fabrizio cirnigliaro
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lunedì 19 ottobre 2009
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un attesa lunga 3 mesi
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Nella vita di tutte le mamme, dei genitori in generale, che aspettano un figlio, l'attesa durante la gravidanza è uno spazio superato il quale si va accapo, iniziando una nuova riga, una nuova vita. Per le mamme come Maria, che vivono gli ultimi mesi della gravidanza con il figlio non nella loro pancia, ma dentro un incubatrice l'attesa e le preoccupazioni si moltiplicano all'ennesima potenza. Lo spazio Bianco e’ il film meno politico della regista di A Casa nostra, il più intimista, se si esclude il documentario Carlo Giuliani Ragazzo.
Un ottimo cast ruota intorno a Margherita Buy, che si mette a nudo, in tutti i sensi. Niente crisi isteriche, a parte lo sfogo conto il dottore, che hanno caratterizzato i personaggi interpretati precedentemente dall’attrice romana
La colonna sonora è strepitosa, ne prende parte anche Margherita Buy cantando Senza Fine a cappella, ma soprattutto c’è anche la voce di Nina Simone, con la canzone I wish I knew it would feel to be free, il cui testo parla di libertà.
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Nella vita di tutte le mamme, dei genitori in generale, che aspettano un figlio, l'attesa durante la gravidanza è uno spazio superato il quale si va accapo, iniziando una nuova riga, una nuova vita. Per le mamme come Maria, che vivono gli ultimi mesi della gravidanza con il figlio non nella loro pancia, ma dentro un incubatrice l'attesa e le preoccupazioni si moltiplicano all'ennesima potenza. Lo spazio Bianco e’ il film meno politico della regista di A Casa nostra, il più intimista, se si esclude il documentario Carlo Giuliani Ragazzo.
Un ottimo cast ruota intorno a Margherita Buy, che si mette a nudo, in tutti i sensi. Niente crisi isteriche, a parte lo sfogo conto il dottore, che hanno caratterizzato i personaggi interpretati precedentemente dall’attrice romana
La colonna sonora è strepitosa, ne prende parte anche Margherita Buy cantando Senza Fine a cappella, ma soprattutto c’è anche la voce di Nina Simone, con la canzone I wish I knew it would feel to be free, il cui testo parla di libertà.
Diversa è la liberta a cui si riferisca Gaetano (interpretato magistralmente da Salvatore Cantalupo) nel tema che compone per l’esame, descrivendo il suo stato d’animo dopo aver perso 3 dita della mano destra in un incidente a lavoro “anche se scrivo con la sinistra, io però alla mano destra ho sempre 3 dita in meno. Che sono la mia libertà, perché la mia normalità di prima era una pietra”
Maria riesce a riconoscere se stessa in queste parole, lei donna indipendente che da un giorno all’altro si ritrova ad aspettare tutto il giorno un segnale dai monitor che vigilano sulle condizione della figlia, rinchiusa in un limbo in cui non si vede un’uscita. Una lunga attesa, uno spazio bianco che appare infinito, soprattutto per chi come la protagonista della pellicola, non sa aspettare.
Maria inizialmente si chiude in se stessa, non sa aspettare, e spera che accada qualcosa, qualsiasi cosa. Lei non ritiene di essere stata fortunata, come Mina, perché “le altre mamme si sono dovute accontentare dell’ecografia: noi stiamo vedendo tutto dal viva.” La Comencini dimostra di aver amato il romanzo di Parrella, anche se non resta fedele alla trama, inserisce nel film i dialoghi e le scene più belle.
Ad esempio il disagio che provano Mina e Maria facendo shopping alla Prenatal, dove non trovano dei body adatti ai loro figli (troppo piccoli), o il dialogo fra Fabrizio e Maria sull’utilità o meno di far leggere Manzoni a degli adulti che hanno serie difficoltà a parlare l’italiano.
