GOSFORD PARK
Magico Altman: con questo suo nuovo film corale, che ci ha richiamato alla mente il caos pilotato del suo precedente Dottor T. e le donne – a suo tempo presentato alla 57a mostra internazionale del cinema di Venezia -, il regista statunitense ci offre la fotografia di un mondo che mostra di tenere saldamente in mano. Anzi i mondi sono due, paralleli: uno che si muove ai piani alti, l’altro al piano terra, la nobiltà anglosassone e la sua servitù, ritratti all’interno di una villa nella solitudine della campagna inglese. E’ un fine settimana del mese di novembre del 1932 e la motivazione dell’invito esteso da sir William Mc Cordle ad amici e parenti è quella di una battuta di caccia.
Gli elementi che tengono uniti questi due pianeti sono il pettegolezzo, il bisogno di sapere che cosa l’uno pensi e dica dell’altro, come vivano i nobili da un lato e i valletti e i servitori dall’altro, al di là dei momenti in cui incrociano le loro strade – anche con amori trasversali - nell’arco della giornata: un fruscio di seta, un brulichio di frasi sommesse, un bisbigliare attonito storie di soprusi che vengono alla luce nel buio delle cucine e che Altman ci propone, come facendo rimbalzare gli echi di questi due consorzi contrapposti, passando continuamente da un piano all’altro, nei segreti delle camere da letto o delle lavanderie, nel buio dei corridoi, dietro le quinte dei salotti a rubare un po’ di quel cosmo dorato.
Così finto, ma anche così autentico questo universo in cui tutti origliano, tutti sembrano spiare o avere dei segreti da nascondere, in cui le classi sono rigorosamente separate, in cui i servi perdono la loro identità e assumono il nome dei loro padroni per evitare confusione, in cui le cameriere stanno sotto la pioggia scrosciante per consentire alle loro signorie di bere il tè o le dame si giocano i mariti a carte. Tutto senza che, apparentemente, vi sia un moto di ribellione, tutt’al più qualche critica velata: a rompere questo falso equilibrio è un valletto, di cui tutti diffidano. E’ in realtà un attore in incognito in mezzo agli altri ospiti di Gosford Park: d’accordo col produttore americano presente insieme a lui nella villa, si mescola tra la servitù per carpirne i modi e i segreti che trasporrà poi in un film: l’istantanea di un gruppo di nobili circondato dai loro valletti e servitori colti in un fine settimana in una villa inglese, con delitto…
Quel mondo è dunque già storicizzato e oggetto di studi da parte della cultura/non cultura del Nuovo Mondo che avanza. Al cinismo dell’aristocrazia inglese si contrappone quello, artificioso e incurante, del denaro. Il film verrà girato a Hollywood e non in Inghilterra e il produttore, tutto preso dalla sua chiamata in California inerente la preparazione della pellicola, protesta quando gli viene bruscamente tolto l’apparecchio telefonico: è stato realmente commesso un omicidio; la fiction non solo imita la vita, ma sembra determinarla a priori.
Prontamente chiamato, l’ispettore di polizia, macchietta presuntuosa e inconsapevole, per quanto simpatica nella sua innocenza, non saprà, ovviamente, dipanare la matassa della Storia, che si è ripresa la sua rivincita.
Inutile citare qualche interprete in particolare. Tutto il cast, stellare, è semplicemente impeccabile: non si poteva fare di meno per un affresco perfetto.
Chi ha detto che non è l’Altman più grande?
Enzo Vignoli
2 aprile 2002
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