Anime nere

Se la tinta nera, anzi nerissima, avvolge il film da capo a coda, pervadendo le anime certo, ma anche gli spazi, i gesti e le parole, va però precisato che Anime Nere è spaccato in due. Una prima parte in cui par d’essere in una puntata di Gomorra – la serie, dirottata “sulla Salerno-Reggio Calabria”, e una seconda che finalmente si apre a risvolti narrativi che imboccano altre strade e la cosa si fa interessante. Poi però Munzi sceglie di chiudere lì (e fa bene) questo ennesimo tassello disperante di una storia vecchia come i recinti delle capre calabresi, rovinosa come le case dell'Aspromonte e interminabile, come le litanie funebri delle vecchie che “ti guardano fisse negli occhi”. Del cinema del regista torna tutto: gli interni e gli esterni che sembrano non trovare pace nell’accomunante asfissia; il rapporto uomo/donna, pericolosamente astorico (ma reale); e soprattutto il fascino per la lingua, perfetto strumento di esclusione e di definizione dei ruoli di potere. Probabilmente fa troppo il verso a certo cinema e certa Italia sovraesposta, e sembra che questo o quello abbiano un po’ il sapore del ricorso storico, ma se l’intento era quello di rimarcare un tempo presente “che non si fa mai futuro”, in cui la parola fine può essere scritta solo da "u' fierr" puntato su tutto e tutti, l’obbiettivo è centrato in pieno, e niente riduce l’ottima fattura della confezione. Nulla da dire ***1/2