Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate

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Un viaggio durato troppo Valutazione 3 stelle su cinque

di Ilpoponzimo


Feedback: 515 | altri commenti e recensioni di Ilpoponzimo
martedì 30 dicembre 2014

Quando si parla del film “Lo Hobbit” ci si apre dinanzi agli occhi una vorticosa girandola di difficoltà interpretative e di discorsi di grande complessità. In primis perche ogni film della trilogia deve essere visto come un unicum indipendente dagli altri, eppure indissolubilmente legato agli altri capitoli da una forte coesione narrativa e di intenti. E come se non fosse già abbastanza difficile, tutta la trilogia deve subire il peso incombente dell’ombra sia delle gesta del regista stesso sia dell’importanza che i 3 precedenti capitoli del Signore degli Anelli hanno avuto sull’immaginario collettivo e sull’evoluzione della storia del cinema recente. Con estrema difficoltà proverò a parlare solo di questo terzo capitolo e non andrò ad impelagarmi in paragoni con il libro che   non ho letto e di cui mi interessa relativamente. Naturalmente come è giusto che sia il film parte da dove si era interrotto il secondo e in pochi minuti spiazza subito lo spettatore. Il drago, che ci era stato propinato come l’antagonista per eccellenza di tutta la trama, ora scompare e la vicenda viene trascinata proprio nella montagna che era stata la dimora del drago per decenni e che era stata la causa prima dell’inizio del viaggio. Ma repentinamente la narrazione viene sconvolta e portata avanti da un solo personaggio, Thorin, il re sotto la montagna. Peter Jackson racconta la pazzia di un personaggio che si mostra in tutta la sua complessità fino quasi a diventare shakespeariano nelle sue fattezze. La forza del film sta tutta li. In quella potenza visiva con cui il regista narra l’evoluzione di questo re che viene sconfitto dall’avidità e dal suo incontrollato desiderio di ricchezze. La macchina da presa è intima e intensa nel muoversi tra quei volti e quei sentimenti. Continua così il grande disegno umano di Peter Jackson che fin da i suoi primi film,in particolare con quello che è forse l’apice della sua fase pre-tolkeniana, Creature del cielo,riesce a concepire e a portare in scena con una dinamicità e una potenza ludica che all’interno del genere fantasy ha pochissimi eguali. I personaggi rappresentano tutti più di quello che sono all’interno della vicenda. Sono enormi metafore di sentimenti. Di vizi e di virtù. Ma in particolare di debolezze e mostruosità a cui l’animo umano tende e alla quale non può sottrarsi. Finita la prima ora però il prepotente buonismo di una trama già letta e riletta torna a imperversare. Si combatte,si combatte e si combatte. Molto, molto e ancora molto. Il film perde di spessore e viene inghiottito dalla sua stessa estetica epica. Si finisce per sbadigliare più di una volta e non ci si riesce a trattenere. La narrazione pur rimanendo lineare e precisa, quasi senza sbavature e con un utilizzo del tempo di scena da vero teatrante, non riesce ad imprimere al tutto l’emozione necessaria e nonostante alcuni colpi di scena voluti appositamente per creare una breccia nei cuori degli spettatori, non riesce a scalfirne nemmeno il petto più sensibile. Forse ci si doveva fermare quando c’era modo e tempo. Peter Jackson poteva lasciare il tavolo da vincitore ed essere ricordato come colui che ha impresso un’impronta indelebile nella storia del cinema. Ma come succede spesso oggi,troppo spesso, si finisce per essere preda del proprio ego e della propria cupidigia. Esattamente come Thorin Scudodiquercia,Peter Jackson è stato risucchiato dalla sua avidità e dal suo bieco volere umano. Ma nonostante la mancanza di idee e l’eccessiva forzatura di allargare un minuscolo libricino in 3 film infiniti, il regista si conferma un vero maestro nel suo mestiere.La messa in scena è di una accuratezza infinitesimale e il montaggio sonoro è da brividi. Gli effetti visivi rappresentano lo spartiacque di tutta la pellicola. Dapprima l’onnipresente eccessiva CGI rende meravigliosamente spaventosa l’immagine del drago Smaug ,ma allo stesso tempo rende le scene di guerra e alcuni personaggi,Legolas per primo, delle vere e proprie pacchianate,cosi come una serie di scene di combattimento al limite del ridicolo. Peter Jackson ha dimostrato di essere ancora il più geniale e originale AUTORE di questo genere cinematografico,ma ha voluto calcare eccessivamente la mano su quello che è riuscito a creare in precedenza con il Signore degli Anelli. I continui rimandi alle altre pellicole sono manna dal cielo per gli appassionati,ma sembrano messi lì senza una vera ragione,portando solo all’esasperante forzatura la narrazione e i suoi contesti. Alla fine della storia credo che non sia il peggiore della trilogia nonostante abbia toccato dei fondi mai raggiunti con gli altri film. Possiamo solo sperare che come Thorin, anche Peter Jackson riesca a raggiungere una catarsi spirituale e a superare questa sua incessante bramosia di strafare. Dopo tanti anni siamo giunti alla fine del nostro viaggio nella Terra di Mezzo e nonostante i vari alti(altissimi) e bassi (bassissimi) possiamo solamente ringraziare un regista del genere per aver dato cosi tanto a noi e al mondo stesso del cinema.
