tirzanboy
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domenica 19 ottobre 2008
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uomo sociale: grado 0
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Spesso nelle primissime inquadrature di un film vi è racchiuso il senso profondo del film stesso, "sympathy for mr. vengeance" è una di queste opere. Il lungometraggio si apre con un confronto tra un medico e il ragazzo sordomuto. Dal contegno del dottore leggiamo compassione verso l'essere umano che gli sta di fronte e imbarazzo per l'onere di dovergli dare una brutta notizia (il rene per la sorella non si trova e l'ospedale non può ospitarla per carenza di pecunia), mista ad un senso di impotenza. Il medico è emotivamente partecipe delle sventure del ragazzo, ma nulla può fare per aiutarlo, perché sia lui che il giovane sono vittime del medesimo mostro, ovvero la grande metropoli con i suoi meccanismi disumani e disumanizzanti.
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Spesso nelle primissime inquadrature di un film vi è racchiuso il senso profondo del film stesso, "sympathy for mr. vengeance" è una di queste opere. Il lungometraggio si apre con un confronto tra un medico e il ragazzo sordomuto. Dal contegno del dottore leggiamo compassione verso l'essere umano che gli sta di fronte e imbarazzo per l'onere di dovergli dare una brutta notizia (il rene per la sorella non si trova e l'ospedale non può ospitarla per carenza di pecunia), mista ad un senso di impotenza. Il medico è emotivamente partecipe delle sventure del ragazzo, ma nulla può fare per aiutarlo, perché sia lui che il giovane sono vittime del medesimo mostro, ovvero la grande metropoli con i suoi meccanismi disumani e disumanizzanti. La tesi dell'autore è quindi che la strada dello sviluppo della società post-industriale porta in un luogo in cui il calore umano è stato soffocato da processi sovrumani algidi e impersonali. Il ripiegamento dell'uomo su sé stesso gli impedisce di entrare in contatto emotivo e spirituale con il prossimo ed ottunde la capacità di comprendere le ragioni dell'altro. Questa condizione esistenziale, unita ad un forte senso di impotenza nei confronti di una realtà incontrollabile e impossibile da decifrare spinge l'uomo a rinunciare alle strutture sociali per riconquistare uno spazio d'azione in cui il singolo individuo assume al contempo i ruoli di vittima, giudice e carnefice, nel disperato tentativo di difendersi dal mondo esterno, disordinato e crudele, ottenendo però nient'altro che caos e morte. Interessante sarebbe seguire ciascun personaggio lungo il suo percorso di dolore e perdita, ma ciò impiegherebbe troppo tempo. Passo quindi a fare alcuni cenni riguardo i diversi codici su cui si costruisce il film. In esterni la fotografia ci agghiaccia con dei cieli perennemmente sovraesposti. I personaggi vivono le loro esistenze sotto una luce impietosa che rende ancora più algidi dei luoghi assolutamente anonimi e ostili o, peggio ancora, indifferenti alle umane vicende. Dominano i colori dalle tonalità fredde. Gli interni sono abitati invece da colori caldi, ma il loro calore è spento da una luce molto contrastata e desaturata, la tonalità cromatica è intensa ma non brillante. La carica vitale del colore è ingabbiata da una fotografia che le impedisce di espandersi, costringendola ad un'implosione che riflette l'implosione dell'umanità dei personaggi agenti all'interno di codesti luoghi. Impressionante l'uso di riprese di gesti o oggetti fatte con un obiettivo macro e rallentate, il cui effetto è quello di caricare il portato emozionale delle immagini ponendolo in una dimensione fuori dal tempo: ne è un esempio toccante la scena in cui il ragazzo accarezza la mano dell' esanime corpo della fidanzata in ascensore -istanti che durano un'eternità da quanto sono intensi. Le lunghe inquadrature e l'incedere lento della narrazione, che a volte quasi si ferma, non lasciano scampo allo spettatore, il quale si vede costretto a focalizzare la propria attenzione su pochi elementi visivi di vigoroso impatto emotivo. La struttura narrativa è complessa e ricca di anticipazioni e di azioni fratte.
