alberto86
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mercoledì 22 febbraio 2006
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novita'in campo thriller
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Cosa succede se si mettono insieme un veterano della spy story come Sydney Pollack e due delle star più quotate della nuova Hollywood?Ne vien fuori "The interpreter",il bel film politico ed attuale di Pollack,che conferma che,pur col passar del tempo,la sua capacità di fare buoni thriller è rimasta intatta.Ricordiamo infatti che Pollack è il regista del grande "I 3 giorni del Condor",film entrato meritatamente nell'elenco dei cult movie americani. Stavolta sembra quasi che Pollack abbia voluto dare un set naturale,che era impossibilitato ad avere all'epoca della sua realizzazione,a "Intrigo internazionale"di re Hitchcock,girando il primo film della storia del cinema nell'edificio delle Nazioni Unite (gran primato direi,visto che anche la location in un film ha la sua parte d'importanza!).
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Cosa succede se si mettono insieme un veterano della spy story come Sydney Pollack e due delle star più quotate della nuova Hollywood?Ne vien fuori "The interpreter",il bel film politico ed attuale di Pollack,che conferma che,pur col passar del tempo,la sua capacità di fare buoni thriller è rimasta intatta.Ricordiamo infatti che Pollack è il regista del grande "I 3 giorni del Condor",film entrato meritatamente nell'elenco dei cult movie americani. Stavolta sembra quasi che Pollack abbia voluto dare un set naturale,che era impossibilitato ad avere all'epoca della sua realizzazione,a "Intrigo internazionale"di re Hitchcock,girando il primo film della storia del cinema nell'edificio delle Nazioni Unite (gran primato direi,visto che anche la location in un film ha la sua parte d'importanza!). Pollack ci sa fare e si serve di 2 bravi protagonisti per tessere un film teso ed avvincente,che non molla mai la presa e funziona come un motore ben oleato! Al regista bastano poche scene esplosive,grandiose o super-action per dar vita ad un thriller coi fiocchi,mai prevedibile,mai scontato e con uno sguardo attento e partecipe alla psicologia dei personaggi. E forse è questo l'aspetto più interessante di "The interpreter",che delinea le personalità danneggiate,i drammi,i timori,le remore dei suoi protagonisti che per questo ci fanno appassionare e coinvolgere maggiormente alla vicenda.Pur non essendo perfetto e cadendo,a mio parere,forse leggermente nel finale,un po' troppo forzato,"The interpreter"è un bel film,anzi...un bel thriller!E questo è un grande anzi grandissimo pregio proprio perchè il thriller è uno di quei generi cinematografici sicuramente più malconci e scarsamente innovativi del panorama filmico di oggi. E' difficile oggi trovare nelle sale un film che regali suspance ed emozione,che parli di attualità e di politica,senza mai perdere d'occhio i conflitti dell'anima...Bè "The interpreter"è una di queste rarità!3 stelle
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paola
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mercoledì 15 agosto 2007
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il ritorno del thriller
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L'ONU dovrebbe denunciare abusi di potere e disastri un po' ovunque, considerato che gli stessi USA hanno portato la guerra civile in Iraq. A parte questi scampoli di vita reale e di orrori politici, si parla pur sempre di un film e tale deve rimanere. Una spy story un po' di vecchio stampo e per questo affascinante, di quel fascino e di quelle atmosfere che tendiamo a dimenticare immersi nell'eccessivo realismo, o nella totale inverosimilità, alle volte, delle ultime pellicole uscite. Pollack è un grande regista e sa come mescolare gli ingredienti per un puro thriller molto curato nei dettagli (che però a volte, pare un po' che sfuggano alla vista) e nelle dinamiche psicologiche dei personaggi, a mio avviso molto bravi.
