giuliana
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giovedì 9 maggio 2019
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un cult di bertolucci ma poco noto
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Film breve,( soprattutto rispetto alla media dei film di Bertolucci,)asciutto ,dotato di un suo linguaggio ellittico e di un montaggio magistrale, capace di dare,attraverso tagli che scorciano qua e là in momenti opportuni la vicenda narrata,contraendola in scene essenziali ,massimo risalto all'incontro-scontro delle culture e delle lingue in gioco,permettendo,al tempo stesso ,allo spettatore di aprirsi varchi per la sua immaginazione,in modo da colmare i vuoti da sé.
Nell'incipit Bertolucci ci racconta ,con la consueta acutezza della sua sensibilità sociale, un' Africa alle cui vicende la cronaca ci ha purtroppo abituati,martoriata da guerre civili e oppressa dalle violenze di regimi autoritari che spesso, malauguratamente ,trionfano sulle popolazioni inermi e pacifiche ,impegnate in già faticosi percorsi di riscatto dalla povertà e dall'ignoranza.
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Film breve,( soprattutto rispetto alla media dei film di Bertolucci,)asciutto ,dotato di un suo linguaggio ellittico e di un montaggio magistrale, capace di dare,attraverso tagli che scorciano qua e là in momenti opportuni la vicenda narrata,contraendola in scene essenziali ,massimo risalto all'incontro-scontro delle culture e delle lingue in gioco,permettendo,al tempo stesso ,allo spettatore di aprirsi varchi per la sua immaginazione,in modo da colmare i vuoti da sé.
Nell'incipit Bertolucci ci racconta ,con la consueta acutezza della sua sensibilità sociale, un' Africa alle cui vicende la cronaca ci ha purtroppo abituati,martoriata da guerre civili e oppressa dalle violenze di regimi autoritari che spesso, malauguratamente ,trionfano sulle popolazioni inermi e pacifiche ,impegnate in già faticosi percorsi di riscatto dalla povertà e dall'ignoranza.Quest'Africa dolorante ma indomita,resiliente e piena di dignità ,la incontriamo in Shandorai,la giovane protagonista,che coraggiosamente si mette in salvo dalle tempeste del suo Paese,pur se al prezzo di separarsi dal marito ,insegnante progressista,ormai catturato e imprigionato dal regime avverso,e viene in Italia a tentare una nuova vita.La sua risposta alle disgrazie subite è quella di trovarsi subito un lavoro come colf di un giovane musicista inglese, in un antico palazzo gentilizio,memore di un passato aristocratico luminoso,testimoniato da mille oggetti d'arte : ciò le darà la possibilità di mantenersi agli studi della facoltà di medicina che rappresentano il suo vero sogno di riscatto,oltre che il "luogo" della realizzazione dei suoi talenti. Ed è così che per la prima volta si verifica l'impatto fra due identità culturali diverse,fra due fisionomie contrapposte di "straniero ",che si sogguardano con sentimenti oscillanti fra la curiosità o la benevola apertura (di Kinski,il pianista e compositore inglese) e la cauta diffidenza e laconicita'(di Shandorai,che vorrebbe fossero interpretate soprattutto come serietà ed efficienza).