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(di rustin)
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trimegisto85
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sabato 14 aprile 2012
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una favola contemporanea su compassione e vendetta
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Una favola contemporanea di compassione e vendetta.
Ryu è un giovane sordo-muto che viene licenziato (la fabbrica rischia la chiusura per una delle CRISI CICLICHE del sistema capitalistico) con una sorella che ha bisogno di un trapianto di reni: non potendo permettersi l'intervento finge il rapimento della figlia del suo presidente ma da lì in poi c'è solo sangue, impotenze e disperazione.
Nel primo piano del dottore che dà una pessima notizia a Ryu (ovvero un disabile, o meglio l'INDIVIDUO IMPOTENTE nella SOCIETA' LIBERALE-CAPITALISTA) Park inquadra il suo spettatore che prova amarezza e imbarazzo, dettati dall'impotenza.
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Una favola contemporanea di compassione e vendetta.
Ryu è un giovane sordo-muto che viene licenziato (la fabbrica rischia la chiusura per una delle CRISI CICLICHE del sistema capitalistico) con una sorella che ha bisogno di un trapianto di reni: non potendo permettersi l'intervento finge il rapimento della figlia del suo presidente ma da lì in poi c'è solo sangue, impotenze e disperazione.
Nel primo piano del dottore che dà una pessima notizia a Ryu (ovvero un disabile, o meglio l'INDIVIDUO IMPOTENTE nella SOCIETA' LIBERALE-CAPITALISTA) Park inquadra il suo spettatore che prova amarezza e imbarazzo, dettati dall'impotenza. Non può essere altrimenti di fronte ad una storia in cui la VENDETTA è l'unica soluzione per tutti: tutti i protagonisti sono obbligati a subire e a vendicarsi a causa di un SISTEMA ECONOMICO-SOCIALE che miete le sue vittime per sopravvivere.
Park ci mostra la Vendetta come unica risposta alle ingiustizie del sistema che porta alla morte di innocenti e trasforma le vittime in assassini; assassini compassionevoli che mantengono la loro umanità e possono provare empatia per le loro vittime.
Tutti muoiono, tutti hanno le mani sporche di sangue solo il SISTEMA SOPRAVVIVE.
Ma la pellicola di Park non va letta semplicemente come un'opera di critica politico-economica: nell'intera trilogia si vede come sotto accusa sia ogni sistema (sia economico sia di costume sia sociale) che non lascia liberi gli uomini, che non prevede la possibilità di scelta, che non offre soluzioni e speranze.
La VENDETTA CI SARA' SEMPRE se non scegliamo di vivere in un mondo in cui l'unico fine è IL DIRITTO ALLA FELICITA', felicità che può venire dal poter esprime se stessi, l'amore e le idee senza censura culturale o semplicemente dal poter proteggere chi si ama.
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mikelangelo
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lunedì 4 maggio 2009
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il freddo piatto della vendetta
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Mr. Vendetta - Sympathy for Mr. Vengeance è il primo film della triologia firmata da uno dei più grandi registi contemporanei: Chan Wook Park. E' sicuramente il più violento dei tre, e in un certo senso anche il più sconvolgente. Sconvolgente potrebbe essere per lo spettatore sapere che non c'è un vero protagonista, e che alla fine sono tutti colpevoli. I buoni non esistono, al massimo i cattivi. In fin dei conti lo sono tutti, volontariamente e non. Tutto comincia quando Ryu, giovane sordomuto dai capelli verdi molto stile manga, decide di aiutare finalmente la sorella gravemente malata e in continua dialisi per via di un maledetto rene. Ryu non è un donatore compatibile, allora decide di affidarsi ad una associazione criminale: il suo rene più dieci milioni e avrà in cambio un rene compatibile.
