Una vita non basta |
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Un film di Claude Lelouch.
Con Jean-Paul Belmondo, Daniel Gélin, Richard Anconina, Marie-Sophie L., Lio.
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Titolo originale Itineraire d'un enfant gâté.
Commedia,
durata 126 min.
- Francia 1988.
MYMONETRO
Una vita non basta
valutazione media:
3,68
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Facilmente dimenticabiledi HowlingfantodFeedback: 7986 | altri commenti e recensioni di Howlingfantod |
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mercoledì 8 ottobre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Si fa fatica a tenere il filo di una narrazione frammentata per arrivare semplicemente alla fine del film. Ci sono tutti gli stilemi del cinema di Lelouch, ma la narrazione è affastellata e faticosa. Che ci siano dei significati reconditi e non palesi in quello che il regista ci mostra raccontandoci una storia che è anche banale? La riflessione esistenziale, la famiglia punto focale e di approdo di tutte le storie come in molto o tutto il cinema di Lelouch, la fuga, ma il tutto è condito da dialoghi a tratti assurdi, quasi strappati e schizofrenici nella loro rapidità ed assenza di empatia, impersonati da interpreti forse sbagliati eccezion fatta certamente per il pur svasato Belmondo, stoico, distratto e fuori luogo in definitiva nell’economia della sceneggiatura. La storia in sé è valida e avrebbe meritato uno sguardo più acuto e penetrante anche solo a livello psicologico dove il film sembra voler andare a scavare ma si vede che non ce la fa né con la sceneggiatura, balzellante ed incerta, né con le prove attoriali, né con i dialoghi. Il film narra la storia di un bambino abbandonato da piccolo su una giostra e che diventerà una stella del circo che rimarrà sempre nella sua anima, (quale struggente metafora), fino a diventare un ricco imprenditore che al culmine della sua vita adulta tra le varie peripezie, familiari ed esistenziali, fugge sul suo yacht da tutto e da tutti e si crea una nuova identità. Un Fu Mattia Pascal che non sfonda e che si trova davanti un suo ex dipendente che lo riconosce e che diventa la sua marionetta e la sua finestra sul mondo di prima. Il tutto fra inverosimili virate alla Hemingway in Safari improponibili, gli omaggi a Jaques Brel sebbene affascinanti e la didascalica colonna sonora in genere,il compiacimento geografico e fotografico di un costante nomadismo della troupe nel loro giro del mondo (ma chi ha fatto il budget di produzione con tutti questi spostamenti intercontinentali?), alla ricerca per mero gusto estetico di rappresentazione di metropoli moderne o paradisi esotici, senza che tutto questo abbia una vera funzionalità narrativa. Alla fine ci di domanda se quello che abbiamo visto sia stato un invito a voler completare il film, come in una sorta di opera aperta cercandone più validi e pregnanti significati ed intenzioni che solo si intuiscono a sprazzi nelle semplici battute senza uno schema d’insieme o se semplicemente è meglio dimenticare il tutto poichè la prima opzione non era che un nostra invalida supposizione.
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