Una pellicola intimista, che affronta senza cadere nella retorica un argomento delicato, senza fare demagogia, e riuscendo a mantenere alta la tensione per tutti i 98 minuti. Un film emozionante e mai banale, da guardare tutto d’un fiato e che visto dal divano di casa non permetterebbe la totale partecipazione emotiva dello spettatore, perché non sono concesse distrazioni.
Forse avrebbe meritato la candidatura all’Oscar, ma le leggi del mercato si sa, favoriscono le pellicole che hanno una grande casa produttrice alle spalle, almeno qui in Italia. Molti davano anche per scontata l’assegnazione della coppa Volpi a Margherita Buy per la grande interpretazione in questa pellicola, cosa che però non è avvenuta. Forse lo spazio bianco alla voce "Premi ricevuti" sarà riempita dai David di Donatello, ma per scoprirlo è ancora troppo presto, bisognerà aspettare.
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annelise
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lunedì 15 febbraio 2010
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l'attesa è come uno spazio bianco nella vita
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Una donna attende una figlia , frutto di una passione, in età matura ,per un uomo più giovane.Lui non ne vuole sapere e lei inizia questo percorso da sola con il conforto affettuoso di un collega e l'attenzione sincera dei suoi alunni di una scuola per lavoratori.Questi personaggi sostituiscono una famiglia che non ha più e fanno da cornice agli eventi dolorosi che si susseguono.Alla perdita dell'amore si aggiunge,infatti,il parto pretermine e la conseguente attesa di fronte all'icubatrice in cui la bimba starà due mesi.Lei attende quotidianamente una risposta che non arriva perchè vorrebbe essere aiutata a non perdere la speranza.Si chiede se la figlia possa finalmente "nascere",se può avere una concretezza,oppure se si troverà ad affrontare la morte o se già è morte.
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Una donna attende una figlia , frutto di una passione, in età matura ,per un uomo più giovane.Lui non ne vuole sapere e lei inizia questo percorso da sola con il conforto affettuoso di un collega e l'attenzione sincera dei suoi alunni di una scuola per lavoratori.Questi personaggi sostituiscono una famiglia che non ha più e fanno da cornice agli eventi dolorosi che si susseguono.Alla perdita dell'amore si aggiunge,infatti,il parto pretermine e la conseguente attesa di fronte all'icubatrice in cui la bimba starà due mesi.Lei attende quotidianamente una risposta che non arriva perchè vorrebbe essere aiutata a non perdere la speranza.Si chiede se la figlia possa finalmente "nascere",se può avere una concretezza,oppure se si troverà ad affrontare la morte o se già è morte.I medici le chiedono pazienza e non possono dare risposte per molti lunghi ed interminabili giorni.Il film fa dell' attesa il tema centrale.
L'attesa diventa una sospensione dei progetti,del lavoro,dei rapporti,la sospensione di una vita.Margherita Buy interpreta con sentimento e passione questo personaggio tenero , disincantato e altre volte polemico e tenace che congela per due mesi una vita già poco soddisfacente.Gli altri personaggi,seppure umili e di poca cultura,quali le donne\madri del reparto prematuri, che regalano senso pratico e affetto, sono rappresentati con delicatezza ed attenzione.
Napoli,poi,recita la sua parte con le vedute tra le case diroccate ,i vicoli , le scene di un'assordante cerimonia di una Comunione ,la fatiscenza degli edifici scolastici ed i problemi del lavoro.
Un'altra donna sola è il magistrato,vicina di casa, che sacrifica alcuni anni della sua vita per amore della giustizia e della coerenza. Nel film convivono donne tanto diverse che si parlano,si confortano,si osservano e creano solidarietà.
Il tema trattato è di per sè molto particolare ed è affrontato con molta intensità e tensione tanto da creare un'attesa partecipata degli eventi anche nello spettatore.