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Mr. Vendetta - Sympathy for Mr. Vengeance è il primo film della triologia firmata da uno dei più grandi registi contemporanei: Chan Wook Park. E' sicuramente il più violento dei tre, e in un certo senso anche il più sconvolgente. Sconvolgente potrebbe essere per lo spettatore sapere che non c'è un vero protagonista, e che alla fine sono tutti colpevoli. I buoni non esistono, al massimo i cattivi. In fin dei conti lo sono tutti, volontariamente e non. Tutto comincia quando Ryu, giovane sordomuto dai capelli verdi molto stile manga, decide di aiutare finalmente la sorella gravemente malata e in continua dialisi per via di un maledetto rene. Ryu non è un donatore compatibile, allora decide di affidarsi ad una associazione criminale: il suo rene più dieci milioni e avrà in cambio un rene compatibile. Intanto dall'ospedale arriva la notizia che il rene è arrivato. Adesso però mancano i soldi, spesi tutti per la precedente operazione. Ryu quindi, insieme ad un'amica dalle idee particolarmente rivoluzionarie, decide di rapire la figlia del suo capo, che nel frattempo lo ha licenziato. Il piano fallisce, e questo scatena un'impressionante spirale di violenza. Tutti sono coinvolti, tutti si trasformano in efferati giustizieri, e alla fine, se i conti torneranno in pari, non sarà grazie ad un aiuto divino, ma a quello di alcuni terroristi amici dell'amica di Ryu (in fondo, il mondo è piccolo). Se con Oldboy avevamo una drammaticità a tratti struggente e una violenza che sfiorava il lirismo, con Mr. Vendetta la violenza diventa fredda, neutra nella sua asetticità. Le luci al neon, la quasi assenza di colonna sonora, non fanno che aumentare nello spettatore quel senso di terribile spaesamento che si ha di fronte a quelle opere che colpiscono duro allo stomaco, ripetutamente e con una violenza che da fisica si trasforma in psicologica. Ma attenzione: tantabrutalità non è mai fine a se stessa. Chan Wook Park vorrebbe infatti tracciare un affresco geniale di quel che è oggi la società, accecata dal denaro, incapace di comunicare (straordinaria la scelta di un protagonista sordomuto), vendicativa a tal punto da uccidere un uomo (assolutamente ripugnante) a colpi di mazza da baseball fino a sfondargli il cranio, o più semplicemente con scosse elettriche, finchè la malcapitata non perde il controllo nervoso e comincia ad orinarsi addosso. Nichilismo potrebbe forse essere quindi la parola d'ordine? Premiato al Noir film Festival di Courmayeur. Potrebbe essere in lizza come uno dei film più violenti della storia del cinema.
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molinari marco
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giovedì 20 ottobre 2011
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cinema d'autore firmato col sangue
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Possiamo iniziare col dire che il regista coreano non è di certo il fanalino di coda in fatto di autori dediti alla settima arte, dal momento che ha avuto a disposizione, a livello di produzione, la non indifferente cifra (almeno per il suo paese) di tre milioni di dollari, con i dovuti cambi di valuta necessari al caso. Un dato di non poco conto se si tiene in considerazione il fatto che, a tempo debito, il film in questione era solamente il suo secondo lavoro da filmaker professionista. Ma discorsi economici a parte, possiamo asserire che l’arte cinematografica all’interno di questa pellicola è presente in dosi massicce. A partire dalla perspicace scelta di mettere in scena uno pseudo-protagonista sordomuto (i personaggi principali della pellicola sono tanti, ma è senz’ombra di dubbio lui a guidare maggiormente lo sguardo dello spettatore, anche grazie a una capigliatura verde in perfetto stile manga con cui è impossibile non simpatizzare), il quale diventa un’azzeccatissima metafora esistenziale della condizione umana in cui gli individui, soventemente, si ritrovano intrappolati a causa di quel sistema capitalistico che domina incontrastato all’interno delle grandi metropoli (dove, per l’appunto, la vicenda di questo film si svolge) e che mettono il singolo in una condizione di impossibile comunicazione con i propri simili.
