E’ davvero possibile oggi in un film riuscire a rappresentare la cruda realtà della durezza della vita attraverso una chiave di lettura ironica e sarcastica, che permetta allo spettatore di ridere di gusto, e per l’intera durata della proiezione? Guardando “A proposito di Davies” sembrerebbe proprio di sì. Anche stavolta infatti i fratelli Cohen, aggiungendo soltanto un pizzico di spleen in più, sono riusciti a ricreare quell’alchimia speciale che è il loro marchio di fabbrica, e che ci ha regalato tanti piccoli capolavori.
La storia di Davies è quella di un musicista talentuoso che, nell’inverno del ’61, si aggira per New York alla disperata ricerca di un briciolo di successo, o più semplicemente di un qualsiasi lavoro legato alla musica che gli permetta solo di sopravvivere. Vagando per una città fredda ed inospitale (ottima la fotografia, un valido aiuto nella costruzione dell’atmosfera) Davies interagisce con personaggi dalle varie e specifiche originalità, mantenendo però sempre un suo punto di vista sulla realtà, che si mantiene semplice e “puro” come la sua musica, nonostante le dure prove cui viene sottoposto.
Davies è un bravo artista ed è cosciente di esserlo, ma di fatto sta vivendo nel periodo storico più “inospitale” per la sua musica: siamo nella fase finale degli “Happy Days” del conservatorismo Usa, all’alba di un periodo di grandi trasformazioni per la società americana. La cultura popolare va trasformandosi e con essa i gusti musicali. Ma non è ancora il tempo di Bob Dylan, e così la stuggente dolcezza della musica di Davies, troppo elaborata per essere folk classico di provincia e troppo acerba per anticipare le novità dei sixties, non può ancora avere successo.
C’è da sperare che Davies tenga duro ancora un po’, ma è sempre più fiaccato nel morale oltre che nel fisico, ed inizia ad arrendersi accettando il consiglio di gettare la spugna ed imbarcarsi in marina.
Prima di lasciare la terraferma però Davies decide di fare un ultimo tentativo: partire per Chicago per farsi ascoltare da un impresario di successo. La rappresentazione del viaggio è davvero speciale: c’è molto Kerouac, molta struggente durezza, ma anche tanta divertente originalità. Davies viaggia con due uomini assai particolari: un anziano sgradevole e malato (interpretato da un John Goodman spettacolare, che dimostra ancora una volta di essere un grande attore), ed un giovane inquietante e silenzioso, dal passato problematico e misterioso, sorprendentemente innamorato della poesia. Il resto della storia è tutto da vedere..
La pellicola ha inoltre il pregio di inquadrare un periodo storico specifico partendo dal punto di vista acuto e mai banale di un “looser”, uno sconfitto da quella società che è sempre dura con tutti coloro che non rientrano nei canoni classici, e nelle regole sociali. Un periodo della storia Usa ancora implicitamente violento in cui i diritti sono al margine, che “arresta” e respinge senza tante chiacchiere ogni diversità, ma che al tempo stesso permette all’arte vera di sorgere e crescere, che accoglie i suoi artisti in quel Greenwich newyorkese che è da sempre linfa vitale e nutrimento per ogni movimento artistico.. In attesa che esso diventi “norma”, si diffonda, arrivi alla cultura popolare americana, e magari al successo internazionale.
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