Paolo D'Agostini
La Repubblica
Dice il regista che voleva farlo cominciare come un Bergman e farlo finire come un Lelouch. In Cinque per due François Ozon ha scelto una procedura origînale: racconta a ritroso. La vicenda di una coppia in cinque «quadri» che vanno all’indietro nel tempo, dalla rottura al primo incontro. il divorzio davanti al giudice e subito dopo una camera d’albergo dove Ma non e Gilles si scambiano per l’ultima volta stanche e rabbiose effusioni amorose. Segue una scena di vita coniugale e familiare: mentre lui dà la pappa al pupo lei torna dal lavoro e si cambia per ricevere una coppia dl amici; si parla di fedeltà e infedeltà ed è una serata in bilico tra intimità e inquietudine. Terza scena la nascita dei bambino: lui si sottrae, ma per paura, non per disamore. Quarta situazione il matrimonio, in un tripudio di felicità Marion (chissà perché) si allontana nella notte e si dà a uno sconosciuto. E infine: Gilles, in vacanza con la sua precedente fidanzata, incontra Marion: l’ultima inquadratura, che ha deliberatamente la pasta del fotoromanzo, li ritrae mentre fanno il bagno insieme contro il sole del tramonto,II regista ha inteso ritrarre e restituire tatti se non propriamente comuni - divorzio, nascita del figlio e matrimonio con passaggi memorabili nella vita di una coppia - però svuotati di contenuti premonitori. C’è dentro di tutto, la banalità e l’eccezionalità, la quotidianità e i picchi, ci è insomma impedito di pensare che non sarebbe potuta che finire male. Non è una sfida da poco quella di raccontare la vita com’è, è anzi molto difficile. E Ozon, malgrado l’inevitabile irruzione di quel tanto di irritante che da regista francese non riesce a non metterci dentro nelle movenze e nei dialoghi, è uno che queste cose le sa maneggiare con sensibilità. E ha un merito: aver liberato Valeria Bruni Tedeschi dal cliché della giovane donna aristocratica e infelice, distaccata e nevrotica.
Da La Repubblica, 3 settembre 2004
di Paolo D'Agostini, 3 settembre 2004