Carcerato e carceriere si scambiano i ruoli
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Figlio di un capo tribù, laureato in legge, oppositore del regime razzista sudafricano instaurato nel '48 come leader del non violento African National Congress, partito dal '60 fuorilegge e quindi convertito alla lotta militare, dal 1962 fino al 1990 Nelson Mandela ha subito la detenzione più lunga mai subita da un leader politico di questo livello.
Questa personalità imponente, che è riuscita a traghettare il suo paese da un regime infame alla democrazia, viene raccontata attraverso uno sguardo laterale in Il colore della libertà - Goodbye Bafana. La testimonianza dell'oscuro carceriere che per tutto quel tempo gli è stato vicino. James Gregory, dalle cui memorie il racconto è tratto. Il film non è tanto il percorso di Mandela dalla privazione della libertà a presidente della sua nazione, quanto il percorso di Gregory che da carceriere, da detentore del potere d'imposizione, d'isolamento, di privazione, di umiliazione - attraverso il "contagio" e la coscienza che ne prende - diventa lui il carcerato, l'isolato, l'impotente. Chi ha bisogno di prendere lezioni. Il carcerato è il vero uomo libero, il liberatore del carceriere.
Le biografie di uomini importanti e il ricorso alle "storie vere" non sono di per sé un passaporto di riuscita cinematografica. Anzi. Il pregio di questo caso sta nella dignità sommessa e nel giusto tono. Nell'evitare la retorica altisonante, strappalacrime o trionfalistica, della biografia esemplare ed edificante, edulcorata, romanzata, santificata. E quindi risponde anche a un criterio di utilità.
Da La Repubblica, 30 marzo 2007
di Paolo D'Agostini, 30 marzo 2007