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ciccio capozzi
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giovedì 22 ottobre 2009
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una napoli cornice di vita e di speranza
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“LO SPAZIO BIANCO” di FRANCESCA COMENCINI; ITA,09. Maria, quarantenne single, è alle prese con una maternità prematura: sua figlia è in un’incubatrice, in “uno spazio bianco” tra la nascita e il nulla. Tratto dal bel romanzo della napoletana Valeria Parrella, è un bellissimo film. La regista, anche sceneggiatrice insieme a Federica Pontremoli, ha “scorporato” i passaggi emotivi, sganciandoli dalla levità insidiosa della parola, investendoli di una visualità-vita loro autonoma nella realtà quotidiana, materiale. Ma anch’essa come privata della pesantezza pervadente: era come illuminata dall’interno, in un ambiente fisico circostante, identificabilissimo, ma non occludente. La Napoli ricostruita è una città interna al cuore, correlata alla disperata, annaspante, ma eroica e forte volontà di vita che circonda la protagonista e la sua figlioletta; che, non a caso, è chiamata Irene, cioè “pace”, equilibrio, nuova volontà di ri-affrontare un futuro pieno di incognite.
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“LO SPAZIO BIANCO” di FRANCESCA COMENCINI; ITA,09. Maria, quarantenne single, è alle prese con una maternità prematura: sua figlia è in un’incubatrice, in “uno spazio bianco” tra la nascita e il nulla. Tratto dal bel romanzo della napoletana Valeria Parrella, è un bellissimo film. La regista, anche sceneggiatrice insieme a Federica Pontremoli, ha “scorporato” i passaggi emotivi, sganciandoli dalla levità insidiosa della parola, investendoli di una visualità-vita loro autonoma nella realtà quotidiana, materiale. Ma anch’essa come privata della pesantezza pervadente: era come illuminata dall’interno, in un ambiente fisico circostante, identificabilissimo, ma non occludente. La Napoli ricostruita è una città interna al cuore, correlata alla disperata, annaspante, ma eroica e forte volontà di vita che circonda la protagonista e la sua figlioletta; che, non a caso, è chiamata Irene, cioè “pace”, equilibrio, nuova volontà di ri-affrontare un futuro pieno di incognite. La capacità di fare un cinema trasognato ma tangibile e intimo, nello stesso tempo, è il tratto stilistico più evidente dell’autrice. Senza l’attrice Margherita Buy, probabilmente, il film non avrebbe avuto tutte quelle consonanze e sfumature segrete tra le due esistenze in bilico, e le altre in cerca, come il “collettivo” dei suoi studenti e delle altre mamme dell’ospedale.
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joeblack
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mercoledì 21 ottobre 2009
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“lo spazio bianco”: ritratto di un cinema vitale
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Il cinema italiano di alto livello non è scomparso.
Esistono ancora registi ed attori capaci di misurarsi col modello cinematografico d’oltre oceano e reggere magnificamente il confronto; “Baarìa”, il quale si allinea a certi stilemi tipici del mondo hollywoodiano sul piano tecnico, è l’esempio lampante. “Lo spazio bianco”, la riprova.
Il film della Comencini merita tuttavia un’attenzione particolare, poiché rappresenta un prodotto di grandissimo spessore pur non mutuando alcuna impostazione formale di stampo internazionale e conservando, invece, le caratteristiche tipiche della nostra cinematografia, nelle forme e nei contenuti. Ritornano le caratterizzazioni di personaggi e l’ambientazione di provincia (quella napoletana), una sceneggiatura dall’inflessione linguistica dialettale piuttosto marcata, la fotografia e la regia abituali del cinema nostrano (ciò che varia in Tornatore).
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Il cinema italiano di alto livello non è scomparso.
Esistono ancora registi ed attori capaci di misurarsi col modello cinematografico d’oltre oceano e reggere magnificamente il confronto; “Baarìa”, il quale si allinea a certi stilemi tipici del mondo hollywoodiano sul piano tecnico, è l’esempio lampante. “Lo spazio bianco”, la riprova.