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Possiamo iniziare col dire che il regista coreano non è di certo il fanalino di coda in fatto di autori dediti alla settima arte, dal momento che ha avuto a disposizione, a livello di produzione, la non indifferente cifra (almeno per il suo paese) di tre milioni di dollari, con i dovuti cambi di valuta necessari al caso. Un dato di non poco conto se si tiene in considerazione il fatto che, a tempo debito, il film in questione era solamente il suo secondo lavoro da filmaker professionista. Ma discorsi economici a parte, possiamo asserire che l’arte cinematografica all’interno di questa pellicola è presente in dosi massicce. A partire dalla perspicace scelta di mettere in scena uno pseudo-protagonista sordomuto (i personaggi principali della pellicola sono tanti, ma è senz’ombra di dubbio lui a guidare maggiormente lo sguardo dello spettatore, anche grazie a una capigliatura verde in perfetto stile manga con cui è impossibile non simpatizzare), il quale diventa un’azzeccatissima metafora esistenziale della condizione umana in cui gli individui, soventemente, si ritrovano intrappolati a causa di quel sistema capitalistico che domina incontrastato all’interno delle grandi metropoli (dove, per l’appunto, la vicenda di questo film si svolge) e che mettono il singolo in una condizione di impossibile comunicazione con i propri simili. La struttura del film è perfettamente costruita su due tempi: uno in cui ci vengono forniti tutti gli elementi idonei a delineare la vita dei vari personaggi che animano questa pellicola, e l’altra in cui li vediamo passare all’azione, tutti agitati da sentimenti non particolarmente catartici e che li piomberanno in condizioni tali da dar vita ad una spietata carneficina, neanche stessimo facendo i conti con un “mucchio selvaggio” di peckinpahiana memoria (la splendida ultima sequenza del film, visivamente parlando, non può non suggerire in un certo modo uno scenario western). Molti sono i debiti, infatti, che questo film ha con alcuni stilemi della cinematografia americana. Basti pensare all’esubero di manodopera che ha caratterizzato l’incipit di tanti film americani di genere (il mio pensiero cade istintivamente, data la tematica trattata, a un classico dell’horror sociale targato Usa, Essi vivono di John Carpenter), e che puntualmente apre anche questo film. Ma il regista coreano più che emulare, prende le distanze. Basti considerare l’uso che viene fatto in questa pellicola del sangue ed, in particolare, alla scena in cui un poveruomo, appena licenziato, decide di frustrare il suo ex datore di lavoro, sfregiandosi il ventre con un taglierino proprio dinanzi a lui: all’inizio in campo lungo non vediamo uscire neanche una goccia di sangue, tanto da lasciarci andare, per un istante, in un bel sospiro di sollievo nell’illusione di essercela svignata. Ma ecco che poi, tempestivamente, nell’inquadratura successiva Park Chan-Wook ci regala un bel (si fa per dire) dettaglio dell’addome del disgraziato, mostrandoci non soltanto il fluido rosso, ma anche la maniera esatta in cui essa inizia a sgorgare dalle ferite. Lo stesso Scorsese, l’autore hollywoodiano che più di altri ama mettere in scena il sangue nella sua crudezza, e che grazie al suo cattolicesimo di fondo riesce a dargli un valore artistico aggiunto, in questo caso- è proprio il caso di dirlo- avrebbe preso le dovute distanze. Resta un film da gustare e che può essere, per chi ne è ignaro, un ottimo approccio con il cinema orientale contemporaneo.
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maximilione
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martedì 16 ottobre 2012
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cinema epidermico
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Con Sympathy for Mr. Vengeance Park Chan-Wook palesa il suo cinema estremo e multiforme su un panorama internazionale, valica gli stretti confini sud-coreani e nel contempo marca la genesi di quella trilogia della vendetta che continuerà nel 2003 con il meraviglioso Oldboy per poi chiudersi due anni dopo con Lady Vendetta. Già da questo primo eclettico capitolo Park attiva, però, alcuni elementi e
dipana numerose suggestioni che affinerà -approfondendole- nei due successivi lavori.
