writer58
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lunedì 17 gennaio 2011
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dagenham, 1968
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Il '68 ha molti aspetti, molte facce. Da quello mitico e mitizzato del Maggio francese, al movimento che ha scosso le università e le piazze italiane, alle spinte controculturali e libertarie in un' America che protestava contro la guerra del Vietnam.
Questo film propone un apisodio apparentemente minore, ma che ha modificato in modo permanente i rapporti tra imprese e operai, la lotta di 187 donne della Ford di Dagenham, in Inghilterra, per ottenere parità di salario. E' una lotta condotta in modo intransigente fino alla vittoria, a dispetto della politica del colosso industriale, dei sindacati sostanzialmente disinteressati a sostenere la rivendicazione, degli stessi mariti che vedono scemare il reddito famigliare e la presenza delle loro mogli nelle incombenze di casa.
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Il '68 ha molti aspetti, molte facce. Da quello mitico e mitizzato del Maggio francese, al movimento che ha scosso le università e le piazze italiane, alle spinte controculturali e libertarie in un' America che protestava contro la guerra del Vietnam.
Questo film propone un apisodio apparentemente minore, ma che ha modificato in modo permanente i rapporti tra imprese e operai, la lotta di 187 donne della Ford di Dagenham, in Inghilterra, per ottenere parità di salario. E' una lotta condotta in modo intransigente fino alla vittoria, a dispetto della politica del colosso industriale, dei sindacati sostanzialmente disinteressati a sostenere la rivendicazione, degli stessi mariti che vedono scemare il reddito famigliare e la presenza delle loro mogli nelle incombenze di casa.
Il film di Nigel ricostruisce la vicenda in modo avvincente e corretto, scegliendo un registro intermedio tra le pellicole d'impegno sociale alla Ken Loach e la commedia proletaria alla "Full Monty", si avvale di un cast eccellente e racconta una storia che suscita nello spettatore empatia e solidarietà.
Lo striscione che le operaie cercano di dispiegare in una manifestazione reca scritto "We want sex equality" ("vogliamo parità di genere"), ma il vento rende difficoltosa l'operazione e appare solo lo scritta . "We want sex". Metafora di una società che riduce le donne, oggi come ieri, a oggetti sessuali dell'immaginario maschile e ne mortifica sistematicamente le aspirazioni professionali e il desiderio di realizzazione.
Un buon film, privo di retorica, che racconta un pezzo del nostro passato recente.
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paola di giuseppe
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mercoledì 8 dicembre 2010
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quando le donne non erano in carriera
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Made in Dagenham, area est di Londra, quartiere costruito “tra le due guerre per gli operai di grandi imprese come la Ford installate nell'area” (Wiki).
Una storia vera, di donne in subbuglio che decidono di non poterne più.
Di cosa? Beh, intanto di lavorare in un posto che cade a pezzi, loro sono solo 187, cosa costerebbe sistemarle in un quartierino comodo, ben messo, dove non piove ogni volta che piove e non si debba lavorare vestite solo dell’intimo (poco sex) per non morire di caldo quando il sole picchia duro?
I maschi sono un esercito di 55.000, eppure hanno una bella sede nuova.
Ma quello che fa saltare il tappo è la riclassificazione professionale, sentirsi definire “operaie non qualificate” è cosa che grida vendetta al cospetto di Dio, ora basta, saremo anche addette solo alla cucitura dei sedili, ma se non lo facciamo noi la produzione si ferma.
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Made in Dagenham, area est di Londra, quartiere costruito “tra le due guerre per gli operai di grandi imprese come la Ford installate nell'area” (Wiki).
Una storia vera, di donne in subbuglio che decidono di non poterne più.
Di cosa? Beh, intanto di lavorare in un posto che cade a pezzi, loro sono solo 187, cosa costerebbe sistemarle in un quartierino comodo, ben messo, dove non piove ogni volta che piove e non si debba lavorare vestite solo dell’intimo (poco sex) per non morire di caldo quando il sole picchia duro?
I maschi sono un esercito di 55.000, eppure hanno una bella sede nuova.
Ma quello che fa saltare il tappo è la riclassificazione professionale, sentirsi definire “operaie non qualificate” è cosa che grida vendetta al cospetto di Dio, ora basta, saremo anche addette solo alla cucitura dei sedili, ma se non lo facciamo noi la produzione si ferma.
