Anime nere

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Africo, che racconta l'universale Valutazione 5 stelle su cinque

di Eddy Xīn


Feedback: 118
venerdì 5 settembre 2014

Io non sapevo come fosse Africo. Sapevo che esisteva un paese di nome Africo, sapevo che fosse in Calabria. Ma non ne conoscevo il cielo livido, le case con i mattoni a vista, le opere pubbliche fuori scale, le strade come mulattiere, non conoscevo le capre con le corna, la chiesa di cemento in mezzo al paese. Io non sapevo che dialetto si parlasse ad Africo, avrei immaginato un calabrese caricaturale con tutte le t aspirate, non ne conoscevo la parlata chiusa, tra le vocali del salentino e la sintesi espressiva del siciliano. Con Anime nere ho viaggiato in un luogo dove non avrei messo piede, e mai avrei immaginato tanto simile a luoghi ostici e ben più esotici che mi sono trovato a percorrere come certe strade del Caucaso orientale, quando da Tbilisi, Georgia guidi verso sud, passi il confine con l'Armenia e intorno a te il mondo torna improvvisamente indietro di quarant'anni, raccontandoti paesaggi semiurbani che ritrovavo nella mia memoria solo in certi remotissimi e sfumati ricordi della prima infanzia, dove ad essere nuovi sono i vestiti, la tecnologia, il taglio dei capelli delle persone, inseriti in un ambiente esterno che al contrario non ha sentito la necessità di cambiare. Anime nere mi ha portato ad Africo, mi ha fatto sentire il freddo della notte aspromontina, mi ha fatto attraversare strade che non avrei mai pensato di percorrere. 

Io avevo un forte pregiudizio verso una "pellicola italiana che parla di vita criminale, lo confesso". Sono uno di quegli spettatori rassegnati, che ha già speso tanto tempo su articoli di fondo, manifestazioni d'impegno civile, pellicole e volumi di denuncia. L'età mi ha reso cinico: mi interessa il capire, l'intuire, del mafioso cattivo contro i buoni sono piene le fiction televisive e i film americani, pensavo, e se devo vedere un film, pensavo, mi rivedo The Untouchables, o Il Padrino 1 e 2, che alla fine finti come una banconota da 28 euro ma che fanno il loro porco lavoro di intrattenere. E anche qui, Munzi mi ha stupito.

Perchè Anime nere non racconta solo una tragedia familiare, ma anche un modo di pensare, un dramma generazionale tra l'equilibrio raggiunto dai padri e il nichilismo del giovane cresciuto con quel disperato bisogno di identità che finirà di compromettere ogni difficile, faticoso, labile equilibrio. Nella scelta suicida e stupida di Leo (ammesso che per stupidità si definisca un comportamento irrazionale che nuoce agli altri e a sè stessi) ho riletto non solo l'incomprensibile scelta dei giovani jihadisti britannici che vanno a uccidere e morire in Iraq, ma anche le mille violenze urbane di giovani uomini e donne che vogliono tutto, e lo vogliono subito, e non capiscono perchè altri hanno ciò a cui loro devono rinunciare, e tutto distruggono per affermare il loro solo desiderio di esistere. Munzi non dà lezioni, pare quasi che finga di sospendere il giudizio, il suo punto di vista appare neutrale e rispettoso per un mondo atavico ma non primordiale, capace di attendere, e non a caso destinato alla dannazione quando l'urgenza di velocità del moderno contamina il più giovane e il più debole della famiglia. Siamo noi spettatori  a dannarci per la scelta disperata di Luciano, il più simile a noi dei tre fratelli protagonisti nel suo rifiuto della vita criminale, ma siamo gli stessi che in fondo provavano un moto di empatia per la paura e la concretezza del giovane pastore che tradisce l'amico, siamo gli stessi a cui dispiace per la fine del gradasso Luigi, che ci meravigliamo quando Rocco - che pure aveva iniziato bene, con una lavata di capo al nipote più realista del re - si fa prendere la mano e asseconda l'escalation riaprendo quella faida che covava sotto la cenere. 

Lo Stato, la Chiesa, le nostre istituzioni, si muovono sulla scena di Anime nere come comprimari, statuine di presepe che ripetono meccanicamente i gesti di scena: la perquisizione, l'omelia restano sullo sfondo, routine di chi all'azione è e vuole restare estraneo, rinunciando a capire, muovendosi con fin troppa cautela all'interno di percorsi predeterminati che restano loro estranei. Le dinamiche del dramma si svolgono altrove, ed è in quell'altrove che Munzi ci trasporta. La tragedia si consuma in un mondo dove i nostri concetti moderni e hollywoodiani di buono e di cattivo non esistono più, sfumati in un dramma ancestrale, radici che ci straniano fin dall'inizio, quando Luigi e Nicola rubano due capretti in una cascina lombarda per sgozzarli e farli allo spiedo nel retrobottega di un night del milanese.

Una sorpresa, infine, gli attori, per noi abituati da troppo tempo a un cinema italiano che sconta da troppo tempo il modello di "fiction televisiva in due puntate" i protagonisti, volti più o meno noti , sono del tutto calati in una mimesi che talvolta li rende irriconoscibili. Spendiamo una parola, cercandone i nomi su google, per alcuni dei non protagonisti (particolarmente riuscite le parti di Salvatore Filocamo, l'anziano e cauto capofamiglia rivale, e dell'africense Stefano Priolo, che interpreta Nicola. braccio destro di Luigi). 

L'applauso al termine della proiezione è stato inevitabile, e sarebbe continuato forse oltre i famosi 13 minuti se solo le gentili e ferme maschere del palazzo del cinema non ci avessero accompagnato verso l'uscita. Un film, poi, ho l'abitudine di giudicarlo davvero il giorno dopo, quando vai a dormire e pensi al film, quando con gli amici che erano con te parli del film. E Anime nere dura molto di più delle due ore di proiezione. Perchè di Calabria, di Aspromonte, di Africo si parla, ma le Anime nere di Francesco Munzi sono universali. 


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iscarioth martedì 9 settembre 2014
ma dai...
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Ma fatti furbo!

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guiddi sabato 13 giugno 2015
sono d'accordo
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0%

Complimenti un gran bella recensione!

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dodix2013 sabato 24 settembre 2016
eddy, falla corta!!
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Un consiglio: cerca sul dizionario la parola SINTESI e guiardane il significato. E cerca di applicarla.

[+] dodix: perchè? (di ilfaggio)
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