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Con Sympathy for Mr. Vengeance Park Chan-Wook palesa il suo cinema estremo e multiforme su un panorama internazionale, valica gli stretti confini sud-coreani e nel contempo marca la genesi di quella trilogia della vendetta che continuerà nel 2003 con il meraviglioso Oldboy per poi chiudersi due anni dopo con Lady Vendetta. Già da questo primo eclettico capitolo Park attiva, però, alcuni elementi e
dipana numerose suggestioni che affinerà -approfondendole- nei due successivi lavori. Anzitutto al livello più superficiale -quello della trama- l'autore coreano dimostra sin da subito una particolare e affezionata attenzione al tema dei rapporti familiari e, delineando il lacerante e muto amore che lega il protagonista alla sorella malata, inizia a tracciare quell'invisibile parabola esistenziale che dall'amore fraterno di questo primo sconsolato episodio, evolve in quello paterno di Oldboy fino a sublimarsi nel puro e incontrastato attaccamento filiale che pervade l'ultimo capitolo della trilogia.
Ma al di là del livello puramente tematico, Mr. Vengeance rivendica la sua assoluta preminenza all'interno della trilogia di Park perché mette a punto un meccanismo diegetico di attivazione dell'azione narrativa che costituirà il fulcro dei due film successivi, una specie di leitmotiv immodificabile della triade di opere in questione.
La storia dell'eccentrico giovane dai capelli color evidenziatore (come tutta la serie di efferate violenze che da lui si diparte), infatti, nasce dalla truffa compiuta ai suoi danni da un gruppo malavitoso, che si appropria del suo rene e lo abbandona nudo in uno spoglio e silenzioso palazzo in costruzione. E' quindi la scomparsa di un rene a dar vita a un intreccio serrato che da allora procede come un rullo compressore, schiacciando in modo straziante tutto quello che incontra.
Allo stesso modo, nel successivo Oldboy, tutto il meccanismo rigoroso e perfetto che compone la trama nasce e cresce a partire da una scomparsa. Ovviamente quella del protagonista.
E analogamente in Sympathy for Lady Vengeance il percorso alternato di dannazione e redenzione della bella Lee Geum-ja, prende vita dal rapimento e dalla successiva sparizione di un bambino.
Sarebbe facile alla luce di questi elementi abbozzare l'affascinante concetto interpretativo di un richiamo (magari omaggistico) a Michelangelo Antonioni e al suo cinema della scomparsa e dell'eclissi. Ma più che questa componente di attivazione narrativa, il sud-coreano Park condivide con il grande Maestro emiliano la fredda e alienante precisione stilistica, accompagnata da una forte tensione lirica e criptica.
Ma a ben guardare questo carattere di Park è solo la metà perfetta di un cinema bifronte che al lirismo virtuosistico fatto di lente carrellate esplorative, di un cromatismo simbolico e polimorfo, di un uso ellittico del montaggio in una narrazione non-lineare nel senso pieno del termine, di surreali e raggelanti scene oniriche -quella in cui Park Dong-jin riabbraccia la figlia annegata- oppone e alterna un'esplosione confusa, squilibrata e postmoderna di violenza, decorata da una grandissima libertà inventiva e compositiva -espressa nelle singole inquadrature come nella libertà del montaggio- ed espressa con perfezione quasi maniacale nelle sequenze alternate della doppia contemporanea vendetta di Park Dong-jin e del protagonista: il primo uccide Cha Yeong-mi collegandola attraverso i lobi a un generatore di corrente, il secondo -armato di una mazza e in seguito di un bisturi- compie una strage che entra nel pieno dominio dello splatter.
Ora, nonostante costituisca l'archetipo assoluto su cui Park costruirà il resto della sua trilogia, proprio il concetto di vendetta che riempie e domina Sympathy for Mr. Vengeance carica di interesse ed autonomia quest'opera diseguale e morbosa, distinguendola dagli altri due capitoli della triade.
In Oldboy Park Chan-Wook costruisce un meccanismo diegetico ineccepibile attraverso cui riflette, più che sulla vendetta, sull'impossibilità del suo compimento, sulla necessità del ripensamento esistenziale e della conseguente accettazione della colpa.