E infatti si fermerà, sembra impossibile perché parliamo del colosso Ford con miliardi di fatturato, che immette milioni di pounds nell’economia inglese, parliamo di sindacati fatti di omaccioni dalla faccia da lupo cattivo, cattivo solo con gli agnelli, beninteso, ma poche donnette, alle prese pure con mariti poco convinti di aver sposato un essere pensante, ce l’hanno fatta e nel lontano ’68 hanno ottenuto la parità salariale e il rispetto dei propri diritti, soprattutto quello di essere considerate persone, e non sulla base dell’avere o no un pisello (scusate, la battuta è del film e, pur se non proprio originale, resta sempre gustosa).
Rita O’Grady, la carismatica del gruppo, non ha proprio l’aria della femminista impegnata, con i suoi vestitini pastello fatti in casa, ma quando c’è da dire qualcosa non si tira indietro, non la fa troppo lunga con discorsi programmatici, analisi di indubbio spessore politico, profonde e dotte ricognizioni sullo stato dell’arte, non scrive su riviste di analisi politica nè si è formata a scuole di partito.
Qualche cartello, uno striscione con su scritto “We Want Sex Equality” che si attorciglia nella parte destra con “Equality”, così è venuto bene il titolo ridanciano della versione italiana, e via per le strade di Londra a far sapere come vanno le cose in fatto di donne.
Naturalmente i sedili ad un certo punto vengono a mancare e, a meno che non si decida di far macchine senza, anche gli uomini devono incrociare le braccia per mancanza di lavoro.
Questo annulla la pur minima solidarietà che inizialmente qualcuno aveva dato allo sgangherato drappello in sciopero, e per fortuna la Ministra, che molto poco ha delle nostre, soprattutto in fatto di sex-appeal, le appoggerà a oltranza e com’è finita lo sappiamo dalle didascalie di coda e dalla storia delle lotte sindacali.
Un film utile, utilissimo anzi, certe cose vanno viste, e anche se manca di grandi qualità cinematografiche, anche se sul tema si poteva fare di più e di meglio, insomma non esalta per recitazione, ritmo, sceneggiatura, piuttosto piatti anzichenò, il ricordo dell’Erba di Grace è meglio dimenticarlo, ha una gran dignità, racconta una bella storia vera e ci fa riflettere e magari chiederci: ma ora come stanno le cose?
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laulilla
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giovedì 9 dicembre 2010
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sebben che siamo donne...
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Questo è un bel film, con un titolo che sembra pensato apposta per catturare qualche ingenuo, sedotto da pruriginose promesse. In realtà le donne che vengono raccontate nel film non vogliono sesso, ma vogliono parità, di salario innanzi tutto, perché sembra ovvio che, a parità di mansione, corrisponda una parità di trattamento economico per uomini e donne. Il film tuttavia ci ricorda che da soli quarant'anni, dopo una lotta dura e difficile, questo principio di giustizia elementare è stato raggiunto in Europa, e neppure dappertutto, se è vero come sappiamo da inchieste e statistiche recenti, che in Italia, per esempio, anche oggi il lavoro femminile è meno retribuito di quello maschile.