Il film della Comencini merita tuttavia un’attenzione particolare, poiché rappresenta un prodotto di grandissimo spessore pur non mutuando alcuna impostazione formale di stampo internazionale e conservando, invece, le caratteristiche tipiche della nostra cinematografia, nelle forme e nei contenuti. Ritornano le caratterizzazioni di personaggi e l’ambientazione di provincia (quella napoletana), una sceneggiatura dall’inflessione linguistica dialettale piuttosto marcata, la fotografia e la regia abituali del cinema nostrano (ciò che varia in Tornatore).
La differenza rispetto ad altri film italiani non sta dunque nella diversità, bensì nell’eccellenza della messa in atto degli stessi elementi costitutivi.
Tratta dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella, la pellicola racconta la storia di Maria (Margherita Buy), un’insegnante di italiano presso una scuola serale, con un divorzio alle spalle, che intrattiene una breve relazione con un giovane conosciuto durante uno dei suoi pomeriggi cinematografici e resta incinta. La donna si trova a dover gestire da sola questa difficile situazione, per di più esasperata da un parto prematuro: la bambina nasce, infatti, al sesto mese di gravidanza e deve essere posta in un’incubatrice per consentirne lo sviluppo e la maturazione.
Lo spazio bianco del titolo, dunque, è propriamente l’area monocromatica in cui l’apparecchiatura medica viene disposta ma si configura anche – e soprattutto – come lo spazio emotivo che si crea nell’animo di Maria, in cui alberga un sentimento a metà strada fra la paura e la forza nato dalla voglia di farcela e proseguire serenamente nella propria esistenza.
In un gioco che difficilmente perde di equilibrio, la Comencini riesce a calibrare ogni situazione proposta in modo delicatissimo, accostando alla caratterizzazione di una donna forte e solitaria, in costante contatto con personalità della piccola provincia partenopea, la dolcezza di un momento particolarissimo, in bilico fra emozioni contrastanti di impazienza ed attesa, senza mai scadere nel melanconico, nel “già visto” o nel drammatico vero e proprio. Si tratta cioè di una narrazione che sa alternare momenti di empatia e commozione ad altri più sereni e quasi divertenti, senza mai attraversare il confine né in un senso né nell’altro.
Ovviamente la parte della mattatrice la fa Margherita Buy, che dimostra una volta di più di essere fra le attrici migliori(se non la migliore in assoluto) che il nostro cinema abbia conosciuto negli ultimi anni. La naturalezza, la misura, l’umanità (in una parola, lo straordinario TALENTO) di cui è dotata le permettono di rendere sullo schermo un’interpretazione davvero emozionante e composta.
La regia articolata e varia - nella dinamica temporale scomposta (secondo un gusto che va imponendosi sempre di più anche da noi) come nel linguaggio narrativo (con echi vagamente onirici che fanno capolino da una struttura rigidamente realistica) – e una colonna sonora e una fotografia altrettanto ricercate fanno il resto, dando vita ad un prodotto capace di colpire contemporaneamente gli occhi ed il cuore dello spettatore.
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gianluca78
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giovedì 31 marzo 2011
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la vita e il suo senso più puro
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L'eterea bellezza di questo fiilm, risiede nella bravura ormai certificata di Margherita Buy, che dona l'amara concretezza sociale e un'aspra verosimiglianza con il reale.In una storia, fin troppo fuori dal comune popolare, per essere compresa da poterle dare il meritato successo al botteghino.Infine una messa in scena rigorosa, puntigliosa, che Francesca Comencini, conferisce.E ciò che si nota è che ci ha creduto, avvalendosi di un montaggio valido e di una forza rara nel cinema italiano:Passione.
