare

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