Ha ragione,in realtà Lietta Tornabuoni ,quando suggerisce che l'intera vicenda di queste due "alterita`" sembra racchiusa fra due grossi punti di domanda,il primo,tracciato in principio da Kinski sul foglio di carta da musica,destinato al primo tentativo di approccio comunicativo con la nuova arrivata,e il secondo, alla fine, che è l'interrogativo che attanaglia lo spettatore sull'esito finale della storia d'amore nata,malgrado tutti gli ostacoli,interiori ed esterni, fra i due stranieri,ed ora drammaticamente minacciata dall'improvviso ritorno del marito,salvato dalle carceri africane proprio grazie alla generosa abnegazione di Kinski.Fra l'uno e l'altro di questi interrogativi ,che riecheggiano,lasciatemelo dire,gl'insistenti punti di domanda tracciati da George ,il perplesso protagonista di "CAMERA CON VISTA" di JAMES IVORY,c'è un mondo di cose di una poesia struggente. Ci sono le ore feconde di studio e di tirocinio in ospedale,destinate a consentire a Shandorai l'appropriazione di un sapere arduo,come quello della scienza medica; c'è l'interminabile serie di scale da lavare,in quella sorta di "torre" che separa il mondo dove vive,in alto,Kinsky, con il suo pianoforte,da quello in basso, a piano terra, dove vive Shandorai ;c'è una curiosità che cresce nell'ospite attraverso piccoli momenti quasi rubati all'intimita' dell'altro,finché il sentimento divampa fino a subire la ferita mortale del rifiuto; c'è, al di sopra di tutto, e con una potenza quasi alchemica sugli stati d'animo della protagonista,la forte fascinazione della musica,che la scava dentro quasi inavvertitamente e la commuove e l'avvicina a Kinskj , prima ancora di venire a conoscenza dell'estrema generosità del suo gesto; c'è , infine quello struggente svuotarsi della casa, oggetto dopo oggetto,bellezza e storia sacrificate,cancellate d'un colpo,senza esitazioni o ripensamenti fino alla rinuncia al bene più prezioso : il piano,da cui si sprigiona la musica fascinatrice, che è anche fonte di vita e attrattiva principe di Kinski. Questo spogliarsi via via di tutto, dall'inessenziale all'essenziale e vitale,che sembra la cifra peculiare della capacità d'amare senza sconti o mezze misure,dell'amore pronto a ridurre i suoi beni e la vita sua stessa,pur di ottenere la completa felicità dell'altro,compie senza dubbio il miracolo che rende possibile lo "switch " finale della situazione : la breccia che era già stata aperta nel cuore di Shandorai viene ormai spalancata dalla scoperta del sacrificio discreto,silenzioso di Kinskj e improvvisamente si slatentizza ai nostri occhi anche il significato racchiuso simbolicamente nel titolo -"l'assedio"-...Cos'altro rappresenta ,infatti ,meglio di una guerra l'incontro-scotro fra due personalità pienamente mature e strutturate,che non pensano che la vita abbia in serbo per loro altre sorprese,e resistono e combattono una lotta destinata alla sconfitta...quale immagine potrebbe raccontare meglio tutto questo ,di quella di un lungo, paziente,ma inesorabile assedio,sferrato contro il nostro ego più intimo e i suoi relativi attaccamenti?
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giuliana
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giovedì 9 maggio 2019
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un cult di bertolucci ma poco conosciuto
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Film breve,( soprattutto rispetto alla media dei film di Bertolucci,)asciutto ,dotato di un suo linguaggio ellittico e di un montaggio magistrale, capace di dare,attraverso tagli che scorciano qua e là in momenti opportuni la vicenda narrata,contraendola in scene essenziali ,massimo risalto all'incontro-scontro delle culture e delle lingue in gioco,permettendo,al tempo stesso ,allo spettatore di aprirsi varchi per la sua immaginazione,in modo da colmare i vuoti da sé.
Nell'incipit Bertolucci ci racconta ,con la consueta acutezza della sua sensibilità sociale, un' Africa alle cui vicende la cronaca ci ha purtroppo abituati,martoriata da guerre civili e oppressa dalle violenze di regimi autoritari che spesso, malauguratamente ,trionfano sulle popolazioni inermi e pacifiche ,impegnate in già faticosi percorsi di riscatto dalla povertà e dall'ignoranza.
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Film breve,( soprattutto rispetto alla media dei film di Bertolucci,)asciutto ,dotato di un suo linguaggio ellittico e di un montaggio magistrale, capace di dare,attraverso tagli che scorciano qua e là in momenti opportuni la vicenda narrata,contraendola in scene essenziali ,massimo risalto all'incontro-scontro delle culture e delle lingue in gioco,permettendo,al tempo stesso ,allo spettatore di aprirsi varchi per la sua immaginazione,in modo da colmare i vuoti da sé.
