Un film che conduce una famiglia calabrese alla resa dei conti coi padri.
di Marzia Gandolfi
Sono tre i protagonisti di Anime nere, (melo)dramma fatale di Francesco Munzi che si concentra su una famiglia: su quello che la sostiene e su quello che la distruggerà. Luciano, Rocco e Luigi sono fratelli 'diversi' dentro una storia tragica annunciata da una linea di frattura e svolta tra Milano e l'Aspromonte. Il senso tragico della vicenda e della vita, che Rocco e Luigi scialano e riciclano, è introdotto e incarnato da Luciano, imprenditore introverso che vive in Calabria, ai piedi delle montagne e al fianco del figlio Leo. Leo che sogna Milano, la moglie borghese, le puttane e la ricchezza facile degli zii, arricchiti col traffico internazionale di droga. Ostinato e contrario Luciano è lo sguardo che Munzi adotta per dire di un mondo arcaico e di una volontà di sopravvivenza dietro cui si cela la morte, il pensiero criminale e il suo rituale ereditario. E il rito è la casa e il carcere di Luciano. Mai dichiaratamente protagonista, Luciano finge di recitare da comprimario, lasciando gli onori della ribalta a Rocco e Luigi, figli come lui di un pastore morto di morte violenta e dentro un passato prossimo che sembra remoto. Simboli di un barbaro, estatico e lancinante spargimento di sangue, i suoi fratelli sono colpevoli di crimini diretti, crimini che impediscono a Luciano qualsiasi redenzione. Luciano che cerca Dio e non lo trova, che scioglie ogni sera la polvere del santo nell'acqua e scopre di avere un'anima per dissentire e contrariare i fratelli. Tuttavia Luciano non è un paladino della luce ma colui che compie il disegno del destino.
Costruito come una tragedia classica, Anime nere conduce inesorabilmente una famiglia calabrese alla resa dei conti coi padri e con la colpa archetipica. Ispirato dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco e dai drammi antichi, la cui tematica politica era intrisa di passione e di sentimenti forti, Anime nere racconta le nuove forme di criminalità organizzata attraverso la vita di tre fratelli. Fratelli che producono nuova colpevolezza e non riescono più a scongiurare la maledizione gettata dalla famiglia passata su quella futura. Come in un film dinastico viscontiano, Luciano è un discendente intrappolato nella ragnatela di rapporti familiari antichi che ormai non funzionano più e che non riesce più a riequilibrare per l'avvenire.
Testo tragico svolto in una notte e in due colori (nero e malva), il terzo film di Francesco Munzi lo rivela maestro di contaminazione cinematografica, che incrocia i toni tragici con quelli melodrammatici, rivelando padri e figli, fratello e fratelli, posseduti e possidenti consumati intorno a una bara da vendicare. Dotato e sensibile direttore di attori, Munzi dirige un concerto di volti coincidenti con le facce dei personaggi. Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, straordinari nel negare il destino dei rispettivi fratelli, e Fabrizio Ferracane, altrettanto magnifico a restarci avvitato fissando le stazioni della tragedia, sono energie diverse che Munzi forgia, reprime e libera in una geografia selvaggia e dentro un pre-epilogo. Un gesto irrevocabile che anticipa e 'incendia' il cuore dello spettatore, che come il personaggio di Marco Leonardi vede la morte in faccia, a occhi spalancati. Nella recitazione, una regolata economia dell'attesa e della relazione, offre al pubblico in sala spazi precisi di percezione drammatica e di nota grave. Percezione e nota che si adunano e deformano nel personaggio di Ferracane, focalizzando la bestemmia dei fratelli e la potenziale follia di chi è stato impedito nel salto mistico dal ciclo perpetuo della distruzione. Anime nere non è allora un film di 'mafia' ('Ndrangheta) ma una tragedia classica spinta verso la nemesi, la messa a morte dei suoi protagonisti, l'interruzione del rito.