Allo stesso modo in Lady Vengeance la vendetta è decostruita, trascinata in un contesto metaforico o addirittura metafisico, usata come pretesto per illustrare l'itinerario di redenzione ed espiazione della protagonista, vero e unico nucleo tematico del film.
Al contrario, in Sympathy for Mr. Vengeance Park sceglie di evitare le sottigliezze retoriche e illustra questo tremendo sentimento umano nella sua veste più pura e antica e perciò sordida, concreta, multiforme e fisica. In questo senso, la struttura del film si avvicina alla dimensione profondamente tragica del teatro greco classico e più precisamente a quella dell'Orestea di Eschilo.
Il sangue chiama inevitabilmente altro sangue, senza possibilità di grazia o redenzione, e se nella trilogia greca l'intervento divino bloccava nel finale la sete di distruzione delle Erinni, salvando Oreste e sancendo la fine del regime del sangue, in Mr. Vengeance l'ultima parola spetta alla mafia, lampante sineddoche di un mondo senza giustizia.
La vendetta, lontana da tutti gli arricchimenti metaforici, è illustrata dunque come una belva, un essere concreto, una necessità fisica, impellente, assoluta. Come un morbo o un virus che passando di cuore in cuore, accresce la sua mai doma sete di distruzione. D'altronde il titolo originale resta piuttosto enigmatico nel delineare chi davvero sia il Mr. Vengeance verso cui lo spettatore dovrebbe nutrire della “sympathy” (termine che guarda caso indica “compassione” e “accordo” nello stesso tempo). Forse il protagonista a cui viene sottratto un rene. O magari il povero padre che perde la bambina. Probabilmente, diciamo noi, una mistione dei due. E di tutti coloro che agiscono sotto il peso di questo viscerale e terribile sentimento. Oreste compreso.
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paolo salvaro
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martedì 17 giugno 2014
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l'inizio del mito di park chan-wook
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Ecco il film con il quale il regista sudcoreano si fece conoscere da tutto il mondo, lo stesso che apre la sua celebre trilogia della vendetta.
Il primo capitolo è quello più lento e riflessivo dei tre, in cui dominano l'ambientazione ed i profondi silenzi e si accompagnati talvolta solo dalla solita eccezionale colonna sonora dei film diretti dal suddetto regista. Non per questo è un film meno bello, violento e disturbante rispetto agli altri due, solo ha un approccio molto diverso nei confronti della questione che almeno a me, personalmente, è molto piaciuto. Altri lo hanno trovato ripetitivo e petulante, io invece credo che solo in questo modo si potesse creare l'atmosfera di attesa mista ad ansia e terrore che accompagna lo spettatore per tutta la pellicola.
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Ecco il film con il quale il regista sudcoreano si fece conoscere da tutto il mondo, lo stesso che apre la sua celebre trilogia della vendetta.
Il primo capitolo è quello più lento e riflessivo dei tre, in cui dominano l'ambientazione ed i profondi silenzi e si accompagnati talvolta solo dalla solita eccezionale colonna sonora dei film diretti dal suddetto regista. Non per questo è un film meno bello, violento e disturbante rispetto agli altri due, solo ha un approccio molto diverso nei confronti della questione che almeno a me, personalmente, è molto piaciuto. Altri lo hanno trovato ripetitivo e petulante, io invece credo che solo in questo modo si potesse creare l'atmosfera di attesa mista ad ansia e terrore che accompagna lo spettatore per tutta la pellicola. Da una trama di questo tipo non si poteva semplicemente tirar fuori un film migliore di questo. Difficile credere che poi Chan-wook riuscirà a superarsi.
Un turbinio di emozioni vi accompagnerà per ogni secondo del film, mentre una vendetta dopo l'altra i vari personaggi della pellicola sfogheranno la loro frustrazione nei confronti del mondo, del prossimo e soprattutto della società. Assolutamente da non perdere.