Nell'incipit Bertolucci ci racconta ,con la consueta acutezza della sua sensibilità sociale, un' Africa alle cui vicende la cronaca ci ha purtroppo abituati,martoriata da guerre civili e oppressa dalle violenze di regimi autoritari che spesso, malauguratamente ,trionfano sulle popolazioni inermi e pacifiche ,impegnate in già faticosi percorsi di riscatto dalla povertà e dall'ignoranza.Quest'Africa dolorante ma indomita,resiliente e piena di dignità ,la incontriamo in Shandorai,la giovane protagonista,che coraggiosamente si mette in salvo dalle tempeste del suo Paese,pur se al prezzo di separarsi dal marito ,insegnante progressista,ormai catturato e imprigionato dal regime avverso,e viene in Italia a tentare una nuova vita.La sua risposta alle disgrazie subite è quella di trovarsi subito un lavoro come colf di un giovane musicista inglese, in un antico palazzo gentilizio,memore di un passato aristocratico luminoso,testimoniato da mille oggetti d'arte : ciò le darà la possibilità di mantenersi agli studi della facoltà di medicina che rappresentano il suo vero sogno di riscatto,oltre che il "luogo" della realizzazione dei suoi talenti. Ed è così che per la prima volta si verifica l'impatto fra due identità culturali diverse,fra due fisionomie contrapposte di "straniero ",che si sogguardano con sentimenti oscillanti fra la curiosità o la benevola apertura (di Kinski,il pianista e compositore inglese) e la cauta diffidenza e laconicita'(di Shandorai,che vorrebbe fossero interpretate soprattutto come serietà ed efficienza).
Ha ragione,in realtà Lietta Tornabuoni ,quando suggerisce che l'intera vicenda di queste due "alterita`" sembra racchiusa fra due grossi punti di domanda,il primo,tracciato in principio da Kinski sul foglio di carta da musica,destinato al primo tentativo di approccio comunicativo con la nuova arrivata,e il secondo, alla fine, che è l'interrogativo che attanaglia lo spettatore sull'esito finale della storia d'amore nata,malgrado tutti gli ostacoli,interiori ed esterni, fra i due stranieri,ed ora drammaticamente minacciata dall'improvviso ritorno del marito,salvato dalle carceri africane proprio grazie alla generosa abnegazione di Kinski.Fra l'uno e l'altro di questi interrogativi ,che riecheggiano,lasciatemelo dire,gl'insistenti punti di domanda tracciati da George ,il perplesso protagonista di "CAMERA CON VISTA" di JAMES IVORY,c'è un mondo di cose di una poesia struggente. Ci sono le ore feconde di studio e di tirocinio in ospedale,destinate a consentire a Shandorai l'appropriazione di un sapere arduo,come quello della scienza medica; c'è l'interminabile serie di scale da lavare,in quella sorta di "torre" che separa il mondo dove vive,in alto,Kinsky, con il suo pianoforte,da quello in basso, a piano terra, dove vive Shandorai ;c'è una curiosità che cresce nell'ospite attraverso piccoli momenti quasi rubati all'intimita' dell'altro,finché il sentimento divampa fino a subire la ferita mortale del rifiuto; c'è, al di sopra di tutto, e con una potenza quasi alchemica sugli stati d'animo della protagonista,la forte fascinazione della musica,che la scava dentro quasi inavvertitamente e la commuove e l'avvicina a Kinskj , prima ancora di venire a conoscenza dell'estrema generosità del suo gesto; c'è , infine quello struggente svuotarsi della casa, oggetto dopo oggetto,bellezza e storia sacrificate,cancellate d'un colpo,senza esitazioni o ripensamenti fino alla rinuncia al bene più prezioso : il piano,da cui si sprigiona la musica fascinatrice, che è anche fonte di vita e attrattiva principe di Kinski. Questo spogliarsi via via di tutto, dall'inessenziale all'essenziale e vitale,che sembra la cifra peculiare della capacità d'amare senza sconti o mezze misure,dell'amore pronto a ridurre i suoi beni e la vita sua stessa,pur di ottenere la completa felicità dell'altro,compie senza dubbio il miracolo che rende possibile lo "switch " finale della situazione : la breccia che era già stata aperta nel cuore di Shandorai viene ormai spalancata dalla scoperta del sacrificio discreto,silenzioso di Kinskj e improvvisamente si slatentizza ai nostri occhi anche il significato racchiuso simbolicamente nel titolo -"l'assedio"-...Cos'altro rappresenta ,infatti ,meglio di una guerra l'incontro-scotro fra due personalità pienamente mature e strutturate,che non pensano che la vita abbia in serbo per loro altre sorprese,e resistono e combattono una lotta destinata alla sconfitta...quale immagine potrebbe raccontare meglio tutto questo ,di quella di un lungo, paziente,ma inesorabile assedio,sferrato contro il nostro ego più intimo e i suoi relativi attaccamenti?
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