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Impiccatemi – inizia così questo manifesto dal fallimento in un tempo musicale che viene ritmato per farsi fuori, sulle corde di una chitarra, sull’immagine di una chitarra che resta pur sempre immaginata nel tempo, in questo tempo al quale manchiamo sempre.
La dimensione temporale della musicalità viene sempre di più ad assumere la categoria del rimosso, viene eliminato dall’arte del tempo il luogo, in questi tempi senza sviluppo dove la superiorità della struttura totale non bada più ai materiali impiegati, come al cinema: - si deve pur sempre fare un film; così direbbe qualche regista mezzo alcolizzato che gira e ri-gira la stessa carta da gioco tra le dita… E così il musicista fallito di questo film, costretto a vedersi costantemente superato, in primo luogo dal gatto che gli fugge sempre e dove la fuga definitiva sarà quella del gatto al cinema, questo gatto che arriva a fuggire verso il cinema e nel cinema – non-luogo e spazio impossibile.
Non c’è quindi nessuna possibilità di recuperare la strada se non nel suicidio e dove la forza stessa della protesta è contratta nel gesto muto, privo di immagini, come i colori smorti e congelati del film. In quella sensazione che non c’è più nulla da cambiare e che sembra impadronirsi della musica, la quale si intende sempre meno come un processo, ma si congela, come agognava il neoclassicismo, in un divieto del divenire. Verso questo tentativo fallito, passando tra freddo e insulti si vive l’in-drammatica indifferenza di un’arte che ormai dubita della sua propria possibilità di dirsi – Non si fanno tanti soldi con questa roba; gli dice il produttore. Dubita delle proprie forme. Dopo l’orrore perpetrato con l’avvento dell’uomo, dopo il genocidio della coscienza, dopo l’affronto che qualsiasi movimento dà… penetra in queste vibrazioni qualcosa di stolto e di ossessivo… e in quella ossessione continua che l’assurdo della vita impone, il tentativo disperato di superarla… - Impiccatemi…
"Già che devo suicidarmi, voglio almeno ricavarne da vivere." (A. Schönberg)
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