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andrej
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mercoledì 8 febbraio 2017
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incrocio di vendette
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Film drammatico, cupo e senza speranza: non vi sono buoni fra i protagonisti, ma neppure cattivi totali; tutti sono al tempo stesso vittime e carnefici, tutti vivono, sia pure in modo diverso, esistenze tristi e disperate e finiscono per darsi a vicenda solo dolore e morte. Talvolta anche ottime intenzioni portano a esiti funesti. Incomunicabilita’, miseria e frustrazioni represse preparano il terreno per future tragedie, che qualche drammatico imprevisto provvedera’ a scatenare. Su uno sfondo metropolitano di rara poverta’ e squallore la vicenda si dipana in modo dapprima molto lento e poi con improvvise e crescenti accelerazioni, fra atti di violenza incrociata a volte di indicibile ferocia.
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Film drammatico, cupo e senza speranza: non vi sono buoni fra i protagonisti, ma neppure cattivi totali; tutti sono al tempo stesso vittime e carnefici, tutti vivono, sia pure in modo diverso, esistenze tristi e disperate e finiscono per darsi a vicenda solo dolore e morte. Talvolta anche ottime intenzioni portano a esiti funesti. Incomunicabilita’, miseria e frustrazioni represse preparano il terreno per future tragedie, che qualche drammatico imprevisto provvedera’ a scatenare. Su uno sfondo metropolitano di rara poverta’ e squallore la vicenda si dipana in modo dapprima molto lento e poi con improvvise e crescenti accelerazioni, fra atti di violenza incrociata a volte di indicibile ferocia. Dal titolo (secondo me non molto appropriato) mi sarei aspettato qualcosa di diverso: il solito film di azione e vendetta, di puro intrattenimento, dal ritmo veloce e senza troppe complicazioni. Invece si tratta di un film di spessore, che si muove per tempi lunghi e fa pensare. Nel suo profondo pessimismo mi ha ricordato le antiche tragedie greche. Da vedere, ma non aspettatevi uno spensierato divertimento.
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luca scialo
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sabato 25 luglio 2020
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storia accattivante rovinata dalla solita stucchevolezza made in corea
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Il Nuovo Millennio vede nel cinema coreano forse la proposta più innovativa ed interessante sul grande schermo. Mentre Usa ed Europa si copiano a vicenda, riproponendo vecchi canovacci del passato. La metà della Corea che ha abbracciato il capitalismo, rinunciando all'altra metà che ha scelto il comunismo, pecca però di una sovrabbondanza di clamore e violenza. Che finisce per rendere stucchevoli storie che altrimenti sarebbero davvero interessanti. Ma forse è una scelta stilistica precisa, utile per contraddistinguersi dal resto del Mondo. Con questa pellicola, Chan-woo Park dà avvio alla cosiddetta "trilogia della violenza". Con storie che mettono in risalto le tipiche contraddizioni del capitalismo: la ricchezza Vs la povertà.
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Il Nuovo Millennio vede nel cinema coreano forse la proposta più innovativa ed interessante sul grande schermo. Mentre Usa ed Europa si copiano a vicenda, riproponendo vecchi canovacci del passato. La metà della Corea che ha abbracciato il capitalismo, rinunciando all'altra metà che ha scelto il comunismo, pecca però di una sovrabbondanza di clamore e violenza. Che finisce per rendere stucchevoli storie che altrimenti sarebbero davvero interessanti. Ma forse è una scelta stilistica precisa, utile per contraddistinguersi dal resto del Mondo. Con questa pellicola, Chan-woo Park dà avvio alla cosiddetta "trilogia della violenza". Con storie che mettono in risalto le tipiche contraddizioni del capitalismo: la ricchezza Vs la povertà. Ma anche la facilità di passare da un lato all'altro, tipiche di un sistema liberista e ultradinamico. Dove anche curarsi è un pregio, proprio come accade ai due fratelli protagonisti. Che finiscono in un meccanismo di violenza che sembra non avere fine. Ma proprio alla fine, ci vanno di mezzo anche degli innocenti. Del resto, il capitalismo, si ciba soprattutto di loro.
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