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L'ONU dovrebbe denunciare abusi di potere e disastri un po' ovunque, considerato che gli stessi USA hanno portato la guerra civile in Iraq. A parte questi scampoli di vita reale e di orrori politici, si parla pur sempre di un film e tale deve rimanere. Una spy story un po' di vecchio stampo e per questo affascinante, di quel fascino e di quelle atmosfere che tendiamo a dimenticare immersi nell'eccessivo realismo, o nella totale inverosimilità, alle volte, delle ultime pellicole uscite. Pollack è un grande regista e sa come mescolare gli ingredienti per un puro thriller molto curato nei dettagli (che però a volte, pare un po' che sfuggano alla vista) e nelle dinamiche psicologiche dei personaggi, a mio avviso molto bravi. La Kidman, abbagliante nella sua ambiguità, forse risulta un po' troppo forzata ad un certo punto. Non si può farle passare liscio il fatto che ha tenuto all'oscuro i servizi segreti e l'F.B.I. di tutti i suoi trascorsi, inevitabilmente legati a quell'evento che era stato messo in moto da lei stessa. Se avessero indagato più a fondo, non concedendole il lusso di sparire, di andare e di venire a suo piacimento, nella realtà non le avrebbero mai permesso di mettere piede all'ONU la notte prima del discorso del presidente di Matobo... vorrei tanto sapere chi mai le ha concesso l'opportunità di strisciare nel Palazzo, lei, super sospettata, e a quell'ora della notte per di più? E che razza di appostamento conducevano le più grandi polizie del Paese? Lei è fuggita come niente fosse, ed il killer era già dentro casa sua senza che nessuno se ne accorgesse...
D'accordo, non è il caso di essere iper-critici, altrimenti non se ne esce più. Il finale potevano evitarlo, però in effetti a quella donna avevano tolto tutto, anche la lucida speranza che riponeva nella diplomazia. L'amicizia e il sincero affetto dell'agente Keller la riporterà coi piedi per terra. Magari il lieto fine della vicenda si potesse realizzare sempre, e la voce della giustizia si levasse ogni giorno da quel Palazzo, simbolo della democrazia e della libertà che in ogni angolo e in ogni dove, ci viene negata.
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iuriv
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venerdì 8 settembre 2017
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senza infamia ne lode.
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Thriller fantapolitico pieno zeppo di grandi nomi, questo film ci racconta di come un'interprete dell'ONU si ritrovi ad ascoltare casualmente una conversazione per poi finire al centro di un intrigo internazionale. Pollack può contare su due calibri come Sean Penn e Nicole Kidman e decide di piazzarli al centro della scena, facendo girare loro intorno una vicenda piuttosto standard in grado di regalare qualche emozione, ma che per lo più se ne sta seduta senza offrire grossi scossoni. Il centro di gravità della storia sono i protagonisti, entrambi trovatisi soli al mondo dopo varie vicissitudini e capaci di costruire un'empatia forse basata proprio su tale condizione.
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Thriller fantapolitico pieno zeppo di grandi nomi, questo film ci racconta di come un'interprete dell'ONU si ritrovi ad ascoltare casualmente una conversazione per poi finire al centro di un intrigo internazionale. Pollack può contare su due calibri come Sean Penn e Nicole Kidman e decide di piazzarli al centro della scena, facendo girare loro intorno una vicenda piuttosto standard in grado di regalare qualche emozione, ma che per lo più se ne sta seduta senza offrire grossi scossoni. Il centro di gravità della storia sono i protagonisti, entrambi trovatisi soli al mondo dopo varie vicissitudini e capaci di costruire un'empatia forse basata proprio su tale condizione. In realtà la simbiosi non funziona gran che bene e il loro rapporto, prima professionale, poi di amicizia sempre più tendente verso qualcosa di tenero, appare un po' forzato nell'economia del tutto. A dire il vero il personaggio portato in scena da Kidman mi è parso manipolatore, capace cioè di sfruttare le debolezze dell'agente Penn a proprio vantaggio. La serie di eventi presenti nella parte finale, però, tendono a smentire questa mia teoria. Un peccato, perché i punti in cui l'interprete ha un comportamento ambiguo sono quelli che funzionano meglio. Tuttavia si sceglie un percorso per anime pulite, che finisce per rovinare l'aspetto torbido che avrebbe potuto garantire un filo di interesse alla vicenda. Esplosioni e alcune sparatorie non contribuiscono gran che a rendere frizzante la pellicola, che spesso si pianta in lunghi dialoghi poco originali e per nulla ispirati. Insomma un'opera che può anche risultare godibile, ma tutt'altro che memorabile.
