Roberto Nepoti
La Repubblica
Ossessionato dallo sbandamento morale della Russia post-sovietica, Pavel Lounguine ( Le nozze) mette in scena la trasformazione in mostro di un giovane idealista per denunciare la clamorosa impostura che regna attualmente a Mosca. Negli anni Ottanta, Platon Makowski (interpretato dal carismatico Vladimir Mashkov) lascia l'università assieme a quattro amici e si lancia nel mondo degli intrallazzi mafiosi. Profittando del tracollo del sistema l'uomo, più dotato d'ingegno che di scrupoli, inventa una quantità di combinazioni finanziarie ai limiti della legge, fonda un piccolo impero del crimine, acquista una rete televisiva per promuovere un politicante disonesto, si arricchisce enormemente.
Del contesto, articolato lungo gli ultimi quindici anni, lo spettatore non particolarmente informato sulla Russia afferra solo le coordinate generali (il liberalismo selvaggio, la corruzione, le lotte per il possesso dei mezzi di comunicazione...), mentre resta un po' all'oscuro dei dettagli. Non contribuisce più di tanto alla chiarezza la scelta di giocare liberamente con la cronologia, rischiando a tratti d'indisporre chi guarda a forza di zig-zag temporali, ritorni indietro, anticipazioni; né conforta nella comprensione la moltiplicazione di scene dall'andamento isterico, che danno al tutto un aspetto un po' incasinato (ma la regia, al contrario delle apparenze, è molto padroneggiata).
Anche i personaggi e le loro motivazioni sono assai più complessi che nella media dei film in circolazione. Però Lounguine ha l'eccellente idea di articolare il racconto come un'inchiesta giudiziaria sulla (presunta) morte del protagonista. Così Oligarch sembra l'edizione riveduta e aggiornata dei film di gangster americani alla Scarface, violenta, appassionante e cinica, con in più un innesto di thriller politico sul genere di quelli che Francesco Rosi dirigeva negli anni Settanta.
Da La Repubblica, 19 luglio 2003
di Roberto Nepoti, 19 luglio 2003