osteriacinematografo
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domenica 22 gennaio 2012
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il lago dei ricordi
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Lungometraggio d’esordio del regista messicano Fernando Eimbke.
Paesino scarno e sperduto dello Yucatan: un ragazzino finisce con l’auto contro un palo, e deve prodigarsi per cercare qualcuno che ripari il guasto. Sembra un paesino fantasma, in cui le persone appaiono e scompaiono, e sarà un’impresa trovare il pezzo giusto per ricomporre l’insieme. In realtà il sedicenne Juan sta elaborando la morte del padre, e i suoi approcci tentennanti, i suoi disagi, sono dettati dal lutto recente che ne ha minato la stabilità. La sua ricerca è il pretesto per un percorso di crescita e distacco.
Eimbke indugia a lungo su paesaggi e persone, si prende tutto il tempo di mostrarne la piega ben definita, di sottolinearne la flemma e l’indolente e apatico approccio al contingente, mantenendosi fedele a tale impostazione fino alla fine.
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Lungometraggio d’esordio del regista messicano Fernando Eimbke.
Paesino scarno e sperduto dello Yucatan: un ragazzino finisce con l’auto contro un palo, e deve prodigarsi per cercare qualcuno che ripari il guasto. Sembra un paesino fantasma, in cui le persone appaiono e scompaiono, e sarà un’impresa trovare il pezzo giusto per ricomporre l’insieme. In realtà il sedicenne Juan sta elaborando la morte del padre, e i suoi approcci tentennanti, i suoi disagi, sono dettati dal lutto recente che ne ha minato la stabilità. La sua ricerca è il pretesto per un percorso di crescita e distacco.
Eimbke indugia a lungo su paesaggi e persone, si prende tutto il tempo di mostrarne la piega ben definita, di sottolinearne la flemma e l’indolente e apatico approccio al contingente, mantenendosi fedele a tale impostazione fino alla fine.
Il film è autobiografico, e il regista sovrappone spesso schermate nere a prolungati fermi immagine, come se i fotogrammi fossero diapositive, singoli estratti mnemonici, lampi istantanei che illuminano a giorno il cielo dei ricordi in tempesta -in alternanza ai passaggi dimenticati, a quei buchi neri che rimangono eternamente tali nel processo di reminiscenza.
L’opera è -forse- il modo in cui il regista riscatta un passato di dolore, in cui mostra se stesso bambino nella difficoltà di riorganizzarsi. Troverà la giusta solidarietà fra i suoi coetanei, e la forza in piccoli reciproci gesti di comprensione che ne faciliteranno la rapida mutazione, il cambio di pelle, il salto triplo nella dimensione adulta.
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alearmando
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domenica 5 dicembre 2010
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perché il tempo non esiste, ma le cose accadono
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A partire dalle versioni del titolo (Sul lago Tahoe/Lake Tahoe/Te acuerdas de Lake Tahoe?) siamo davanti a un film che ci disloca in modo imprevedibile nello spazio. Dove siamo? Dov'è il lago? Che popolo è mai questo? Una sequenza di cartoline in scena fissa, quasi delle diapositive, dividono lo spazio del film. Perché di uno spazio si tratta, non di un divenire temporale: non c'è tempo, dentro le cesure nere che dividono la pellicola. Pochi esseri umani, molto giovani o molto vecchi, stanno, compresenti su queste scene fisse. Non c'è distacco o compiacimento, ma piuttosto una pietà reciproca. Tutti si ascoltano nella loro indolenza, tutti si abbracciano. E gli incontri, circolarmente, riaccadono, dandoci la cadenza degli eventi come in un movimento labirintico, che ci fa ritrovare al punto di partenza.
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A partire dalle versioni del titolo (Sul lago Tahoe/Lake Tahoe/Te acuerdas de Lake Tahoe?) siamo davanti a un film che ci disloca in modo imprevedibile nello spazio. Dove siamo? Dov'è il lago? Che popolo è mai questo? Una sequenza di cartoline in scena fissa, quasi delle diapositive, dividono lo spazio del film. Perché di uno spazio si tratta, non di un divenire temporale: non c'è tempo, dentro le cesure nere che dividono la pellicola. Pochi esseri umani, molto giovani o molto vecchi, stanno, compresenti su queste scene fisse. Non c'è distacco o compiacimento, ma piuttosto una pietà reciproca. Tutti si ascoltano nella loro indolenza, tutti si abbracciano. E gli incontri, circolarmente, riaccadono, dandoci la cadenza degli eventi come in un movimento labirintico, che ci fa ritrovare al punto di partenza. E mentre il mondo è fermo, o al massimo gira su sé stesso, noi scopriamo gli eventi, intensi e drammatici, che possono avere luogo anche senza il tempo. Li dobbiamo ammettere in un percorso à rebours, rileggendo dalla fine all'inizio lo scorrere delle cartoline: per capire che non avevamo capito, che eravamo altrove, e che il cinema, come l'umanità, può esistere pienamente anche fuori dal canone occidentale.