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ernesto de maio
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giovedì 14 novembre 2013
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pollack decisamente sottotono
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Sydney Pollack in quarant'anni di attività ci ha regalato film stupendi, alcuni davvero indimenticabili, agli inizi sempre di denuncia sociale, poi ha toccato anche i toni del comico. Mi è sempre piaciuto tanto, in questo film però non convince, sembra assente.
Gli attori sembrano abbandonati a sè stessi, risultano monocordi.
Il sempre bravo (ma non stavolta) Penn è sempre ingrugnito e svagato. La Kidman indossa la stessa maschera dall'inzio alla fine.
Devo ammettere che non sono affatto invaghito della superstar australiana siliconata. Anzi, quanto più i registi la riprendono imbambolati e vorrebbero esaltare le sue doti di "grande bellezza", tanto più cede la sua bravura (Moulin Rouge!, Batman forever, Australia.
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Sydney Pollack in quarant'anni di attività ci ha regalato film stupendi, alcuni davvero indimenticabili, agli inizi sempre di denuncia sociale, poi ha toccato anche i toni del comico. Mi è sempre piaciuto tanto, in questo film però non convince, sembra assente.
Gli attori sembrano abbandonati a sè stessi, risultano monocordi.
Il sempre bravo (ma non stavolta) Penn è sempre ingrugnito e svagato. La Kidman indossa la stessa maschera dall'inzio alla fine.
Devo ammettere che non sono affatto invaghito della superstar australiana siliconata. Anzi, quanto più i registi la riprendono imbambolati e vorrebbero esaltare le sue doti di "grande bellezza", tanto più cede la sua bravura (Moulin Rouge!, Batman forever, Australia. . .). Quando le fanno fare davvero l'attrice, è certamente più artisticamente apprezzabile (The Hours, The Others, La macchia umana, Dogville).
L'unica cosa divertente del film è il modo in cui si sono evitate le inquadrature dei due protagonisti in piedi, l'una accanto all'altro. Per non far sfigurare Penn, accanto alla stangona, lo hanno appollaiato su balaustre alte due metri, oppure ecco che si parlano su una scalinata a quattro metri di distanza e lui ovviamente sta "al piano di sopra", e via così con altre ridicole soluzioni.
Ernesto
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readcarpet
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giovedì 4 settembre 2008
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the interpreter
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Silvia, traduttrice che lavora presso il Palazzo del Congresso dell’ONU. Sente una conversazione che non doveva sentire. Riguarda l’uccisione del dittatore dello Stato africano di Matobo. Si rivolge ai servizi segreti.
Si aprano le danze.
Non sconvolge l’opera ultima di Pollack (è morto quest’anno per chi non lo sapesse): thriller spionistico ordinato, con qualche buon momento (la scena del bus) qualche tentativo poco riuscito di trasmettere la guerra come metafora della vita (e la sofferenza delle persone, e la vendetta, e la giustizia e via così).
Nonostante la luminosa presenza di Nicole Kidman, di una bravura esagerata anche quando ha a che fare con un personaggio “costretto”. Ammetto di aver guardato il film solo perché c’era lei.
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Silvia, traduttrice che lavora presso il Palazzo del Congresso dell’ONU. Sente una conversazione che non doveva sentire. Riguarda l’uccisione del dittatore dello Stato africano di Matobo. Si rivolge ai servizi segreti.
Si aprano le danze.
Non sconvolge l’opera ultima di Pollack (è morto quest’anno per chi non lo sapesse): thriller spionistico ordinato, con qualche buon momento (la scena del bus) qualche tentativo poco riuscito di trasmettere la guerra come metafora della vita (e la sofferenza delle persone, e la vendetta, e la giustizia e via così).