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francesco2
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martedì 26 ottobre 2010
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un amore (così?) molesto
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A tanti anni di distanza dal bellissimo film di Martone, di nuovo Napoli, vista come mo(nu) mento di un travaglio che non riguarda, senza codici ghezziani, né il SENTIMENTO propriamente inteso(Sia o meno condiviso) né una SEMPLICE elaborazione del lutto. Anna Bonaiuto aveva sì subito una perdita, però l'indagine sulla morte della madre non si risolveva in un retorico rafforzamento successivo alla morte, ma alla NASCITA di una nuova persona che faceva i conti col passato, lo rielaborava in una fase attuale e, forse, capiva qualcosa di più anche di sé stessa.
Anche la Buy affronta una NASCITA col timore che si concretizzi nel suo esatto contrario, la morte; forse gioca sul suo stato d'animo anche il timore che, dopo la perdita dell'uomo amato, il decesso di una giovanissima "vita" finita prima di cominciare porti alle estreme conseguenze la perdita di una parte di sé stessa.
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A tanti anni di distanza dal bellissimo film di Martone, di nuovo Napoli, vista come mo(nu) mento di un travaglio che non riguarda, senza codici ghezziani, né il SENTIMENTO propriamente inteso(Sia o meno condiviso) né una SEMPLICE elaborazione del lutto. Anna Bonaiuto aveva sì subito una perdita, però l'indagine sulla morte della madre non si risolveva in un retorico rafforzamento successivo alla morte, ma alla NASCITA di una nuova persona che faceva i conti col passato, lo rielaborava in una fase attuale e, forse, capiva qualcosa di più anche di sé stessa.
Anche la Buy affronta una NASCITA col timore che si concretizzi nel suo esatto contrario, la morte; forse gioca sul suo stato d'animo anche il timore che, dopo la perdita dell'uomo amato, il decesso di una giovanissima "vita" finita prima di cominciare porti alle estreme conseguenze la perdita di una parte di sé stessa. Tuttavia, purtroppo, le differenze tra le due opere non si esauriscono certo qui. Quello del regista di "Noi credevamo" era un lavoro che non si rifaceva alla "Commedia all'italiana", nel senso che forse tutte, o quasi, le figure erano FUNZIONALI , senza concessioni al sorriso facile; nell'illustrare (Un pò tra le righe e un pò no) le cause di una MORTE evitava i bozzetti quasi, un pò per scherzo un pò per no, si rispettasse un DECESSO. Nel tentativo invece di illustrare una NASCITA (Che, ovviamente, non si sa se avverrà), la Comencini non sempre punta sul travaglio psicologico della Buy, ma inserisce personaggi come la ragazza che esclama: "Caspitona, una professoressa"!, che ci fa ripiombare nei malinconici meambri delle desolanti fiction della domenica-sera. E non parliamo delle scene ambientate nella scuola, dove si cede di nuovo alla pura "Bizzarria"(?) quanto a dialoghi e situazioni descritte(Tranne una delle ultime scene, quelle dello "Spazio bianco" appunto). Né degli amori ed amorazzi che vive la protagonista, un'accanita fumatrice su cui tra l'altro all'inizio ci si sofferma con insistiti primi piani, manco fosse la prima parte di "Somewhere" della Coppola. Sapendo, come ho letto, che almeno una situazione viene praticamente inventata(Quella del magistrato-donna), e che una seconda, il trasferimento della classe della protagonista, forse lo è forse no, cogliamo le differenze tra la maturità del Martone e l'atteggiamento "artigianale" di questo film.
Che comunque, a parte il finale che può o meno piacere(Ma che regala un'ultimissima scena tecnicamente ineccepibile), ha anche dei pregi: la panoramica, bianca come la neve, sulle stanze dell'ospedale destinate ai nascituri, un'idea purtroppo insolita per il nostro cinema. Oppure la bella canzone che fa da colonna sonora, "Where is my love": che forse illustra lo SMARRIMENTO della Buy per sé stessa(L'amore che non riesce a dare), ed i timori per la figlia(UN OGGETTO di amore che potrebbe non nascere). Ed ancora, in questo senso, la scena in cui la donna stessa sceglie questo pezzo tra altri per una situazione che non ricordo bene(Scusate, ma avrò visto il film una quindicina di giorni fa).