Recensione Lo Hobbit:
Quando si parla del film “Lo Hobbit” ci si apre dinanzi agli occhi una vorticosa girandola di difficoltà interpretative e di discorsi di grande complessità. In primis perche ogni film della trilogia deve essere visto come un unicum indipendente dagli altri, eppure indissolubilmente legato agli altri capitoli da una forte coesione narrativa e di intenti. E come se non fosse già abbastanza difficile, tutta la trilogia deve subire il peso incombente dell’ombra sia delle gesta del regista stesso sia dell’importanza che i 3 precedenti capitoli del Signore degli Anelli hanno avuto sull’immaginario collettivo e sull’evoluzione della storia del cinema recente. Con estrema difficoltà proverò a parlare solo di questo terzo capitolo e non andrò ad impelagarmi in paragoni con il libro che   non ho letto e di cui mi interessa relativamente. Naturalmente come è giusto che sia il film parte da dove si era interrotto il secondo e in pochi minuti spiazza subito lo spettatore. Il drago, che ci era stato propinato come l’antagonista per eccellenza di tutta la trama, ora scompare e la vicenda viene trascinata proprio nella montagna che era stata la dimora del drago per decenni e che era stata la causa prima dell’inizio del viaggio. Ma repentinamente la narrazione viene sconvolta e portata avanti da un solo personaggio, Thorin, il re sotto la montagna. Peter Jackson racconta la pazzia di un personaggio che si mostra in tutta la sua complessità fino quasi a diventare shakespeariano nelle sue fattezze. La forza del film sta tutta li. In quella potenza visiva con cui il regista narra l’evoluzione di questo re che viene sconfitto dall’avidità e dal suo incontrollato desiderio di ricchezze. La macchina da presa è intima e intensa nel muoversi tra quei volti e quei sentimenti. Continua così il grande disegno umano di Peter Jackson che fin da i suoi primi film,in particolare con quello che è forse l’apice della sua fase pre-tolkeniana, Creature del cielo,riesce a concepire e a portare in scena con una dinamicità e una potenza ludica che all’interno del genere fantasy ha pochissimi eguali. I personaggi rappresentano tutti più di quello che sono all’interno della vicenda. Sono enormi metafore di sentimenti. Di vizi e di virtù. Ma in particolare di debolezze e mostruosità a cui l’animo umano tende e alla quale non può sottrarsi. Finita la prima ora però il prepotente buonismo di una trama già letta e riletta torna a imperversare. Si combatte,si combatte e si combatte. Molto, molto e ancora molto. Il film perde di spessore e viene inghiottito dalla sua stessa estetica epica. Si finisce per sbadigliare più di una volta e non ci si riesce a trattenere. La narrazione pur rimanendo lineare e precisa, quasi senza sbavature e con un utilizzo del tempo di scena da vero teatrante, non riesce ad imprimere al tutto l’emozione necessaria e nonostante alcuni colpi di scena voluti appositamente per creare una breccia nei cuori degli spettatori, non riesce a scalfirne nemmeno il petto più sensibile. Forse ci si doveva fermare quando c’era modo e tempo. Peter Jackson poteva lasciare il tavolo da vincitore ed essere ricordato come colui che ha impresso un’impronta indelebile nella storia del cinema. Ma come succede spesso oggi,troppo spesso, si finisce per essere preda del proprio ego e della propria cupidigia. Esattamente come Thorin Scudodiquercia,Peter Jackson è stato risucchiato dalla sua avidità e dal suo bieco volere umano. Ma nonostante la mancanza di idee e l’eccessiva forzatura di allargare un minuscolo libricino in 3 film infiniti, il regista si conferma un vero maestro nel suo mestiere.La messa in scena è di una accuratezza infinitesimale e il montaggio sonoro è da brividi. Gli effetti visivi rappresentano lo spartiacque di tutta la pellicola. Dapprima l’onnipresente eccessiva CGI rende meravigliosamente spaventosa l’immagine del drago Smaug ,ma allo stesso tempo rende le scene di guerra e alcuni personaggi,Legolas per primo, delle vere e proprie pacchianate,cosi come una serie di scene di combattimento al limite del ridicolo. Peter Jackson ha dimostrato di essere ancora il più geniale e originale AUTORE di questo genere cinematografico,ma ha voluto calcare eccessivamente la mano su quello che è riuscito a creare in precedenza con il Signore degli Anelli. I continui rimandi alle altre pellicole sono manna dal cielo per gli appassionati,ma sembrano messi lì senza una vera ragione,portando solo all’esasperante forzatura la narrazione e i suoi contesti. Alla fine della storia credo che non sia il peggiore della trilogia nonostante abbia toccato dei fondi mai raggiunti con gli altri film. Possiamo solo sperare che come Thorin, anche Peter Jackson riesca a raggiungere una catarsi spirituale e a superare questa sua incessante bramosia di strafare. Dopo tanti anni siamo giunti alla fine del nostro viaggio nella Terra di Mezzo e nonostante i vari alti(altissimi) e bassi (bassissimi) possiamo solamente ringraziare un regista del genere per aver dato cosi tanto a noi e al mondo stesso del cinema.

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