Nonostante la luminosa presenza di Nicole Kidman, di una bravura esagerata anche quando ha a che fare con un personaggio “costretto”. Ammetto di aver guardato il film solo perché c’era lei. Forse sono innamorato… bah…
Mi ha deluso un po’ Penn (da leggere tutto attaccato: popèn!), ma in generale, pur non conoscendo il mestiere dell’attore, potrei azzardarmi a dire che non credo che fossero le caratterizzazioni più semplici del mondo: una traduttrice anglo-matobana che parla di tradizioni africane nella scintillante Manhattan, e un detective scettico e girovago che ha perso la moglie da due settimane. E sti cazzi…
Intendiamoci, come film è anche godibile, ma non andrei mai in giro a dire: “sai qual è un bel film? The interpreter!”.
E’ un compitino, niente di più. Anche un po’ alla vecchia maniera: prima parte oddioddioddio nessuno mi crede, seconda parte opporcapporcapporca tutti mi credono ma mi vogliono accoppare.
E il finale è decisamente stucchevole. Senza anticipare niente.
Penso che il film passerà alla storia solo per essere stato il primo (e finora l’unico) ad aver mostrato gli interni del Palazzo del Congresso (tra parentesi molto suggestivo come possibile luogo del delitto).
E sembra che Pollack, girando le ultime scene, se ne sia accorto, regalando una generosa panoramica delle sale e dei dintorni come a dire: “male che vada, il primo a girare qui dentro sono stato io, ricordatevelo!”.
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elia
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lunedì 19 dicembre 2005
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lezione di buonismo
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Ancora un altro film che pubblicizza la democratica civiltà americana, portatrice di pace , ragionevolezza e sentimenti puri. Poteva il film finire con la Kidman che spara al dittatore africano soddisfacendo in pieno la propria sacrosanta fame di vendetta? In questa lezione di politica estera da facoltà di storia, Pollack mostra come dovrebbe comportarsi ogni Stato per salvaguardare la pace interna ed internazionale. Sean Penn è sempre bravo, come la Kidman, e qui sta tutto il film. Il finale è prevedibile e agli amanti delle cose reali potrebbe dare anche un po' fastidio. Quando si ha tanto sangue freddo da minacciare per 5 minuti una persona con una pistola, l'eccesso adrenalinico e l'arrivo di fattori esterni alla situazione (l'entrata di Penn, portatrice di razionalismo) ti porta a sparare quasi d'istinto.
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Ancora un altro film che pubblicizza la democratica civiltà americana, portatrice di pace , ragionevolezza e sentimenti puri. Poteva il film finire con la Kidman che spara al dittatore africano soddisfacendo in pieno la propria sacrosanta fame di vendetta? In questa lezione di politica estera da facoltà di storia, Pollack mostra come dovrebbe comportarsi ogni Stato per salvaguardare la pace interna ed internazionale. Sean Penn è sempre bravo, come la Kidman, e qui sta tutto il film. Il finale è prevedibile e agli amanti delle cose reali potrebbe dare anche un po' fastidio. Quando si ha tanto sangue freddo da minacciare per 5 minuti una persona con una pistola, l'eccesso adrenalinico e l'arrivo di fattori esterni alla situazione (l'entrata di Penn, portatrice di razionalismo) ti porta a sparare quasi d'istinto.
Nel complesso guardabile.
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[+] non so quante volte hai impugnato una pistola tu..
(di larry)
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(di gioacchino)
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a.l.
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venerdì 9 dicembre 2005
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mitraglie e bisbiglii
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In “The interpreter”, l’ultima fatica di Pollack, regista statunitense di classici come “I tre giorni del condor”, la protagonista di origine africana, racconta una tradizione del suo Paese, il Moboto, stato simbolo, nella sua inesistenza sulle carte geografiche, della realtà traumatica di un intero continente: il colpevole di un omicidio viene abbandonato in mezzo a un lago; i parenti dell’uomo assassinato possono o lasciare che anneghi, o andare a salvarlo a nuoto, nel primo caso renderanno il mondo più giusto ma non cesseranno mai di portare il loro lutto, nel secondo accetteranno di vivere in un mondo in cui non esiste la giustizia in assoluto, ma avranno la pace dell’anima. La parabola riassume il vero senso delle pellicola: il thriller di stampo hitchcokiano viene sospinto quasi subito sullo sfondo dall’urgenza di dare risposte a domande che ieri come oggi assillano l’umanità costretta a fare scelte mai risolutive e indolori.