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Questo è un bel film, con un titolo che sembra pensato apposta per catturare qualche ingenuo, sedotto da pruriginose promesse. In realtà le donne che vengono raccontate nel film non vogliono sesso, ma vogliono parità, di salario innanzi tutto, perché sembra ovvio che, a parità di mansione, corrisponda una parità di trattamento economico per uomini e donne. Il film tuttavia ci ricorda che da soli quarant'anni, dopo una lotta dura e difficile, questo principio di giustizia elementare è stato raggiunto in Europa, e neppure dappertutto, se è vero come sappiamo da inchieste e statistiche recenti, che in Italia, per esempio, anche oggi il lavoro femminile è meno retribuito di quello maschile. Attraverso il racconto del film, inoltre, emergono molti altri problemi della donna lavoratrice: il basso salario, infatti, fa comodo anche ai mariti, che mantengono saldamente nelle loro mani il ruolo di capo famiglia, cui spettano le decisioni: mentre alle donne spettano, oltre al lavoro mal retribuito, le camicie da lavare e stirare, la cura dei figli, il farsi carico delle nevrosi e ossessioni dei maschi di casa. Questa condizione faticosa e ingiusta è, però, trasversale ai più diversi settori della società: riguarda le operaie della Ford a Dagenham, protagoniste della storica rivolta del 1968, così come le mogli dei dirigenti della medesima fabbrica, perché, anche se si sono brillantemente laureate a Cambridge, per il marito sono elementi della casa, utili solo per portare alla tavola degli uomini quel particolare tipo di Stilton che deve essere servito alle persone importanti. Non è un caso, perciò, che si crei, fra donne, una solidarietà che prescinde dall'appartenenza sociale e che sarà uno degli elementi che permetterà alle operaie di resistere in sciopero, nonostante tutto, cioè nonostante l'opposizione dell'intero universo maschile, da quello padronale (ovvio) a quello familiare (ovvio) a una ampia sezione di quello sindacale (molto meno ovvio) a quello politico del Labour Party, al potere in Gran Bretagna in quel momento, e in cui un solo ministro (donna) accetta di prendere in mano la questione per arrivare a un accordo. Impressiona nel film la determinazione di queste donne, la voglia di lottare senza lasciarsi intimidire dalle minacce dei dirigenti che fanno intendere di essere pronti a "delocalizzare" la produzione delle auto (ricorda qualcosa di molto recente questo discorso!) creando disoccupati in Gran Bretagna, se le operaie non rinunceranno alla parità. Colpisce il loro orgoglio: bastano poche parole della loro leader, Rita O' Grady, perché anche la più fragile di loro non accolga il tentativo di divisione messo in atto dal padrone, che le promette un futuro da modella: una bella scritta sul ventre nudo ricorderà al fotografo e al padrone che l'obiettivo è la lotta per la parità. Tutto questo è detto con grande semplicità dal regista, che non è, né vuole rassomigliare a Ken Loach, ma che nei toni leggeri di una commedia ben recitata, dirige ottimamente un lavoro che ci racconta un'importantissima pagina del nostro recente passato (ma siamo così sicuri che non ci riguardi ancora?)
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sergio dal maso
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domenica 28 giugno 2015
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c'era una volta la lotta per i diritti....
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A scanso di malintesi We want sex non parla di sesso ma di parità tra i sessi. Ciò per cui lottano le protagoniste è la parità salariale e di condizioni di lavoro tra uomini e donne. Lo striscione all’origine dell’equivoco completamente srotolato afferma infatti “we want sex equality”.
Il film parla di un mondo del lavoro maschilista in cui le donne sono discriminate ed hanno poche tutele, un mondo in cui i sindacati sono incapaci di comprendere i cambiamenti epocali in corso e i padroni delle fabbriche minacciano di spostare la produzione all’estero per spegnere le rivendicazioni dei lavoratori.
“Un film drammatico sull’Italia di oggi!”, esclamerà qualcuno.
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A scanso di malintesi We want sex non parla di sesso ma di parità tra i sessi. Ciò per cui lottano le protagoniste è la parità salariale e di condizioni di lavoro tra uomini e donne. Lo striscione all’origine dell’equivoco completamente srotolato afferma infatti “we want sex equality”.
Il film parla di un mondo del lavoro maschilista in cui le donne sono discriminate ed hanno poche tutele, un mondo in cui i sindacati sono incapaci di comprendere i cambiamenti epocali in corso e i padroni delle fabbriche minacciano di spostare la produzione all’estero per spegnere le rivendicazioni dei lavoratori.
“Un film drammatico sull’Italia di oggi!”, esclamerà qualcuno. Niente di più sbagliato. We want sex è una commedia brillante e coinvolgente, di forte impegno sociale ma all’insegna del sorriso e della leggerezza. La storia, ambientata nel ‘68 e realmente accaduta, è quella del primo grande sciopero femminile, della lotta delle 187 operaie del più grande stabilimento inglese della Ford (all’epoca il quarto più grande del mondo con 55.000 dipendenti uomini e 187 donne) per ottenere la parità di retribuzione con quella dei colleghi maschi. La scintilla che accende la protesta delle lavoratrici addette alla cucitura dei sedili dello stabilimento di Dagenham, che lavorano in condizioni vergognose, con un’afa tremenda e in uno stabile fatiscente, è il declassamento ad operaie non qualificate. La protesta divamperà in un incendio, uno sciopero ad oltranza di 3 settimane che metterà in ginocchio non solo la produzione della Ford ma anche le relazioni politico-industriali nazionali e internazionali, riuscendo a conquistare il diritto alla parità retributiva anche dal punto di vista giuridico con la legge “equality pay act” del 1970.
