Hammamet

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Un colpo al cerchio e uno alla botte...della stor Valutazione 4 stelle su cinque

di concettos


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mercoledì 15 gennaio 2020

 Che “l’affaire” Bettino Craxi fosse un terreno minato Amelio lo sapeva già, così come erano consapevoli tutti quelli che hanno atteso di vedere da quale parte della storia il regista, con il suo Hammamet, ponesse uno dei casi politici più discussi e controversi dell’intera vita della Repubblica Italiana. 
Sotto questo punto di vista molti spettatori rimarranno delusi, forse com’è giusto che sia, perché un’arte come il cinema ha il sacrosanto dovere di analizzare, raccontare, far riflettere e poi… eventualmente far emettere la sentenza al solo tribunale riconosciuto: il pubblico. Una personale impronta il regista potrebbe anche lasciarla, ma possibilmente sottotraccia e non certo su una vicenda che, ancora prima della presentazione ufficiale del film, aveva già riaperto ferite mai guarite e che sono tornate a sanguinare tra dubbi e tentativi di revisionismi storici mai andati a buon fine. E su questo Amelio, da navigato circense della macchina da presa qual è, è riuscito a blindarsi sapientemente, con una narrazione tutta umana e impregnata da vizi e virtù in perfetta dicotomia, e distante anni luce, dalla caratura del personaggio e dalle sue vicende politiche. Debolezze umane dove tutti noi possiamo specchiarci e di conseguenza, se posta su questo piano del racconto, siamo costretti a lasciare cadere a terra quella prima pietra che nessuno potrà mai scagliare. Ma non basta, perché c’è dell’altro, come l’inattaccabile vicenda della malattia, inviolabile terreno su cui i giudizi arretrano il passo, e di molto, di fronte alla pietas umana per una sofferenza prima morale e poi fisica. Un lento ripercorsi dentro l’intima sfera dei ricordi dove il male che ti lacera sembrerebbe l’inevitabile legge del contrappasso che non perdona le scelte errate, anche se, in parte, libere scelte non furono. Poi, dentro il film ci può stare (e c’è) anche altro, come le tante affermazioni che ti fanno riflettere, ti inducono a (ri)discutere di tutto e il suo perfetto contrario. A tal proposito, il religioso silenzio della sala strapiena era tangibile testimone invisibile di come, se non ci si annoia (ed è successo a qualche spettatore), il film ti prende, ti trascina in un ginepraio di ricordi imbevuti di colpevoli e innocenti, di un ansioso tintinnio di manette e una fitta pioggia di avvisi di garanzia, arresti e suicidi. 
Nonostante ciò, alla consequenziale domanda: fu giusto agire così? quella famosa zona di sicurezza dei giudizi, nel film, è non stata mai valicata. Anzi, ad essere più precisi, mentre l’equa distanza dalla politica, quella sporca delle tangenti, degli illeciti, degli accordi sotto banco, si è provata a mantenerla (forse) con un inattaccabile (nuovamente forse) ““così fan tutti” “quindi ero costretto che anche io facessi così “, non stato evitato del tutto un passo falso come l’interpretazione del caso Sigonella, dove ha fatto capolino un’eccessiva punta di orgoglio italiano che fa a pugni con questo smodato, ricercato, equilibrio da parte del regista. 
Una scelta di campo che avrebbe meritato maggiore attenzione nel tratteggiare chi, effettivamente, quella notte sbagliò cosa. Sull’interpretazione di Favino si è certi che è stato detto tutto, una performance riassumibile in quel fiume in piena di giusti consensi provenienti da ogni dove, di fatto è stato così perfetto che, allegoricamente, sembrerebbe che sia stato più il vero Craxi a ispirarsi a Favino che non il contrario. Il finale metafisico lascia non pochi dubbi da interpretare e risolvere, in ogni caso aperto a tutte le ipotesi. Un’affermazione, invece, che dovrebbe rimanere scolpita a futura memoria per il bene di quel poco che rimane del nostro paese, è quella dove si consiglia allo statista di “attendere pazientemente perché tanto l’Italia è un paese di corta memoria”, è vero, non possiamo dargli torto, pertanto non dimentichiamolo mai.
Concetto Sciuto

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