La bicicletta verde |
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Un film di Haifaa Al-Mansour.
Con Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman Algohani, Ahd, Sultan Al Assaf
Titolo originale Wadjda.
Drammatico,
durata 100 min.
- Arabia Saudita, Germania 2012.
- Academy Two
uscita giovedì 6 dicembre 2012.
MYMONETRO
La bicicletta verde
valutazione media:
3,27
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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bicicletta della libertà, verde della speranzadi pepito1948Feedback: 125 | altri commenti e recensioni di pepito1948 |
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lunedì 17 dicembre 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L'Arabia Saudita è il Paese islamico forse più progredito socialmente ( attesa di vita 73 anni, tasso di alfabetismo 83%), ma tra i più chiusi e rigidi nell'applicazione della religione di Stato e nel perseguire il dissenso in tutte le sue forme. La condizione della donna è particolarmente pesante: relegata in casa nei soliti ruoli domestici, non può uscire se non nei limiti imposti dagli uomini, che si avvalgono del giustificativo islamico (naturalmente interpretato pro domo sua). Il codice penale prevede sanzioni ancestrali ed è vigente la pena di morte (in forme brutali, come la lapidazione). In questo contesto la regista saudita ambienta una storia che, pur nella forma di commedia (con tinte a tratti umoristiche), rispecchia il dramma della ottusa ostilità verso qualsiasi aspirazione alla libera espressione che si discosti dal verbo politico/religioso di quel Paese. Come in tutte le manifestazioni artistiche che sfidano i regimi locali, facendo attenzione a non provocarne eccessive reazioni, il film è ricco di simbolismi e di "veli": protagonista è una bambina che desidera un bicicletta verde, ovvero l'innocenza che anela e spera di ottenere la libertà di movimento (compresa quella di uscire dalla propria casa), negata dall'autorità perchè è una "cosa da uomini". Tutta la vicenda si svolge tra donne, ciascuna con un ruolo significativo: l'autorità istituzionale cui è demandata la prima formazione religiosa (la direttrice scolastica inflessibile, che cammina su due visibili tacchi di ipocrisia), l'autorità familiare (la madre che si dibatte tra imposizione teologica ed amore materno), l'umanità che trasgredisce in nome di diritti elementari negati (la giovinetta della bicicletta), la platea delle donne toccate dalla tentazione (le compagne della scuola coranica), ma che non trovano il coraggio di lottare apertamente. Sono esclusi dal campo gli uomini, fonti delle limitazioni dei diritti delle donne, tranne un adolescente autorizzato ad usare quel mezzo a due ruote, ancora insensibile agli insegnamenti dei grandi e sostanzialmente complice della piccola protagonista. Tutte le scene sono girate in interni, tranne il finale in cui domina una periferia spoglia ma non povera e dilatata ed aperta come l'animo della ragazzetta che pedala negli ampi spazi di una città che sa di immoto; una conquista che nasconde forse la verità di un sogno o comunque una prospettiva di speranza. Tutto è ovattato, come se una nebbia smorzasse ogni segno di violenza, che invece si avverte in ogni immagine, tranne che nella libera interazione dei due adolescenti. Haifaa Al Mansour, che si è avvalsa di un produttore americano per realizzare il film, è riuscita - sia pure attraverso abili espedienti "cautelari"- a mostrare al mondo la realtà dura ed oppressa di un Paese ricco di mezzi ma poverissimo di libertà, soprattutto per le donne doppiamente colpite in quanto tali dalla protervia del maschilismo dominante. In Arabia Saudita non è arrivata la primavera araba, anche se affiorano qua e là singulti di una timida opposizione. Le richieste di attenzione e di aiuto sono quindi affidate all'arte, più accattivante e meno compromettente, che, come in questa opera di chi conosce bene la verità, può contribuire in modo efficace a sollevare il velo sulla violenta repressione contro il principale nemico dei sistemi teo-politici fondamentalisti: la donna, con il suo coraggio e l'ostinazione a smascherare l'odio maschilista contro la "mannaia" della parità dei generi.
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