Protagonista della battaglia salariale e leader improvvisata della protesta è Rita O’Grady (la superba Sally Hawkins), una operaia minuta ma sanguigna e combattiva capace di trascinare le compagne alla lotta ma
anche di sostenerle e rincuorarle nei momenti di difficoltà. Prima di essere operaie, infatti, le protagoniste sono donne, fiere e solidali, con il peso della famiglia e dei pregiudizi sulle spalle ed una parità coniugale da
conquistare assieme a quella retributiva. Donne moderne e vitali che vestono colori sgargianti e ballano il rock ‘n roll, opposte all’opportunismo pavido dei grigi sindacalisti e al maschilismo di una società conservatrice poco disposta ad accettare il progresso sociale. Con lo sciopero infatti si incrinano anche i rapporti familiari e i delicati equilibri nelle relazioni coniugali. Ma alla fine le donne sono comunque protagoniste del loro destino, non solo le battagliere operaie che rivoluzioneranno i diritti del mondo del lavoro, anche la moglie del dirigente della Ford, laureata ad Oxford e relegata a casalinga obbediente, trova la forza di ribellarsi, e la ministra Barbara Castle prima si dimostra ostile poi disposta a concedere alle lavoratrici i diritti che legittimamente reclamano.
Difficile non apprezzare We want sex, improbabile uscire dalla sala senza il sorriso sulle labbra. E’ una commedia che unisce passione civile ed ironia senza mai apparire retorica, assumendo a tratti anche il tono della favola moderna. Emoziona la semplicità e la sincerità di Rita O’Grady ma soprattutto il fatto che le protagoniste sono vere, autentiche come i loro sentimenti, le loro frustrazioni ed i problemi quotidiani e familiari che devono affrontare. Non lottano per la rivoluzione ma per i loro diritti e il futuro delle loro famiglie. Molte comparse utilizzate nelle scene dello sciopero sono vere operaie che hanno perso il lavoro nella fabbrica gallese dismessa dove sono state girate la maggior parte delle riprese. Come sono autentiche le arzille ex-lavoratrici che compaiono nei titoli di coda, fatte sfilare al festival del Cinema di Roma al posto delle attrici del film. E questo è un ulteriore merito del regista Nigel Cole, capace di confezionare una commedia impegnata sul mondo del lavoro assolutamente riuscita e credibile pur senza entrare nel terreno, più naturale per queste tematiche, del dramma sociale o del pessimismo politico alla Ken Loach. Certo, la sensazione che si ha è quella di un mondo che non c’è più, e non per le pettinature anni 70 o i vestiti vintage, quella società guardava ancora al futuro con ottimismo, con la speranza e la voglia di credere che il domani sarebbe stato migliore.
Forse We want sex piace proprio per questo, perchè in questo momento storico drammatico dove è difficile immaginare un futuro migliore trasmette la nostalgia di un’epoca lontana, dove si credeva ancora nell’idea, magari semplice e banale, di lottare per cambiare il mondo non in nome di ideologie astratte ma, come di dice Rita O’Grady, “perché è giusto!”.
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filippo catani
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sabato 21 gennaio 2012
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la rivolta delle operaie inglesi
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Nel 1968 le operaie di uno stabilimento Ford di rpovincia iniziano uno sciopero per richiedere la parità salariale con i colleghi maschi. La vicenda crea scossoni sia nel governo, sia nella proprietà ma anche e soprattutto all'interno del sindacato stesso.
Il film racconta con piacevolezza la serrata lotta di un manipolo di operaie di provincia. E certamente quello che più colpisce è la grande ostilità che queste donne trovarono all'interno del sindacato. Ma soprattutto il film ci mostra quanto poco fossero considerata le donne in ogni settore. Molto forte la figura della moglie del responsabile della Ford che, pur essendo laureata, è considerata dal marito al pari di una domestica.
