A scanso di malintesi We want sex non parla di sesso ma di parità tra i sessi. Ciò per cui lottano le protagoniste è la parità salariale e di condizioni di lavoro tra uomini e donne. Lo striscione all’origine dell’equivoco completamente srotolato afferma infatti “we want sex equality”.
Il film parla di un mondo del lavoro maschilista in cui le donne sono discriminate ed hanno poche tutele, un mondo in cui i sindacati sono incapaci di comprendere i cambiamenti epocali in corso e i padroni delle fabbriche minacciano di spostare la produzione all’estero per spegnere le rivendicazioni dei lavoratori.
“Un film drammatico sull’Italia di oggi!”, esclamerà qualcuno. Niente di più sbagliato. We want sex è una commedia brillante e coinvolgente, di forte impegno sociale ma all’insegna del sorriso e della leggerezza. La storia, ambientata nel ‘68 e realmente accaduta, è quella del primo grande sciopero femminile, della lotta delle 187 operaie del più grande stabilimento inglese della Ford (all’epoca il quarto più grande del mondo con 55.000 dipendenti uomini e 187 donne) per ottenere la parità di retribuzione con quella dei colleghi maschi. La scintilla che accende la protesta delle lavoratrici addette alla cucitura dei sedili dello stabilimento di Dagenham, che lavorano in condizioni vergognose, con un’afa tremenda e in uno stabile fatiscente, è il declassamento ad operaie non qualificate. La protesta divamperà in un incendio, uno sciopero ad oltranza di 3 settimane che metterà in ginocchio non solo la produzione della Ford ma anche le relazioni politico-industriali nazionali e internazionali, riuscendo a conquistare il diritto alla parità retributiva anche dal punto di vista giuridico con la legge “equality pay act” del 1970.
Protagonista della battaglia salariale e leader improvvisata della protesta è Rita O’Grady (la superba Sally Hawkins), una operaia minuta ma sanguigna e combattiva capace di trascinare le compagne alla lotta ma
anche di sostenerle e rincuorarle nei momenti di difficoltà. Prima di essere operaie, infatti, le protagoniste sono donne, fiere e solidali, con il peso della famiglia e dei pregiudizi sulle spalle ed una parità coniugale da
conquistare assieme a quella retributiva. Donne moderne e vitali che vestono colori sgargianti e ballano il rock ‘n roll, opposte all’opportunismo pavido dei grigi sindacalisti e al maschilismo di una società conservatrice poco disposta ad accettare il progresso sociale. Con lo sciopero infatti si incrinano anche i rapporti familiari e i delicati equilibri nelle relazioni coniugali. Ma alla fine le donne sono comunque protagoniste del loro destino, non solo le battagliere operaie che rivoluzioneranno i diritti del mondo del lavoro, anche la moglie del dirigente della Ford, laureata ad Oxford e relegata a casalinga obbediente, trova la forza di ribellarsi, e la ministra Barbara Castle prima si dimostra ostile poi disposta a concedere alle lavoratrici i diritti che legittimamente reclamano.
Difficile non apprezzare We want sex, improbabile uscire dalla sala senza il sorriso sulle labbra. E’ una commedia che unisce passione civile ed ironia senza mai apparire retorica, assumendo a tratti anche il tono della favola moderna. Emoziona la semplicità e la sincerità di Rita O’Grady ma soprattutto il fatto che le protagoniste sono vere, autentiche come i loro sentimenti, le loro frustrazioni ed i problemi quotidiani e familiari che devono affrontare. Non lottano per la rivoluzione ma per i loro diritti e il futuro delle loro famiglie. Molte comparse utilizzate nelle scene dello sciopero sono vere operaie che hanno perso il lavoro nella fabbrica gallese dismessa dove sono state girate la maggior parte delle riprese. Come sono autentiche le arzille ex-lavoratrici che compaiono nei titoli di coda, fatte sfilare al festival del Cinema di Roma al posto delle attrici del film. E questo è un ulteriore merito del regista Nigel Cole, capace di confezionare una commedia impegnata sul mondo del lavoro assolutamente riuscita e credibile pur senza entrare nel terreno, più naturale per queste tematiche, del dramma sociale o del pessimismo politico alla Ken Loach. Certo, la sensazione che si ha è quella di un mondo che non c’è più, e non per le pettinature anni 70 o i vestiti vintage, quella società guardava ancora al futuro con ottimismo, con la speranza e la voglia di credere che il domani sarebbe stato migliore.
Forse We want sex piace proprio per questo, perchè in questo momento storico drammatico dove è difficile immaginare un futuro migliore trasmette la nostalgia di un’epoca lontana, dove si credeva ancora nell’idea, magari semplice e banale, di lottare per cambiare il mondo non in nome di ideologie astratte ma, come di dice Rita O’Grady, “perché è giusto!”.
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