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vittorio
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lunedì 15 febbraio 2010
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che rottura!!
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Film lentissimo, con dei dialoghi assurdi e delle scene prive di ogni significato!!
Un film alla ricerca di un pezzo per una macchina in un paese al di fuori del mondo.......
Ma vi prego!! Una noia mortale....
Adatto per chi soffre di insonnia...
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méliès
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lunedì 7 settembre 2009
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la fuga del giovane juan
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Inquadrature fisse su luoghi desolati, polverosi e assolati a cui si alterna ritmicamente il buio di un ipnotico schermo nero, introducono e accompagnano lo spettatore in un villaggio messicano dello Yucatan, teatro della vicenda che vede protagonista un ragazzo, di nome Juan, di sedici anni. Dopo avere sbattuto contro un palo con la macchina del padre, Juan è costretto a risolvere da solo il problema, non avendo avuto esito la telefonata fatta a casa, e a cercare un’officina per la riparazione del danno al motore. Un anziano meccanico che vive in compagnia di un cane, una giovane madre appassionata di musica che vende ricambi per macchine, un coetaneo patito di arti marziali concorrono alla soluzione del problema; questi incontri sono, al contempo, l’appiglio a cui aggrapparsi per superare lo stato d’animo che tormentano il giovane, offrono un aiuto inconsapevole ad una condizione che lo opprime: suo padre è morto.
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Inquadrature fisse su luoghi desolati, polverosi e assolati a cui si alterna ritmicamente il buio di un ipnotico schermo nero, introducono e accompagnano lo spettatore in un villaggio messicano dello Yucatan, teatro della vicenda che vede protagonista un ragazzo, di nome Juan, di sedici anni. Dopo avere sbattuto contro un palo con la macchina del padre, Juan è costretto a risolvere da solo il problema, non avendo avuto esito la telefonata fatta a casa, e a cercare un’officina per la riparazione del danno al motore. Un anziano meccanico che vive in compagnia di un cane, una giovane madre appassionata di musica che vende ricambi per macchine, un coetaneo patito di arti marziali concorrono alla soluzione del problema; questi incontri sono, al contempo, l’appiglio a cui aggrapparsi per superare lo stato d’animo che tormentano il giovane, offrono un aiuto inconsapevole ad una condizione che lo opprime: suo padre è morto. Juan conclude, il mattino dopo, il suo peregrinare e torna finalmente in casa sua per restare. Il termine della storia si propone come il tassello finale dei singoli episodi che si sono succeduti fin a quel momento, in sequenza, svela il significato del titolo e aiuta a toccare le corde interiori del protagonista, capace di elaborare il lutto per la perdita del padre e di superare l’incapacità, l’impotenza di sostenere la sofferenza della madre e la fragilità del fratello minore. Il film ha concorso al Festival di Berlino 2008, riscuotendo ottime critiche, merito del regista Fernandez Eimbcke che ha saputo utilizzare uno stile personale, che indaga con discrezione i tormenti e la rabbia del giovane Juan, un adolescente costretto a crescere.
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paolorol
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mercoledì 2 settembre 2009
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così scorre il tempo in messico
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Il fascino di questo film è costituito dalla lentezza, che bene rispecchia lo scorrere del tempo nelle sonnolente cittadine della provincia messicana, poco più di aggregati di case fatiscenti e apparentemente deserte. Il regista spezza continuamente l'azione con istanti,neppure troppo brevi, di schermo nero, nel quale l'audio evoca e suggerisce più delle immagini. Il limite del film è però allo stesso tempo proprio l'eccesso di lentezza, e quel minimalismo che, all'inizio affascinante, finisce per diventare un pò troppo fine a sè stesso e soporifero. Molti bei ritratti, forse più che ritratti schizzi, compreso quello del ragazzino protagonista, "volutamente" piuttosto inespressivo.
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