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In “The interpreter”, l’ultima fatica di Pollack, regista statunitense di classici come “I tre giorni del condor”, la protagonista di origine africana, racconta una tradizione del suo Paese, il Moboto, stato simbolo, nella sua inesistenza sulle carte geografiche, della realtà traumatica di un intero continente: il colpevole di un omicidio viene abbandonato in mezzo a un lago; i parenti dell’uomo assassinato possono o lasciare che anneghi, o andare a salvarlo a nuoto, nel primo caso renderanno il mondo più giusto ma non cesseranno mai di portare il loro lutto, nel secondo accetteranno di vivere in un mondo in cui non esiste la giustizia in assoluto, ma avranno la pace dell’anima. La parabola riassume il vero senso delle pellicola: il thriller di stampo hitchcokiano viene sospinto quasi subito sullo sfondo dall’urgenza di dare risposte a domande che ieri come oggi assillano l’umanità costretta a fare scelte mai risolutive e indolori. Il progresso è una strada lastricata di cadaveri, la torre di Babele poliglotta, il grattacielo dell’ONU, dove i popoli tutti si riuniscono in assemblea per decidere e risolvere fra compromessi ed accordi, è stata edificata e si mantiene in vita su genocidi e guerre. L’incisività etica del lungometraggio sta in un pacifismo risoluto quanto problematico, che non elude i dubbi scottanti e le ragioni obiettive di chi sostiene la superiorità delle armi sulle parole come strumento di difesa: gli stadi pieni di cadaveri, i liberatori trasformati in carnefici, gli autobus saltati per aria o le mine nascoste nei campi, pulizie etniche ed olocausti, terrorismo e politica inefficace, giustificano la violenza di chi cerca ossessivamente il dovuto risarcimento a mali inenarrabili nella loro atrocità? La prospettiva scelta da Pollack per mettere a fuoco il dilemma è quella individuale delle vittime anonime: l’attualità con il suo contorno di stragi e bombe sui tram è la premessa per un angoscioso percorso di dannazione e salvezza di due anime tradite senza loro colpa da vicende simili negli strascichi di rancore e dolore. L’interprete ha perso genitori e fratelli nel martirio del suo Paese, l’uomo soffre per la recentissima morte della moglie, uccisa dall’amante in un incidente d’auto. L’odio e il desiderio di vendetta sono reazione spontanea e comprensibile alle perdite e alle sofferenze, fra i singoli e fra i popoli, ovunque, ma costituiscono anche il campo neutro per l’intesa e il patto di fratellanza, la piazza ideale dove si collocano tribunali ed istituzioni, alternativa liberatoria alla barbarica spirale della legge del taglione e del sangue chiama sangue. Il salto dall’abisso alla civiltà, vero cuore pulsante del film, si incarna nell’ incessante e reciproca spoliazione e scoperta di sé da parte di una donna in pericolo e dell’uomo che dovrebbe proteggerla: un monologo a due, tormentoso, un balzo in avanti e uno indietro, un guardarsi da sponde opposte dello stesso fiume, la sospensione di un qualcosa di indefinibile, o amicizia o amore o solidarietà, fino all’incontro conclusivo, al dialogo…Il microcosmo a due rivela gli stessi farraginosi meccanismi di funzionamento del macrocosmo assembleare delle Nazioni: il travaglio è lo stesso, eterno, l’agorà del Palazzo di vetro si riproduce all’interno di una stanza, dove le persone si spiano da una finestra, si parlano in un cellulare a distanza, e il loro bisbiglio si ode persino al di sopra della voce degli interpreti.
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