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Nel 1968 le operaie di uno stabilimento Ford di rpovincia iniziano uno sciopero per richiedere la parità salariale con i colleghi maschi. La vicenda crea scossoni sia nel governo, sia nella proprietà ma anche e soprattutto all'interno del sindacato stesso.
Il film racconta con piacevolezza la serrata lotta di un manipolo di operaie di provincia. E certamente quello che più colpisce è la grande ostilità che queste donne trovarono all'interno del sindacato. Ma soprattutto il film ci mostra quanto poco fossero considerata le donne in ogni settore. Molto forte la figura della moglie del responsabile della Ford che, pur essendo laureata, è considerata dal marito al pari di una domestica. Naturalmente il film si concentra anche su tutte le tragiche difficoltà a cui queste donne andarono incontro in quanto il loro sciopero finì per bloccare anche il lavoro degli uomini gettando intere famiglie sull'orlo del lastrico. Sarà la grande determinazione di queste donne e del loro leader che faranno sì di ottenere grandi risultati e di lì a poco la parità salariale questione che, seppur ormai quasi risolta, continua a sollevare problemi e discussioni ahimè ancora al giorno d'oggi.
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owlofminerva
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giovedì 3 maggio 2012
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abbiamo ancora bisogno di quelle donne
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E’ il 1968, Dagenham, Inghilterra. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala della fabbrica che cade a pezzi, in condizioni precarie. Un bel giorno la fabbrica decide di sottoporre le donne ad una ridefinizione professionale che le vuole “non qualificate”. Vengono pagate meno della metà degli uomini per analoghe mansioni. Le operaie scioperano ad oltranza fino a paralizzare anche il lavoro degli uomini, dell’industria intera.
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E’ il 1968, Dagenham, Inghilterra. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala della fabbrica che cade a pezzi, in condizioni precarie. Un bel giorno la fabbrica decide di sottoporre le donne ad una ridefinizione professionale che le vuole “non qualificate”. Vengono pagate meno della metà degli uomini per analoghe mansioni. Le operaie scioperano ad oltranza fino a paralizzare anche il lavoro degli uomini, dell’industria intera. Lo striscione che le operaie cercano di dispiegare in una manifestazione reca scritto “We want sex equality” (“vogliamo parità di genere”), ma il vento rende difficoltosa l’operazione e appare solo lo scritta ”We want sex”, metafora di una società che riduce le donne, oggi come ieri, a oggetti sessuali dell’immaginario maschile e ne mortifica sistematicamente le aspirazioni professionali e il desiderio di realizzazione. Il film riesce a valorizzare l’inesperienza come elemento vincente del conflitto: le protagoniste sono donne modeste, sono le donne delle case popolari che affrontano la materia politica, presunto appannaggio di maschi acculturati, facendo accalorare anche le signore borghesi e trovando l’appoggio della deputata Barbara Castle, pronta a lottare con loro contro una legge iniqua e obsoleta. La commedia nasce dalle testimonianze di un evento storico che porterà alla legge sulla parità di retribuzione. La carta vincente rimane una: la solidarietà, quella delle donne anche se borghesi, e quella degli uomini che si affiancano alle donne in questa battaglia. Quella protesta si conserva forte e necessaria, anche oggi. Abbiamo bisogno di quelle donne, nelle nostre amministrazioni comunali.
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smighish
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lunedì 10 gennaio 2011
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delizioso
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Film delizioso, dignitoso, molto meno commedia di quello che vuole sembrare. Riporta la mente indietro, a qualcosa che ora non c'è più, o almeno è sopito. Dovrebbe spronare e incoraggiare, perchè sono in arrivo tempi duri che richiederanno la forza e il coraggio di un tempo.
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everyone
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mercoledì 8 dicembre 2010
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the way we were...
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Il film ben rappresenta un momento del recente passato interprete di istanze e speranze femminili che si sono perse per strada quando purtroppo altri modelli le hanno soppiantate in special modo in Italia.Un film onesto credibile nella rappresentazione dei fatti e nella descrizione dei risvolti psicologici dei vari personaggi sia femminili che maschili.
