Titolo originale | Show Trial: The Story of Pussy Riot |
Anno | 2013 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Russia, Gran Bretagna |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Mike Lerner, Maxim Pozdorovkin |
Attori | Mariya Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova, Yekaterina Samutsevich, Pyotr Verzilov Andrey Tolokonnikov, Natalia Alyokhina, Stanislav Samutsevich, Mark Feygin, Nikolai Polozov, Violetta Volkova, Vladimir Mikhailovich Gundyayev, Irina Khrunova, Lev Lyapin, Madonna, Dmitry Medvedev, Yoko Ono, Larisa Pavlova, Vladimir Putin, Alexei Taratukhin, Gera Tolokonnikova. |
Uscita | giovedì 12 dicembre 2013 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 2,98 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 13 novembre 2017
Tre giovani donne devono scontare sette anni in prigione per aver organizzato uno spettacolo satirico dentro a una cattedrale di Mosca.
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CONSIGLIATO SÌ
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Marzo 2012. Tre attiviste del gruppo Pussy Riot vengono arrestate per aver preso parte ad un'incursione situazionista di pochi secondi nella Cattedrale moscovita di Cristo Salvatore. La preghiera punk di Nadia, Masha e Katia, "Madre di Dio diventa una femminista e liberaci da Putin", fa infuriare all'unisono il potere politico e quello ecclesiastico. Il documentario di Maxim Pozdorovkin e Mike Lerner, presentato al Sundance, racconta la vicenda processuale delle tre donne, contestualizzandola dentro una storia - quella russa - di scarsissima tolleranza delle controculture.
C'è un'idea di spettacolo, alla base della forma di protesta scelta dalle Pussy Riot, che evoca la leggerezza del gioco, la libertà dell'espressione e la scelta della non violenza, e c'è una risposta pesantemente sproporzionata e liberticida da parte del governo (ma anche delle milizie religiose che minacciano le famiglie delle ragazze) che racconta da sola la serietà della vicenda e l'isolamento delle protagoniste, prima ancora del sopraggiungere della reclusione fisica. Lo stesso film di Pozdorovkin e Lerner, che parte con intenzioni leggere (i nomi delle donne presentati in sovrimpressione come piccole grandi star), s'incupisce man mano che di fronte a loro si alza il muro dell'odio, pur restando sempre nel confine di un'estetica ispirata ai dettami punk del DIY (Do it yourself).
Da un lato, i passamontagna colorati, le canzoni urlate, i gesti teatrali e arrabbiati, in nome di una ricerca vitale di visibilità, dall'altro il rifiuto di ascoltare e, in una parola, la volontà di negare l'esistenza di questi soggetti femminili in disaccordo. Da un lato l'obiettivo di far riflettere i connazionali sulla natura ideologica e modificabile di realtà come il patriarcato, la connivenza tra Stato e Chiesa, la considerazione della donna come peccatrice; dall'altro la risposta della forza bruta e l'accusa conformista di blasfemia.
Il documentario non dà spazio alle voci delle protagoniste fuori dalle dichiarazioni pubbliche, se non per qualche preziosissimo scambio tra loro prima dell'inizio del processo, ma tanto basta perché il coraggio di Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alyokhina e Yekaterina Samutsevich emerga in tutta la sua portata, di contro alle logiche circostanti dell'intolleranza e della paura. Le figure famigliari, invece, interrogate in prima persona, assurgono in qualche modo a emblema di un'altra Russia, quella che prima nascondeva la testa, ma pian piano sta aprendo gli occhi.