Il segreto di Rahil

   
   
   

cielo di bagdad

di sara accorsi


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venerdì 24 ottobre 2008

Cinzia racconta Rahil e basta. Racconta il destino italiano di una bambina irachena e mentre luoghi, tempi, personaggi sono così profondamente reali e caratterizzati, la storia di Rahil travalica se stessa superando ogni confine di tempo e spazio. Perché è questa l’intenzione di Cinzia. Fa leva sul conosciuto, su ciò che è più vicino culturalmente-emotivamente allo spettatore, per poi superarlo, rendendo Rahil figura di qualsiasi bambino che vive situazioni di costrizione per le scelte del genitore, che trova le sue fughe di felicità per vivere in quella serenità dell’infanzia per lui compromessa. Fughe ridicole agli occhi degli adulti, anche del pubblico adulto, ma vitali per la felicità. Ridicole, come ridicolo il cane che Rahil tinge di blu come blu è il cielo di Bagdad. D’azzurro limpido sono gli occhi di Cinzia e con limpidezza, lucidità, senza giudizi né vittimismi, la giovane regista racconta gli altri suoi personaggi. Racconta i gesti del papà di Rahil, a lui non serve un volto, lui impegnato ad accompagnare i kamikaze sulle linee ferroviarie, lui che dei gesti estremi ha fatto la sua battaglia, non ha bisogno di esser altro che un gesto. Racconta i traffici clandestini di armi in cui è coinvolto l’uomo che ha l’affidamento di Rahil in Italia, racconta la freddezza e il distacco e la prepotenza con cui si infila nei traffici così come nel letto della compagna così come nella difesa di Rahil con i bimbi del quartiere. Racconta di Anna e, da donna, Cinzia la racconta in tutta la sua complessità e contraddizione. Cinzia conosce un’Anna vera e proprio quest’Anna inserisce nella storia; questa donna di periferia, i cui sogni sono raccolti nella triade “casa-garage-figlio”, che in nome di questo sogno sposa un uomo pieno di promesse ma vuoto di sentimenti, trova un’amante che le offre solo calore effimero e temporaneo, cerca l’abbraccio di quella bambina che ha accettato in casa solo per denaro e che ha sempre disprezzato quando si sente abbandonata. Il padre, il patrigno. Anna, i bimbi del quartiere, la donna che vive abusiva in un vagone con il figlio, la famiglia curda, tutti personaggi che Rahil incontra nel suo viaggio. Rahil, che già nel nome ha il destino segnato, quel nome che significa nomade, qual nome che ha in sé il senso del movimento, dell’andare avanti, quel nome che porta Rahil a camminare sui binari, in equilibrio, un passo avanti all’altro, avanzando, cadendo, ricominciando. Un gioco di costanza, di tenacia, come tenacemente attaccata alla vita è Rahil, che rimasta sola dopo che Anna e il patrigno vengono ammazzati dalle regole del contrabbando, continua a camminare con il suo cane blu cielo di Bagdad e ripetendo quei gesti di casa propria, come seguire suo papà, chinarsi sui binari del treno e avvisarlo appena sente che il treno sta per arrivare. Una bambina tenace Rahil, come tenace la volontà di Cinzia, il suo desiderio di realizzare un lungometraggio, il suo coraggio di autoprodurlo, la sua organizzazione su quel set durato tre settimane con un budget di cinquanta mila euro, il suo sfidare i tempi bui e gli spazi stretti per l’arte e la creatività.

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