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reservoir dogs
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mercoledì 29 dicembre 2010
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storia di un emancipazione
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Storia di un emancipazione e delle donne che combatterono per averla.
Nel 1968 in una fabbrica di Dagenham della Ford, un gruppo di 187 donne lavorano cucendo sedili per auto in condizioni disastrose.
La notizia di un ulteriore taglio dei compensi classificando le donne come "operaie non specializzate" sarà la miccia che innescherà l'inizio delle proteste per la parità dei salari.
A difendere le scioperanti, un sindacalista (Hoskins), che attraverso una combattiva madre single ha compreso il profondo rispetto dovuto alle donne mentre la carismatica operaia Rita(Hawkins), capeggerà le donne decise ad attuare uno sciopero ad oltranza.
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Storia di un emancipazione e delle donne che combatterono per averla.
Nel 1968 in una fabbrica di Dagenham della Ford, un gruppo di 187 donne lavorano cucendo sedili per auto in condizioni disastrose.
La notizia di un ulteriore taglio dei compensi classificando le donne come "operaie non specializzate" sarà la miccia che innescherà l'inizio delle proteste per la parità dei salari.
A difendere le scioperanti, un sindacalista (Hoskins), che attraverso una combattiva madre single ha compreso il profondo rispetto dovuto alle donne mentre la carismatica operaia Rita(Hawkins), capeggerà le donne decise ad attuare uno sciopero ad oltranza.
Lo sciopero prolungato porterà al blocco della produzione (non esistono auto senza sedili) mandando così a casa anche i signori uomini che non vedranno di buon grado la notizia mentre la Ford minaccerà con una dilocazione.
Le operaie giunte già in governo avranno la copertura della deputata Castle (Richardson) raggiungendo poco dopo la loro parità.
Donne che non protestano "per il sesso" ma per l'equalità dei sessi, che non si fanno abbindolare da un servizio fotografico distrutto poi con del rossetto sull'addome, donne che sono anche mogli con dei mariti malati da curare che hanno comunque voglia di combattere, donne che non servono solo del formaggio ma che posseggono una laurea in storia moderna.
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vittorio dornetti
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domenica 5 giugno 2011
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la lotta delle donne
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Non sarà un capolavoro, ma dice molte cose vere e autentiche sul meccanismo della sopraffazione nella nostra società, e aiuta anche a capire che, quando i profitti non sono quelli che si vorrebbero, ma un po' meno,l'industria fa il diavola a quattro, ricatta, minaccia, prevede catastrofi, tanto la pelle è degli altri ( e per pelle si intende anche vivere quotidianamente in un luogo di lavoro impossibile, asfissiante). Personalmente ho trovato straziante la scena della donna colta, laureata in storia, che viene trattata come una serva dal marito. Provo la più violenta antipatia per pseudoffemministe come Lilli Gruber, ma bisogna fare un esame di coscienza su queste cose.
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Non sarà un capolavoro, ma dice molte cose vere e autentiche sul meccanismo della sopraffazione nella nostra società, e aiuta anche a capire che, quando i profitti non sono quelli che si vorrebbero, ma un po' meno,l'industria fa il diavola a quattro, ricatta, minaccia, prevede catastrofi, tanto la pelle è degli altri ( e per pelle si intende anche vivere quotidianamente in un luogo di lavoro impossibile, asfissiante). Personalmente ho trovato straziante la scena della donna colta, laureata in storia, che viene trattata come una serva dal marito. Provo la più violenta antipatia per pseudoffemministe come Lilli Gruber, ma bisogna fare un esame di coscienza su queste cose.
Per il resto il film funziona benissimo almeno per chi, come me, crede che il cinema sia anche intrattenimento e che se si vuole far riflettere anche gente che non lo fa a livello professionale, occorre presenragli le cose in maniera accattivante e gradevole, senza trionfalismi (e non si dica che il film passi sotto silenzio i costi umani che una lotta di quel tipo presuppone). E comunque divertire non significa bocciare a priori l'arte o almeno l'abilità professionale. Bel film dunque, che ci aiuta a ricordare che le ingiustizie ci sono state e ci sono ancora.
Vittorio Dornetti
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