Ma oltretutto, la Comencini ed i suoi sceneggiatori sono bravi a suggerire il bianco in vari momenti del film, da un palazzo in costruzione al quaderno alla stanza dei nascituri: non, forse, come generico "Elogio della purezza", ma come INDEFINITEZZA, mancanza di un colore definito. Come la protagonista, del resto. E come il nostro cinema, che ancora una volta è un alunno che promuovo per la buona volontà.
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gianluca78
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giovedì 31 marzo 2011
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la vita e il suo senso più vero
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Il film si avvale di tre caratterisstiche peculiari. tali da renderlo emozionante.La bravura ormai sempre più eccletica, di Margherita Buy, la regia di Francesca Comencini rigida, attenta ai particolari, mai banale, infine ad una messa scena rigorosa, concreta che rende il tutto unico.
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lisarimuricev
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sabato 24 ottobre 2009
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lo spazio di tutta una vita
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In concorso all’ultima Biennale del Cinema di Venezia, Lo spazio bianco è l’ultimo film di Francesca Comencini. Un cognome importante, il suo: sorella di Cristina (regista de La bestia nel cuore), ma soprattutto figlia di quel Luigi Comencini di diritto nella storia del Cinema italiano in quanto autore di molti film della commedia all’italiana degli anni ’50 e ’60 (si veda la serie di Pane, amore e…). Una vita, insomma, passata a stretto contatto con la settima arte e di cui questo Lo spazio bianco sembra essere un buon traguardo: lontano da molti schemi, soprattutto da quelli di certo cinema italiano che non sa raccontare delle storie personale senza evitare pietismi e -il che è ben peggio- senza mai riuscire a coniugare queste storie (spesso sofferte) con un cinema moderno.
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In concorso all’ultima Biennale del Cinema di Venezia, Lo spazio bianco è l’ultimo film di Francesca Comencini. Un cognome importante, il suo: sorella di Cristina (regista de La bestia nel cuore), ma soprattutto figlia di quel Luigi Comencini di diritto nella storia del Cinema italiano in quanto autore di molti film della commedia all’italiana degli anni ’50 e ’60 (si veda la serie di Pane, amore e…). Una vita, insomma, passata a stretto contatto con la settima arte e di cui questo Lo spazio bianco sembra essere un buon traguardo: lontano da molti schemi, soprattutto da quelli di certo cinema italiano che non sa raccontare delle storie personale senza evitare pietismi e -il che è ben peggio- senza mai riuscire a coniugare queste storie (spesso sofferte) con un cinema moderno.
Maria, insegnante quarantenne d’italiano presso una scuola serale a Napoli, rimane incinta: dapprima è indecisa se tenere o meno il bambino (il suo compagno è contrario), ma poi, presa la decisione, il bambino nasce: prematuro di sei mesi. Di fronte all’indifferenza dei medici che assistono lei e le altre madri in attesa nel reparto prematuri, dovrà attendere cinquanta giorni per sapere se sua figlia sopravviverà o meno.
La storia de Lo spazio bianco procede evitando attentamente ogni sviluppo di troppo, preferendo una costruzione per ellissi e flashback, nella quale il personaggio della bravissima Margherita Buy sembra affondare passo dopo passo: il suo è invece un processo di avvicinamento, lento e faticoso, che le insegnerà (forse) cosa sia la maternità, così come le insegnerà a crescere ed a diventare una persona diversa. Un percorso, il suo, raccontato con un montaggio più attento a sottolineare metafore e processi psicologici (della protagonista), che a tracciare una linea netta su cui lo spettatore possa posare lo sguardo per vedere cosa sia più importante ai fini della storia. Un buon esempio, insomma, di come il montaggio sappia essere enigma e soluzione di un film.
(di Michele Segala - www.periodicoitaliano.info)
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